Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21352 del 15/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 15/10/2011), n.21352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20523-2010 proposto da:

S.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avv. PARRILLO LUCIO, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale 1780 rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati RICCIO ALESSANDRO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 940/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

5.2.2010, depositata il 04/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci che si riporta

agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARLO DESTRO

che nulla osserva.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Benevento, in data 12.7.2004, S.P. chiedeva la condanna dell’Inps alla corresponsione della pensione di inabilità a decorrere dalla data di presentazione della domanda amministrativa.

Con sentenza del 25.11.2005 il Tribunale adito, disposta ed espletata consulenza medico legale d’ufficio, rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originaria ricorrente lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 5.2/4.3.2010, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione S. P. con un motivo di impugnazione.

Resiste con controricorso l’Istituto intimato.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Col predetto ricorso la ricorrente lamenta violazione del D.M. 5 febbraio 1992, rilevando che la Corte territoriale aveva errato nel condividere le conclusioni cui era pervenuto il CTU, sia perchè quest’ultimo non aveva condotto regolarmente l’esame obiettivo e non aveva applicato le esatte percentuali invalidanti siccome tabellate, sia perchè non aveva valutato correttamente tutte le infermità da cui era affetta essa ricorrente, sia perchè non aveva indicato il possibile reimpiego delle residue energie lavorative della stessa.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso è infondato.

In proposito occorre innanzi tutto evidenziare che, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti; e pertanto la ricorrente, nel rilevare la erroneità dell’esame obiettivo effettuato dal CTU, la non corretta applicazione della tabella indicativa delle percentuali di invalidità e la mancata indicazione del possibile reimpiego delle residue energie lavorative dell’interessata, avrebbe dovuto allegare al ricorso la contestata relazione di consulenza medico legale (sulla quale il decidente aveva fondato il proprio convincimento), ovvero riportare per esteso il contenuto della suddetta relazione, al fine di consentire l’accertamento del denunciato vizio, ed in particolare al fine di stabilire se il CTU avesse valutato il quadro patologico riscontrato con riferimento alla possibilità di svolgere una attività lavorativa idonea ad assicurare la produzione di un reddito.

Posto il valore assorbente di tale rilievo, osserva altresì il Collegio, in merito alle censure concernenti la erronea valutazione delle patologie riscontrate, che questa Corte ha avuto modo a più riprese di affermare che, in tema di trattamento di invalidità, costituisce tipico accertamento di fatto la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla obiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, nonchè alla incidenza delle stesse in relazione ai requisiti previsti dalla legge per la concessione delle singole prestazioni richieste.

Tale accertamento è incensurabile in sede di giudizio di legittimità quando è sorretto da motivazione immune da vizi logici e giurìdici che renda possibile identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione. Ciò in quanto il controllo di legittimità non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, cui è appunto riservato l’apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova acquisiti al processo.

Ora, è pur vero che quando il giudice del merito si basa sulle conclusioni dell’ausiliario, gli eventuali errori e lacune della consulenza si riverberano sulla sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione; ma perchè ciò possa verificarsi è necessario che si tratti di carenze o deficienze diagnostiche, o di affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già di semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (ex plurimis, Cass. sez. lav., 12.12.2003 n. 19005; Cass. sez. lav., 23.8.2003, 12408; Cass. sez. lav., 15.7.2003 n. 11054; Cass. sez. lav., 11.1.2000 n. 225; Cass. sez. lav., 8.8.1998 n. 7798).

In tale corretta prospettiva, le censure sollevate col detto ricorso avverso l’impugnata sentenza non possono essere accolte atteso che tali censure, se pur formalmente dirette ad evidenziare l’esistenza di carenze diagnostiche ovvero di affermazioni illogiche, si traducono in realtà in una diversa valutazione del quadro patologico sottoposto all’esame del giudice.

Ed invero questa Corte ha rilevato che le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità solo se le relative censure contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale, la quale rientra fra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. sez. lav., 27.6.2005 n. 13722). In mancanza di detti elementi le censure proposte configurano, come verificatosi nel caso di specie, un vero e proprio dissenso diagnostico, irrilevante in sede di legittimità.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna statuizione va adottata in merito alle spese di giudizio, avendo parte ricorrente effettuato la prescritta dichiarazione reddituale ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2011

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