Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2136 del 31/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2136 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 16546-2008 proposto da:
GAP ESSEDUE DI PERNA SIMONA & C. S.R.L. P.I.
02985510656, in persona del legale rappresentante pro
tempore, nonché dai signori PERNA GIOACCHINO C.F.
PRNGCH32S271370R, PERNA SIMONA C.F. PRNSMN71C44H703A,
già soci accomandatari della GAP ESSEDUE S.A.S.,
2013
3484

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA 74,
presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI
EMILIO, che li rappresenta e difende, giusta delega
in atti;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 31/01/2014

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura

avvocati CORETTI ANTONIETTA, MARITATO LELIO, LUIGI
CALIULO, giusta delega in atti;
– I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati CATALANO
GIANDOMENICO, PIGNATARO ADRIANA, giusta delega in
atti;
– controricorrenti nonchè contro

MINISTERO DEL LAVORO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 268/2008 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 05/03/2008 R.G.N.
1339/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

udito l’Avvocato CATALANO GIANDOMENICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per:
in via principale inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

R.G. n. 16546/08
Ud. 4 dic. 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

– 5 marzo 2008, ha confermato la decisione di primo grado che
aveva respinto l’opposizione proposta nei confronti dell’INPS,
dell’INAIL e della Direzione Provinciale del Lavoro di Salerno, da
GAP ESSEDUE di Perna Simona 86 C. s.r.l. per l’annullamento
del verbale ispettivo con il quale era stata ritenuta la natura
subordinata delle prestazioni rese da due lavoratrici, con
conseguente obbligo contributivo ed assicurativo da parte della
società.
La Corte di merito ha osservato che dalle dichiarazioni rese
dalle due lavoratrici in sede ispettiva era emerso che il rapporto
di lavoro intercorso con la società presentava i tratti caratteristici
della subordinazione, onde non poteva attribuirsi rilevanza al
nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto. Peraltro, dal
contratto stipulato dalle parti non risultava che dette lavoratrici
partecipassero anche al rischio d’impresa, circostanza questa
che costituiva l’elemento differenziale tra l’associazione in
partecipazione e il contratto di lavoro subordinato. Né erano stati
forniti dalla società elementi idonei a supportare la contraria
prospettazione, mancando qualsiasi richiamo al bilancio ed alla
modalità di computo degli utili. La prova testimoniale, infine, era
stata per taluni versi generica e per altri poco attendibile, in
quanto in contrasto con le stesse previsioni del contratto.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la
società soccombente nonché i signori Perna Gioacchino e Perna
Simona, già soci accomandatari della stessa.
L’INPS e l’INAIL hanno resistito con controricorso, mentre il
Ministero del Lavoro è rimasto intimato.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 13 febbraio

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MOTIVI DELLA DECISIONE
A. Con l’unico motivo del ricorso è denunziata violazione e falsa
applicazione dell’art. 2549 cod. civ., in relazione agli artt. 1362 e
segg. cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt.
2697 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente.
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo

Si deduce che, diversamente da quanto sostenuto dalla
Corte di merito, dal contratto stipulato dalle parti risultava la
partecipazione al rischio d’impresa delle lavoratrici nonché la
loro ingerenza nella gestione dell’attività; che il nomen iuris
attribuito dalle parti al rapporto è tanto più rilevante quanto più
labili appaiono i confini tra le figure contrattuali astrattamente
configurabili; che la prova testimoniale non è stata correttamente
valutata dalla Corte territoriale; che il verbale ispettivo non era
sufficiente a fondare il convincimento del giudice d’appello.
Il motivo si conclude con il quesito di cui all’art. 366 bis
cod. proc. civ., non più in vigore, ma applicabile ratione temporis
alla fattispecie in esame.

2.. Il ricorso è inammissibile
Questa Corte ha più volte affermato che il quesito di diritto
di cui all’art. 366 bis c.p.c., allora in vigore (tale disposizione è
stata abrogata dall’art. 47, comma 1, lett. d), della legge 18
giugno 2009 n. 69 a decorrere dal 4 luglio 2009), deve
comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel
provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il
ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo, in modo da ribaltare la decisione
impugnata (Cass. 28 maggio 2009 n. 12649; Cass. 19 febbraio
2009 n. 4044; Cass. Sez. Un. 30 settembre 2008 n. 24339).
Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter
comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi
logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritarnente

per il giudizio.

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compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare.
Il quesito di diritto deve inoltre essere specifico e risolutivo
del punto della controversia, dovendo escludersi che la
disposizione di cui all’art. 366

bis

c.p.c. debba essere

interpretata nel senso che il quesito e il momento di sintesi
siffatta interpretazione si risolverebbe nella abrogazione tacita
della norma in questione (Cass. 23 gennaio 2012 n. 910; Cass.
Sez. Un. 5 febbraio 2008 n. 2658; Cass. Sez. Un. 26 marzo 2007
n. 7258).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla
omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di
ordine formale la norma incide anche sulla sostanza
dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il
quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in
relazione alla concreta fattispecie (Cass. 7 aprile 2009 n. 8463;
Cass. Sez. un. 30 ottobre 2008 n. 26020; Cass. Sez. un. 25
novembre 2008 n. 28054).
Nella fattispecie in esame, la società ricorrente, sotto il
titolo “Quesito di diritto”, in realtà non pone quesiti, ma richiama
ed afferma principi sulla rilevanza del nomen iuris attribuito dalle
parti al contratto, sulla interpretazione dei contratti, sulla
valutazione delle prova testimoniale ad opera del giudice; sul
valore dei verbali redatti dal pubblico ufficiale in tema di
adempimento di obblighi contributivi, sull’onere della prova circa
la natura subordinata del rapporto.
Non indica la ricorrente riassuntivamente gli elementi di
fatto sottoposti al giudice di merito, i principi giuridici applicati
da quel giudice e la diversa regola di diritto che si sarebbe
dovuta applicare, restando così vanificata la finalità di consentire
a questa Corte l’esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla
disciplina del quesito introdotta dal d. lgs. n. 40 del 2006, il cui
fine è quello di far discendere in maniera univoca dalla risposta –

possano desumersi dalla formulazione del motivo, atteso che una

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negativa o affermativa – che al quesito si dia, l’accoglimento o il
rigetto del ricorso.
Quanto alla dedotta insufficiente e contraddittoria
motivazione, deve osservarsi che, secondo il disposto di cui alla
seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la insufficienza della motivazione la renda
inidonea a giustificare la decisione.
In altre parole, la relativa censura deve contenere un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità (cfr. Cass. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n.
20603; Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556; Cass. 18 novembre 2011
n. 24255).
Non è sufficiente che il fatto controverso sia esposto nel
corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di
questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte,
del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata. Tale onere deve essere adempiuto
non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma
formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e
sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione
del motivo, e che consenta al giudice di valutare
immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 30 dicembre
2009 n. 27680; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).
Nella specie la ricorrente, a fronte di una motivazione
sufficiente e priva di vizi logici – di cui s’è dato conto, in sintesi,
nella parte espositiva -, è venuto meno agli oneri sopra indicati,
omettendo di indicare in maniera chiara e sintetica “il fatto
controverso” in relazione al quale la motivazione si assume

indicazione del fatto controverso in relazione al quale la

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insufficiente o contraddittoria e gli elementi che avrebbero
potuto condurre a una diversa decisione.
Peraltro il motivo risulta privo anche del requisito di
autosufficienza in quanto la ricorrente, nel lamentare l’erronea
valutazione della prova testimoniale, non ne riporta il contenuto.
3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della
dell’INPS e dell’INAIL, come in dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero del Lavoro,
rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che
liquida in 100,00 per esborsi ed 2.500,00 per compensi
professionali, a favore rispettivamente dell’INPS e dell’INAIL, oltre
accessori di legge.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero del Lavoro.
Così deciso in Roma in data 4 dicembre 2013.

ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio a favore

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