Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21356 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21356 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19992-2010 proposto da:
BANCA NUOVA S.P.A 00058890815, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato
SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ALFREDO SIGILLO’
2013

MASSARA, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2148
contro

LI CAUSI ANTONIO LCSNTN67R11L331G,
domiciliato

in

elettivamente

ROMA, VIA BENACO 7, presso lo studio

Data pubblicazione: 18/09/2013

dell’avvocato ENRICO TEDESCHI, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIOVANNI APOLLONI, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 597/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/06/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega verbale
SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di PALERMO, depositata il 21/04/2010 r.g.n. 653/08;

. Udienza 18.6.2013, causa n. 9
R.G. n. 19992/10
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza emessa dal Tribunale di Trapani n. 289/2007 la Banca Nuova spa veniva
condannata al pagamento in favore di Li Causi Antonino della somma di euro 25.500,00 oltre

2000 sino al momento del licenziamento. La Corte di appello di Palermo con sentenza del
1.4.2010 confermava la sentenza impugnata rigettando l’appello della Banca. La Corte territoriale
osservava che era certo il demansionamento alla luce della contrattazione collettiva applicabile e
del livello di inquadramento dell’appellato posto che il Li Causi era analista programmatore ( e
svolgeva le mansioni di analista programmatore su grandi sistemi presso il CED della Banca come
riferito dai testi ) mentre dal Marzo 2001 era stato addetto ad attività di mera aggregazione di dati
estrapolati da archivi informatici. Tali ultime mansioni erano prive di autonomia e responsabilità,
prima godute dal Li Causi. Le ragioni di ordine organizzative addotte dalla società costituivano una
difesa nuova e comunque apparivano irrilevanti per giustificare un preteso ius vanandi che aveva
comportato un rilevante sacrificio della professionalità acquisita dal lavoratore. Appariva anche
irrilevante la circostanza della mancata reazione del Li Causi posto che il rifiuto di svolgere una
prestazione dequalificante costituisce per il lavoratore una facoltà ma non un obbligo. Il danno- per
la Corte di appello- era stato correttamente determinato in via equitativa in relazione alla
professionalità acquisita, alla durata del demansionamento ed all’entità dello stesso. Era stata
anche considerata la durata della malattia sofferta e non era risultato provato che il trasferimento
proposto valesse a ripristinare la professionalità violata.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Banca Nuova spa con 4 motivi; si è costituito
il Li Causi con controricorso, notificato tuttavia tardivamente. La Banca Nuova ha depositato
memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si da atto che il resistente personalmente haeres neo istanza per ottenere la
oe;
memoria presentata da controparte ex art. 378 c.pc. , Glaced=è. lamentato (non essere stato
ammesso ad esaminare.

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accessori a titolo di risarcimento del danno per il demansionamento subito dal detto Li Causi dal

« Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’ad. 345 c.p.c. La Corte di
appello ha errato nel considerare le ragioni organizzative addotte dalla società per giustificare il
mutamento di mansioni del Li Causi come una difesa nuova, mentre tali difese erano già state
prospettate sin dal primo grado; nello stesso ricorso introduttivo vi era un richiamo alle vicende
organizzative della Banca.
Il ricorso è infondato in quanto sul punto la Corte di appello ha adottato una duplice motivazione;

organizzativi a monte del demansionamento, dall’altro lato si è rilevato che, anche se tali ragioni
organizzative si fossero rivelate fondate, comunque non avrebbero potuto giustificare un
mutamento di mansioni che comportava un così rilevante sacrificio della professionalità acquisita
dal dipendente come quella accertata in sentenza. Ora quest’ultima ratio decidendi non viene in
alcun modo impugnata nel motivo ed è sufficiente per l’accertamento dell’illegittimità del
mutamento di mansioni posto che certamente lo ius variandi di cui gode il datore di lavoro (
espressione anche della tutela costituzionale della libertà d’impresa di cui all’ad. 41 Cost.) può
essere esercitato solo nel rispetto l’art. 2103 c.c., mentre è invece emerso che il Li Causi ha svolto
dalla fine del 2000 mansioni prive di quegli elementi di autonomia e responsabilità
precedentemente goduti nell’attività esercitare presso il CED della Banca. Peraltro il motivo non
consente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, neppure di
verificare se effettivamente siano state sviluppate in appello difese ” nuove”, posto che non si
ricostruisce come la questione ” ristrutturazione ” organizzativa sia stata sviluppata in appello
confrontando i motivi di impugnazione con le difese di primo grado.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’ad, 2103 c.c. in relazione
all’ad. 41 della Costituzione, nonché l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il CED era stato soppresso; il Li Causi era stato immediatamente trasferito ad una nuova struttura
immediatamente operativa ed era stato comunque proposto un trasferimento. La pretesa
dequalificazione era comunque finalizzata ad evitare il licenziamento del dipendente; la
ristrutturazione rientrava comunque nel libero esercizio dell’ attività imprenditoriale garantito
dall’ad. 41 della Costituzione.
Il motivo appare infondato per quanto già esposto. Certamente rientrava nei poteri
dell’imprenditore quello di operare la ristrutturazione indicata con la soppressione del CED della
Banca; tuttavia dovevano essere affidate al lavoratore ex art. 2103 c.c. (come ormai chiarito da
tempo dalla giurisprudenza di questa Corte) mansioni compatibili con il livello di inquadramento e
con la professionalità acquisita. La sentenza impugnata ha accertato che tale compatibilità non
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da un lato si è osservato che la Banca aveva sviluppato difese ” nuove” sui mutamenti

sussiste in quanto le nuove mansioni appaiono totalmente prive di autonomia e di responsabilità,
elementi che connotavano, in piena evidenza, quelle svolte in precedenza. La Corte di appello ha
già osservato che non può ritenersi che il demansionamento sia legittimato dalla volontà di
impedire il licenziamento in quanto mansioni dequalificanti devono essere comunque accettate ( e
prima ancora proposte, il che non sembra neppure essere stato dedotto) dal lavoratore ( cfr. cass.
N. 28774/2008; cass. N. 29832/2008; cass. N. 6572/2006). Ancora la Corte di appello ha
osservato che le dedotte finalità del trasferimento (ripristinare la professionalità del Li Causi) non

appare correttamente e congruamente motivata avendo esaminato tutti gli aspetti dell’awenuto
demansionamento e non appare condivisibile ancorare il disposto mutamento di mansioni
all’esercizio dei poteri imprenditoriali coperti dall’art. 41 della Costituzione perché tali poteri ( tra cui
rientra anche lo ius variandi) devono, come detto, rispettare la norma di cui all’ad, 2103 c.c.,
palesemente violata nella fattispecie.
Con il terzo motivo si allega l’omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della
controversia. Il Li Causi non aveva reagito per circa 4 anni, neppure richiedendo un colloquio con i
responsabili delle risorse umane. Le nuove mansioni erano state di fatto accettate.
Il motivo appare infondato avendo sul punto la Corte di appello già congruamente e logicamente
motivato. La reazione del lavoratore ad un demansionamento ( eventualmente nei casi più gravi
con il rifiuto della prestazione), costituisce una facoltà, certamente non un obbligo posto che è
onere del datore di lavoro non violare le norme, come quelle di cui all’art. 2013 c.c., poste a tutela
della dignità e della professionalità del dipendente e che il lavoratore può essere trattenuto
dall’esercizio dei suoi diritti dal pericolo di pregiudicare la propria situazione occupazionale .
Peraltro la stessa circostanza della proposta di un trasferimento sembra dimostrare che il datore
di lavoro era ben consapevole che le nuove mansioni fossero inadeguate e che si dovesse trovare
una soluzione diversa per Li Causi.
Con l’ultimo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Non era
stato dimostrato il danno, che la Corte di appello ha accertato in base ad elementi neppure dedotti
dal ricorrente.
Il motivo appare infondato in quanto come correttamente osservato dalla Corte di appello il danno
da demansionamento può essere accertato in via equitativa in relazione ad elementi obiettivi

emergenti dalla fattispecie in esame anche ex art. 115 c.p.c. ( cfr. cass. N. 4063/2010; cass. N.

28274/2008; cass. N. 29832/2008); principio cui si è attenuta la Corte territoriale ( e prima ancora
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sono state provate; nello stesso ricorso non si allega nulla in proposito. Pertanto la sentenza

- alla luce della sentenza impugnata il Giudice di prime cure) che ha valutato la durata del
mansionamento, la sua entità, il tipo di mansioni esercitate, elementi tutti emergenti obiettivamente
dal coso esaminato . L’entità del risarcimento ( la cui determinazione spetta al Giudice del merito)
peraltro non viene in sé contestata al motivo, né si offrono argomenti di sorta per ritenerla
sproporzionata.
Si deve quindi rigettare il ricorso. Nulla sulle spese in quanto il controricorso è tardivo e non è stata

P.Q.M.
La Corte; rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in ROMA, il 18.6.2013

svolta attività difensionale all’odierna udienza.

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