Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2136 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7320/2019 proposto da:

O.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Elisabetta Frate;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Venezia del 23 gennaio 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, O.A., potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Viene opposta la nullità della sentenza impugnata a norma dell’art. 132 Cost., comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., per omessa motivazione. Si deduce che il Tribunale di Venezia abbia mancato di “fornire una, sia pure minima, motivazione in ordine al rigetto delle doglianze sviluppate dal ricorrente”.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha rinvenuto plurimi elementi di genericità e di contraddittorietà nella vicenda narrata dall’istante. Questi aveva riferito di problemi avuti con lo zio, che si era impossessato di alcuni terreni che appartenevano a suo padre ed era sospettato di aver provocato l’incidente stradale in cui erano morti lo stesso genitore, nonché la sorella dell’istante; O. era stato quindi costretto ad allontanarsi da casa e, giunto a Benin City, aveva trovato ospitalità presso un ragazzo con cui aveva avuto rapporti sessuali. Si legge nel provvedimento impugnato che il timore espresso dal ricorrente risultava essere plurimo: essere ucciso dallo zio, essere ucciso dalla madre del ragazzo, che aveva scoperto la relazione, essere arrestato.

Con riguardo al rifugio e alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e lett. b), il provvedimento impugnato reca, alle pagine da 7 a 9, una motivazione diffusa, basata su elementi di genericità, contraddittorietà e implausibilità delle dichiarazioni, che si colloca oltre la soglia del “minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità” (espressione tratta da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 e Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054) e che non può di certo definirsi apparente: fattispecie, questa, che ricorre allorquando la motivazione stessa, benché graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232).

Il vizio motivazionale suindicato non ricorre nemmeno con riguardo al tema della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), visto che il Tribunale, sulla scorta di precise fonti informative, richiamate nel provvedimento, ha accertato l’inesistenza, in Edo State, di un conflitto armato da cui potesse conseguire una situazione di violenza indiscriminata: né si comprende la deduzione del ricorrente, il quale, a fronte dell’affermazione, contenuta nel decreto, per cui l’Edo State sarebbe uno degli Stati meno violenti della Nigeria, oppone che il legislatore italiano “non si è avvalso della possibilità, riconosciuta dalla dir. 2004/83/CE, di stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese di origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato uno ancora rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quello parte del paese”. Lo stesso ricorrente riferisce, difatti, di essere originario dell’Edo State: ebbene, non sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), nel caso in cui, come nel caso in esame, il pericolo di minaccia grave, derivante da violenza indiscriminata non sia presente nella regione di provenienza del richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussiste nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese (Cass. 24 dicembre 2020, n. 29621).

E’ pure da escludere che sia affetta da vizio motivazionale la decisione di rigetto della domanda di protezione umanitaria: forma di protezione, quest’ultima, che è stata esclusa avendo riguardo alla mancata evidenza di profili di vulnerabilità in capo al richiedente, alla non credibilità dei fatti narrati e al mancato riscontro di una integrazione sociale e lavorativa dello stesso O., che risultava aver soltanto frequentato corsi di italiano e svolto attività di volontariato.

3. – Il ricorso è respinto.

Ciò esime – pur in presenza di una procura ad litem apposta in calce al ricorso carente della certificazione del suo conferimento in data posteriore a quella della comunicazione del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. U. 1 giugno 2021, n. 15177) – dal differire la trattazione del ricorso in attesa della pubblicazione della pronuncia del Giudice delle leggi sulla questione – posta da Cass. 23 giugno 2021, n. 17970 – intorno alla costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 (che tale certificazione impone).

4. – Nulla per le spese.

PQM

La Corte;

dichiara il ricorso inammissibile; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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