Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21359 del 13/08/2019

Cassazione civile sez. I, 13/08/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 13/08/2019), n.21359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9367/2018 proposto da:

O.F., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe

Trabocchetta del foro di Potenza;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 460/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 21/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato tempestivamente O.F., cittadino originario della Nigeria, impugnava innanzi al Tribunale di Potenza il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria.

Il ricorrente riferiva di essere nato e vissuto a (OMISSIS) nell’Edo State; il padre era un sacerdote della setta religiosa animista del villaggio; alla morte del padre, poichè si era rifiutato di entrare a far parte di tale setta i membri avevano iniziato a cercarlo per ucciderlo; riferiva dunque di essere fuggito dalla Nigeria per timore di essere ucciso.

Il Tribunale di Potenza rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria.

La Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 716/2016 confermava le statuizioni di prime cure.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, O.F..

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla dichiarazione del ricorrente circa il rischio di essere ucciso in caso di rimpatrio in Nigeria: la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare quanto dichiarato dal ricorrente in sede di audizione in Commissione ed innanzi al tribunale, vale a dire che rischierebbe di essere ucciso dai membri della setta religiosa di cui aveva rifiutato di fare il chief priest.

Il motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio della pronuncia impugnata.

La Corte territoriale, pur dando atto che la questione della minaccia proveniente da una setta religiosa era rilevante e meritava approfondimento alla luce della effettiva situazione della Nigeria, con apprezzamento di merito adeguato, ha ritenuto che il racconto del richiedente non fosse credibile, considerata la genericità ed incompletezza della narrazione e la scarsa verosimiglianza delle circostanze e ragioni del suo reclutamento da costui riferite.

Tale valutazione di scarsa credibilità assume valore dirimente, posto che quando le dichiarazioni del richiedente sono giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in merito alla valutazione di credibilità del ricorrente, deducendo che sarebbero stati violati tutti i parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Il motivo è inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce infatti un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Orbene, nel caso di specie il ricorrente si limita a dedurre la generica violazione dei parametri di cui all’art. 3, comma 5), ma non evidenzia alcun concreto elemento che sarebbe stato trascurato dal giudice di merito, limitandosi a dedurre la mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria e lamentando che alla genericità del racconto in ordine alle minacce ricevuta dalla setta, si sarebbe potuto porre rimedio chiedendo al ricorrente di integrare e precisare le relative circostanze.

Si osserva in contrario che, come già evidenziato, la mancanza di veridicità non è stata fondata dal giudice di merito sull’impossibilità di fornire riscontri probatori, bensì sulla laconicità del racconto che lo rendeva scarsamente credibile.

In mancanza di riferimenti specifici da parte del richiedente, d’altro canto, non è di fatto praticabile la cooperazione istruttoria, che presuppone pur sempre l’assolvimento dell’onere di allegazione specifica, fermo restando che la Corte territoriale ha altresì messo in rilievo, sempre con riferimento alla valutazione di credibilità, la mancanza di una motivazione convincente del reclutamento del richiedente da parte della setta.

Il terzo e quarto motivo denunciano la nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 112 e 346 c.p.c., nonchè degli art. 99 e 112 c.p.c., art. 2907 c.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, deducendo che l’eccezione preliminare sollevata dal Ministero dell’interno nel giudizio di primo grado, relativo alla mancata richiesta innanzi alla commissione della protezione sussidiaria era stata respinta dal tribunale e non era stata riproposta in grado di appello, neppure nelle forme dell’art. 346 c.p.c., con la conseguenza che la Corte territoriale non avrebbe dovuto pronunciarsi su tale eccezione.

Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio fondamentale della pronuncia.

La Corte territoriale non ha infatti respinto la protezione sussidiaria accogliendo un’eccezione di carattere processuale, ma ha affermato che l’insussistenza di conflitto armato impediva di valutare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando, ad abundantiam, che il ricorrente aveva mutato la propria versione, prospettando solo in sede giurisdizionale il danno grave in correlazione alla situazione del suo paese.

La corte d’appello ha invero ritenuto che il fenomeno terroristico era limitato alle zone di nord-est della Nigeria, ed ha escluso che nella zona di provenienza del ricorrente fosse in atto una situazione di violenza generalizzata, tale da far ragionevolmente ritenere che se il civile rientrasse nella zona di origine correrebbe il concreto rischio di subire tale violenza.

Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 8 Direttiva 2011/95/UE del 13/12/2011 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14, lett. c), censurando la statuizione della Corte territoriale che ha escluso la sussistenza di violenza generalizzata nella parte meridionale del paese da cui proviene il ricorrente: pur ammettendo che nel sud della Nigeria non vi sia una situazione di violenza indiscriminata il richiedente avrebbe comunque diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale dello straniero, questa Corte ha avuto modo di affermare che il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva (Cass. 2294/2012; 8399/2014).

Tale situazione è ben diversa da quella in esame.

Nel caso di specie la Corte territoriale non ha affatto affermato che il richiedente avrebbe potuto trasferirsi in un’altra regione più tranquilla del paese di origine, ma ha piuttosto accertato che la zona della Nigeria di provenienza del ricorrente non era interessata da una situazione di violenza generalizzata, localizzata nella zona del nord-ovest in cui opera il gruppo terroristico (OMISSIS): ha pertanto escluso la sussistenza dei presupposti della c.d. protezione sussidiaria.

Tale statuizione è conforme a diritto.

Ai fini della valutazione della situazione oggettiva indicata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve farsi riferimento, soprattutto in un paese molto vasto e differenziato, come la Nigeria, alla regione di provenienza del richiedente, dovendo escludersi la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria qualora nella suddetta regione non sussista una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato (Cass. 28433/2018).

Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al diniego della protezione umanitaria ed alla mancata applicazione del principio di non refoulement, nonostante la grave minaccia alla vita ed integrità fisica del richiedente ed all’impossibilità per il medesimo di professare in patria la propria religione.

Pure tale motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia.

La Corte ha infatti escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in conseguenza della scarsa credibilità del racconto del richiedente ritenendo che non fosse ravvisabile alcuna situazione di vulnerabilità.

La statuizione è conforme a diritto.

Con riferimento alla protezione umanitaria è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Ed invero, la Corte ha da un lato escluso la credibilità della narrazione del richiedente, dall’altro ha accertato che la situazione del sud della Nigeria non presenta una generalizzata di situazione di pericolo di vita o di compromissione dei diritti fondamentali inviolabili.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministro non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese del giudizio.

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, atteso che, con Delib. 26 gennaio 2018, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, l’odierno ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in relazione al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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