Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21359 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21359 Anno 2013
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 26685-2010 proposto da:
ANNIBALE ALESSANDRA NNBLSN77S64H501K, domiciliata in
ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA N.1, presso lo studio
dell’avvocato DE STEFANO MAURIZIO, che la rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2294

contro

– TELECOM ITALIA S.P.A. 00488410010, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo STUDIO
LEGALE PESSI & ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli

Data pubblicazione: 18/09/2013

avvocati PESSI ROBERTO e SANTORI MAURIZIO, giusta
delega in atti;
– ALMAVIVA S.P.A. 04914190824, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo STUDIO LEGALE PESSI &

ROBERTO e SANTORI MAURIZIO, giusta delega in atti;
– TELECONTACT CENTER S.P.A. 07800320637, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo STUDIO
LEGALE PESSI & ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli
avvocati PESSI ROBERTO e SANTORI MAURIZIO, giusta
delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

ATESIA S.P.A.;
– intimata contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA
FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,
rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,
LELIO MARITATO, ENRICO MITTONI, CARLA D’ALOISIO,
giusta delega in calce alla copia notificata del
ricorso;

ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli avvocati PESSI

- resistente con mandato avverso la sentenza n. 6407/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 14/11/2009 r.g.n. 5214/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSA

udito l’Avvocato DE STEFANO MAURIZIO;
udito l’Avvocato SANTORI MAURIZIO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega SGROI
ANTONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha conbcluso
per raccoglimento del ricorso.

ARIENZO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14.11.2009, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame proposto
da Annibale Alessandra avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la
domanda della predetta intesa all’accertamento della sussistenza di un unico rapporto di
lavoro subordinato intercorso dal 23.2.1998 al 30.6.2004 alle dipendenze della società
Atesia s.p.a., proseguito senza soluzione di continuità alle dipendenze della Contact

funzioni di operatrice telefonica outbound ed inbound ed assistenza all’utenza sulla base
di una serie di contratti formalmente di lavoro autonomo per la durata di uno e due mesi
ciascuno. Chiedeva il riconoscimento del diritto alle differenze retributive in applicazione
del c.c.n.l. Gruppo Telecom del 9.9.1996, con inquadramento nel livello B e,
successivamente, del c.c.n.l. per le imprese esercenti servizi di comunicazione del
28.6.2000, con inquadramento nel terzo livello e la condanna, in via solidale, delle società
convenute al pagamento delle differenze economMeYe, ‘per – l periodo successivo, della
sola Telecontact Center, nonché la condanna delle stesse al versamento dei dovuti
contributi previdenziali, e dell’INPS alla ricostruzione della posizione previdenziale per il
periodo dedotto; in subordine, previa declaratoria di nullità del termine apposto al’ultimo
contratto, domandava la condanna della società Telecontact alla riassunzione nonchè al
risarcimento del danno per il periodo di disoccupazione. Nel pervenire al rigetto della
domanda, la Corte del merito osservava che era errata la deduzione dell’appellante
secondo cui spettava alle società di superare la presunzione di subordinazione del
rapporto di lavoro degli addetti ai call centers secondo la disciplina legale dettata dal d.
I.gvo 10.9.2003 n. 276 e che doveva aversi riguardo alle modalità di svolgimento del
rapporto, non trovando applicazione l’art. 20 d. Igvo n. 276/2003, riguardante la specifica
ipotesi della somministrazione di lavoro consentita per la gestione dei call centers, ma non
idonea a stabilire la regola della subordinazione rispetto ad altri tipi di contratto come
quello avente ad oggetto la prestazione lavorativa in esame. Non poteva aversi riguardo
neanche alla disciplina collettiva che regolamentava le mansioni in questione se svolte in
regime di subordinazione, ma non era idonea ad imporre obblighi di qualificazione del
rapporto. Nello specifico, nei contratti che avevano regolato i singoli rapporti era stabilito
che l’incarico consistesse in attività di collaborazione, nella effettuazione dei servizi forniti
alla clientela dalla società, senza che vi fosse un obbligo di rendere conto dei tempi e dei
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Center s.p.a.. L’ appellante deduceva di avere svolto, presso gli uffici operativi di Roma, le

modi della attività dei lavoratori, ma soltanto dei risultati conseguiti, senza obbligo di
preciso orario lavorativo e dovere di fornire giustificazioni nei giorni di riduzione o
sospensione dell’attività, senza assoggettamento a codice disciplinare e con possibilità,
per i predetti, di concordare con altro collaboratore la sostituzione per eventuale assenza,
previa mera comunicazione. Non era emersa eterodirezione della prestazione ed
assoggettamento a poteri gerarchici e le deduzioni dell’appellante al riguardo erano dalla
Corte ritenute generiche e non suscettibili di verifica probatoria secondo la richiesta di

incompatibili con il rapporto di lavoro autonomo ed il complessivo modello organizzativo
era incompatibile con il regime della subordinazione, non potendo valere la comparazione
e l’identità di svolgimento della prestazione degli addetti ai cali center TIM. Non si
ravvisavano, infine, i presupposti per l’attivazione dei poteri officiosi per l’accertamento
delle modalità di svolgimento in concreto della prestazione.
Per la cassazione della decisione ricorre l’Annibale, affidando l’impugnazione ad unico
motivo, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resistono, con distinti controricorsi, la Almaviva Contact Center s.p.a., la Telecontact
Center e la Telecom Italia s.p.a. La prima di esse ha esposto ulteriormente le proprie
difese in memoria illustrativa. L’INPS ha rilasciato deleghe in calce ai controricorsi notificati
ed ha partecipato all’udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo, la ricorrente denunzia violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea
/
dei diritti dell’uomo, con riguardo ali% asserito diniego di un equo processo, violazione
dell’art. 111, comma 1°, della Costituzione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.; lamenta il
mancato esercizio dei poteri officiosi, ex art. 421 c.p.c., nonchè omessa e/o contraddittoria
motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c.. Richiama capitoli di prova già esaminati dal giudice
del gravame che era pervenuto a disattendere la richiesta di ammissione del mezzo
istruttorio e contesta che il giudice del gravame non abbia ravvisato le condizioni per
l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio a tini integrativi, sostenendo che ingiustificatamente
era stato omesso l’ esame della circolare del Ministero del Lavoro e di due verbali di
ispezione redatti dal Ministero a carico della Atesia. Assume che, se pur vero che gli
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ammissione di prova per testi formulata. Le istruzioni ricevute durante i briefings non erano

effetti sanzionatori dell’accertamento eseguito erano stati sospesi dal T.A.R., in ogni caso
tale documentazione certificava le modalità operative del lavoro svolto dagli addetti al cali
centers e la violazione della procedura di cui all’art. 4 della legge n. 300/70, in relazione al
controllo a distanza dei lavoratori. Riporta stralci dei verbali ispettivi e richiama il contenuto
della sanatoria di cui alla legge finanziaria del 2007 per l’Atesia ed altre aziende operanti
nel medesimo settore, con riferimento a lavoratori formalmente autonomi ma

officiosi ed infine richiama l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo per
evidenziare il diniego d’accesso ad un Tribunale.
Recita l’art. 6 di tale Convenzione che “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica
udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale
costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di
carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Sostiene la ricorrente che la norma richiamata, pur non dettando regole precise circa
l’ammissione delle disposizioni testimoniali o della loro valutazione, impone di ricercare se
la procedura considerata nel suo insieme, compreso il modo di presentazione delle prove,
abbia rivestito un carattere equo ed assume che, pertanto, l’istruttoria chiesta era dovuta
ed indefettibile. Al riguardo rileva questa Corte che la doglianza sì appunta più
specificamente sulla erronea valutazione delle circostanze più qualificanti oggetto delle
prove per testi e dell’interrogatorio formale dedotte sia in primo che in secondo grado ed al
riguardo risultano riprodotti i capitoli di prova relativi all’osservanza di orari di lavoro al fine
di non incorrere in rimproveri verbali e nella mancata rinnovazione dei contratti,
all’osservanza, sin all’inizio dell’esecuzione dell’attività lavorativa, di istruzioni e direttive
fornite dai diretti superiori nel corso dei briefings di aggiornamento che si tenevano
periodicamente circa ogni dieci giorni, al controllo dell’operato della ricorrente da parte dei
suoi superiori, alla necessità di comunicazione delle eventuali assenze, alle modalità di
svolgimento della prestazione con caratteristiche sovrapponibili a quelle che
caratterizzavano il lavoro subordinato svolto dagli addetti ai call centers Tim disciplinato
dal contratto di lavoro delle telecomunicazioni. Rispetto ad una tale articolata richiesta di
ammissione di prova orale, la pronuncia della Corte del merito deve ritenersi carente, in
quanto sicuramente le circostanze indicate nei capitoli erano valutabili in termini di
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sostanzialmente subordinati, per dedurne l’erroneità del mancato esercizio dei poteri

decisività rispetto alla decisione assunta. Peraltro, la deduzione nei termini sopra riportati,
appare conforme a quanto prescritto ed ai principi giurisprudenziali sanciti in materia, alla
cui stregua qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione
di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare
ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare
specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di

accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza
quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo
sulla decisività delle prove (cfr., tra le altre, Cass. 22.2.2007 n. 4178, Cass. 17.5.2007 n.
11457, Cass. 23.2.2009 n. 4369). Il vizio di motivazione per omessa ammissione della
prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in
cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della
controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia
idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di
mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il
convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva
di fondamento (cfr. 11457/2007 cit.)
Nella specie la censura, lungi dal sollecitare una lettura delle risultanze processuali
diversa da quella operata dal giudice di merito, evidenzia i vizi logici dello stesso
ragionamento decisorio laddove è stata esclusa la rilevanza di fatti che, se provati,
avrebbero potuto condurre ad una diversa pronunzia, per la diretta inerenza degli stessi
agli elementi costitutivi del rapporto in contestazione e per la loro intrinseca valenza tale
da non poterne comportare l’esclusione dal novero delle emergenze processuali decisive
per la corretta soluzione della lite. E’ evidente che le lettere di incarico esaminate dal
giudice del gravame rappresentino l’assetto formale previsto dalle parti in rapporto al
contenuto astratto ed alle modalità di svolgimento della prestazione. Tuttavia, deve
osservarsi che, ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un
rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del
contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante e non esime il giudice dal
puntuale accertamento del comportamento in concreto tenuto nell’attuazione del rapporto,
posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver
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prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso

simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina
legale in materia, ovvero, pur esprimendo al momento della conclusione del contratto una
volontà autentica, potrebbero, nel corso del rapporto, aver manifestato, con
comportamenti concludenti, una diversa volontà. (Cass. 23.7.2004 n. 13872). Tale
principio, che valorizza l’esigenza di tutela del lavoratore rispetto all’esistenza di un
assetto formale del rapporto che nella sostanza non rispecchi il reale atteggiarsi dello

energie lavorative del prestatore di lavoro in modo continuativo pur consentendo al datore
di lavoro di beneficiare di vantaggi connessi alla difforme qualificazione contrattuale, non
risulta applicato nel caso considerato, avendo il giudice del gravame valorizzato il
contenuto delle lettere di incarico prodotte, ma nel contempo omesso dì vagliare
adeguatamente il carattere rilevante delle ulteriori circostanze dedotte trasfuse nelle
istanze probatorie di cui si chiedeva l’ammissione. Posti gli elementi che
contraddistinguono i due tipi di rapporto, in sede di legittimità è censurabile l’accertamento
di fatto, finalizzato all’ inclusione del rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema
contrattuale, che non sia sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e
giuridici (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 326/1996; 4036/2000, Cass. 5.5.2010 n. 10853). Nella
prospettiva della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento
dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a
causa della peculiarità delle mansioni e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre,
invero, fare riferimento a criteri complementari e sussidiari – come quelli della
collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza dì un orario determinato,
del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento
dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in
capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale – che, privi ciascuno di
valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della
subordinazione (cfr, ex plurimis, Cass., S.U., n. 379/1999; 14071/2002). Nel senso della
valorizzazione del concreto atteggiarsi del rapporto si è posta peraltro anche la recente
pronunzia di questa Corte n. 4476 del 2012 relativa a prestazione resa nei confronti della
stessa società Almaviva Contact. Dovendo, pertanto, affermarsi che le circostanze fattuali
di cui la ricorrente lamenta la mancata considerazione rivestano, nel senso testè indicato,
il carattere della decisività, deve ribadirsi la sussistenza del dedotto vizio motivazionale.
Peraltro, sia pure su diverso piano, l’omissione del giudice del gravame si è palesata
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stesso e la esistenza di vincoli di assoggettamento più penetranti tesi ad utilizzare le

anche nella mancata considerazione della produzione documentale e specificamente del
verbale di ispezione redatto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale in data
21.8.2006 a carico dell’Atesia e di quello successivo del 24.8.2006 che, comunque,
dovevano costituire oggetto di esame, pure essendone stati sospesi gli effetti sanzionatori
da ordinanza cautelare del TAR del Lazio, in relazione all’illustrazione in essi contenuta
delle modalità operative degli addetti al cali centers dell’Atesia, che aveva indotto l’ente
accertatore ad avanzare rilievi circa la violazione della procedura di cui all’art. 4 comma 2

prestazione era descritta in modo da evidenziarne i caratteri di sostanziale subordinazione
tecnica e gerarchica nel contesto dell’attività produttiva aziendale nel quale erano
organicamente inseriti.
Vale, poi, con riferimento al secondo profilo di doglìanza, rilevare che la Corte di
Cassazione ha più volte ribadito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli
artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di
già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle
parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere — dovere,
sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola
formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo — in ossequio a quanto
prescritto dall’art. 134 cod. proc. civ., ed al disposto di cui all’art.. 111, primo comma,
Cost., sul “giusto processo regolato dalla legge” di esplicitare le ragioni per le quali reputi
di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle
parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Tali poteri non possono in ogni caso essere
esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle
parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove
atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volontà delle parti di non servirsi di
detta prova o, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della
controversia, ammettendosi d’ufficio una prova diretta a sminuirne l’efficacia e la portata, o
allorquando, infine, si richieda non tempestivamente e non ritualmente la prova tanto da
ritardare — in violazione del principio della ragionevole durata del processo — i tempi della
decisione (sui poteri istruttori del giudice del lavoro cfr. Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n.
11353, e, più di recente, ex plurimis, Cass. 5 febbraio 2005 n. 2379, nonché, da ultimo,
Cass. 5 novembre 2012 n.18924).
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della I. 20.5.1970 n. 300 nell’ambito del controllo a distanza dei lavoratori, la cui

Ne consegue, pertanto, che la ricorrente fondatamente si duole nel caso di specie del
mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, per non essere stata la condotta del giudice
del gravame rispettosa del principio del giusto processo, dal momento che la richiesta di
prova testimoniale e di interrogatorio formale – mezzi istruttori , come già detto miranti a
provare fatti decisivi per il giudizio – è stata rinnovata ritualmente in sede di gravame e che
anche la produzione documentale era di indubbio valore probatorio integrativo per le

La sentenza va, in conclusione, cassata in relazione all’accoglimento dell’unico motivo di
ricorso e rinviata alla Corte di appello designata in dispositivo, perchè proceda a nuovo
esame dei fatti di causa con riferimento alle ulteriori indagini istruttorie sollecitate ed alla
valutazione della produzione documentale indicata, facendo ricorso anche a poteri
integrativi istruttori nei limiti consentiti dalla normativa vigente ed in conformità ai principi
giurisprudenziali sopra richiamati.
Al giudice di rinvio va rimessa la quantificazione delle spese di lite anche del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 26.6.2013

circostanze fattuali accertate in sede ispettiva.

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