Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21358 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/09/2017, (ud. 22/06/2017, dep.14/09/2017),  n. 21358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7552-2016 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO LUCIO

APULEIO 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO STRILLACCI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIA DRUSILLA 13, presso lo

studio dell’avvocato ANNA MARIA ROMAGNINO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6374/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/06/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

PREMESSO

– che P.D. è rimasto soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito in ordine alla domanda di risarcimento danno dallo stesso proposta nei confronti di Generali Italia s.p.a. quale impresa designata in nome e per conto del FGVS;

– che in particolare la Corte d’appello di Roma, con sentenza 16.11.2015 n. 6374, ha ritenuto che il danneggiato non avesse fornito elementi neppure presuntivi della ricostruzione del sinistro secondo cui mentre era alla guida del proprio ciclomotore veniva urtato posteriormente da veicolo rimasto sconosciuto, essendo manifestamente inattendibile l’unico teste, indicato per la prima volta dal P. alla udienza ex art. 184 c.p.c., oltre quattro anni dopo il sinistro;

– che P.D. ha impugnato la sentenza deducendo quattro motivi per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (primo motivo), per omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo motivo), per violazione degli artt. 115,116 e 132 c.p.c. e art. 589 c.p. (terzo motivo); per nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

– che resiste con controricorso Generali Italia s.p.a. n.q. di impresa designata per il FGVS, subentrata ad INA Assitalia s.p.a.

che P.D. ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c.;

– che il Collegio ha raccomandato la redazione di motivazione semplificata.

Diritto

RITENUTO

– che i quattro motivi sono tutti inammissibili in quanto rivolti a richiedere alla Corte di legittimità un nuovo riesame nel merito degli elementi di fatto già valutati dal Giudice di appello;

– che quanto al primo motivo, rimane oscura la stessa critica rivolta alla sentenza impugnata: la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 prelude ad una materiale carenza della parte motiva della sentenza o ad una incomprensibilità tale delle argomentazioni svolte da impedire il riconoscimento del nesso relazionale tra premesse in fatto e regola di diritto applicata, ipotesi entrambe escluse nel caso di specie avendo la Corte territoriale rilevato: 1 – che l’unico riscontro fornito dal danneggiato alla dinamica del sinistro come descritta in citazione era il teste F.; 2 – che detto testimone era risultato manifestamente inattendibile in quanto emerso all’improvviso a distanza di oltre quattro anni dal sinistro, senza che della sua presenza fosse stata data segnalazione ai VV.UU. o agli infermieri della ambulanza intervenuti sul luogo del sinistro, non avendo peraltro il P. fornito indicazioni del teste nella richiesta risarcitoria inviata nel 2001 al FGVS e neppure nell’atto di citazione notificato nel 2003, ma soltanto con la memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c.. Non è dato riscontrare pertanto nel contenuto testuale della sentenza alcuno di vizi insanabili (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del requisito motivazionale;

che, quanto alla violazione delle norme processuali indicate nel primo e nel terzo motivo, è appena il caso di osservare come al Giudice del merito spetti in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 3, Sentenza n. 20322 del 20/10/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 828 del 16/01/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014). Esula del tutto, quindi, dal predetto vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ed operando il conseguente giudizio di prevalenza delle risultanze istruttorie (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Occorre opportunamente precisare, in proposito, che non è – evidentemente – consentito riproporre, sotto altra forma paradigmatica, attraverso la denuncia del combinato disposto dell’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la medesima censura dei “vizi di logicità” eliminati dall’attuale testo normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che per giurisprudenza consolidata il principio del “libero convincimento” ex art. 116 c.p.c. (il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento), opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, riservato in via esclusiva al Giudice di merito, e come tale è insindacabile in sede di legittimità: deve ritenersi, infatti, assolutamente pacifico in giurisprudenza che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio motivazionale, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 12912 del 13/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013), essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014). Conseguentemente la censura di violazione delle norme processuali in questione non è idonea ex se a “recuperare” il precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” come vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente denunciabili per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c. asseriti errori di “convincimento” attinenti alla valutazione della preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), comportando una tale censura pur sempre l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori, che non trova accesso nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015);

– che, quanto al secondo motivo, del tutto incongruo appare il riferimento ai fatti asseritamente omessi dal Giudice di appello “sopra specificamente indicati nei punti a, b, c” (indicati nel primo motivo), atteso che proprio in base ai fatti la Corte territoriale ha deciso ritenendo insussistente la prova della verificazione del sinistro;

– che del tutto inconferente è l’asserita violazione dell’art. 582 c.p. (nella parte in cui prevede la perseguibilità di ufficio per lesioni superiori a venti giorni), tenuto conto che la Corte d’appello ha inteso valutare non la necessità – nella specie non ricorrente – della presentazione dell’atto di “querela”, ma più in generale il comportamento del P. che non ha fornito alcuna descrizione del sinistro alle autorità competenti, non avendo lo stesso prospettato neppure ai VV.UU. che lo avevano invitato a rendere informazioni il 16.4.2000 di essere stato investito da un veicolo rimasto non identificato;

– che il quarto motivo neppure individua la norma di diritto violata limitandosi a censurare l’asserita violazione di provvedimenti aventi natura amministrativa relativi alla organizzazione del lavoro giudiziario, e deducendo un vizio di nullità che parrebbe concernere la costituzione del giudice ma che allora avrebbe dovuto essere fatto valere in grado di appello, convertendosi tutte le nullità della sentenza (tranne la mancanza di sottoscrizione) in vizi di gravame ex art. 158 c.p.c. e art. 161 c.p.c., comma 1 (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 14699 del 02/10/2003; id. Sez. 2, Sentenza n. 236 del 11/01/2010; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17834 del 22/07/2013);

che il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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