Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21351 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21351 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 19158-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2035

LANCIA GIOVANNI;

T

– intimato –

46

avverso la sentenza n.

3759/2007 della CORTE

Data pubblicazione: 18/09/2013

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/07/2007 R.G.N.
3115/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/06/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;

FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3759/07 del 12 luglio
2007, decidendo sull’impugnazione proposta da Lancia Giovanni nei confronti della
società Poste Italiane spa, con riguardo alla sentenza emessa dal Tribunale di
Benevento il 12 marzo 2004, in parziale accoglimento dell’appello, dichiarava la
nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso in data 10 gennaio 1999 tra
il suddetto lavoratore e Poste Italiane spa e per l’effetto dichiarava esistente fra le
parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Condannava Poste italiane spa a pagare a Lancia Giovanni le retribuzioni
spettanti dalla data della notifica del ricorso di primo grado, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi legali dalla maturazione di ciascun credito fino al saldo.
2. Il Lancia aveva adito il Tribunale esponendo di essere stato assunto dalla
suddetta società con contratto a termine dal 1° dicembre 1999 al 29 febbraio 2000,
con mansioni di operatore addetto al recapito presso l’ufficio di San Lorenzo
Maggiore-San Lupo motivato da “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale
introduzione di nuovi proOcessi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in
attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse
umane”, in virtù dell’art. 8 del CCNL del 1994, così come integrato dall’accordo del
25 settembre 1997.
Deduceva, quindi, l’illegittimità di tale contratto in quanto la clausola
apposta non era coperta da alcuna contrattazione autorizzata, e chiedeva che fosse
dichiarato sussistere tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla
data della stipula del contratto con conseguente condanna al ripristino del rapporto di
lavoro ed alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla data di cessazione del
rapporto di lavoro a termine.
Costituitasi in giudizio, Poste Italiane spa eccepiva, in viureliminare, la
decadenza dall’impugnativa per disinteresse della parte e affermava, nel merito, la
legittimità del termine.
Il Tribunale di Benevento accoglieva la preliminare eccezione in ordine al
difetto di interesse e, comunque, nel merito, rigettava la domanda.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Poste
Italiane spa, prospettando quattro motivi di ricorso, assistiti dai prescritti quesiti di
diritto.
4. L’intimato non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Motivazione semplificata.
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 1372,
primo comma, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 cc, 100 cpc.
La ricorrente censura la statuizione della sentenza resa in grado di appello
che ha ritenuto non sussistente la intervenuta risoluzione del contratto di lavoro per
mutuo consenso.
Espone la società Poste Italiane spa che, ai sensi dell’art. 1372 cc, l’inerzia
del lavoratore che rinuncia a contestare la pretesa illegittimità del termine apposto al
contratto di lavoro è elemento sufficiente ad integrare la di volontà negoziale dello
stesso, quando tale inerzia, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, ha avuto una
durata congrua.
Nel caso di specie l’inerzia del Lancia si era protratta per tre anni considerato
che l’unico contratto era scaduto il 29 febbraio 2000 e che solo nel luglio 2003
notificava il ricorso introduttivo, a fronte della brevità del rapporto, dell’avvenuta
percezione del TFR. Né poteva porsi a carico della società l’onere di provare
1

circostanze rivelatrici di un comportamento concludente del lavoratore, operandosi
in tal modo un’inversione dell’onere della prova.
Nel quesito di diritto la ricorrente fa, altresì, riferimento allo svolgimento di
attività lavorativa dopo lo spirare del termine apposto al contratto e al mancato
ripristino del rapporto di lavoro da parte del lavoratore chiamato in servizio in
esecuzione di provvedimento giudiziario, ma tele punto del quesito di diritto non è
assistito da argomentazioni nel motivo di ricorso.
2. Il motivo non è fondato.
Va, infatti, ribadito, in conformità all’insegnamento di questa Corte, che “nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto
di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla
base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine
ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni
non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di
diritto” (v. ad es. n. 23872 del 2009, n. 26935 del 2008). Tale principio va enunciato
anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, “grava sul
datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare
le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere
porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (cfr., Cass. n. 17070 del
2002).
Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel
caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal decorso del tempo
maturatosi prima della proposizione del ricorso, tenuto conto, fra l’altro, che
l’intimato, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, già in data 24 ottobre 2000
sottoscriveva rivendica alla Spa — Direzione di Benevento, per poi proporla in data
31 gennaio 2003 presso la DPLMO di Benevento. Riteneva, quindi, la Corte
d’Appello che il periodo intercorso tra la fine del contratto e l’inizio del contenzioso
giudiziario, intersecato, comunque, da più “azioni reattive”, non poteva provare da
solo, in maniera chiara e certa, l’assoluta mancanza di interesse della parte alla
permanenza del rapporto.
Né può assumere rilievo la percezione del TFR, atteso che può trovare
applicazione quanto già affermato da questa Corte, e cioè che la mera accettazione
del trattamento di fine rapporto non integra un comportamento tacito e idoneo a
configurare acquiescenza alla cessazione del rapporto, valendo, per contro,
l’impugnativa del licenziamento illegittimo a configurare “ex se” la volontà di
prosecuzione e ad escludere una risoluzione tacita (Cass., n. 3865 del 2008).
3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, dell’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994,
nonché degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27
aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999, del 18 gennaio 2001, in
connessione con gli artt. 1362 cc e SS.
La ricorrente, ripercorrente la vicenda giuridica dell’Ente poste e le diverse
fasi della contrattazione collettiva, censura la statuizione del giudice di secondo
grado che ha ritenuto di individuare nella data del 30 aprile 1998 il termine ultimo di
validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997.
2

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta omessa ed insufficiente.
motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, in ordine alla fonte di
individuazione della volontà delle parti collettive di fissare, alla data ultima del 30
aprile 1998 il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25 settembre
1997, atteso che dal corpo della motivazione non è dato comprendere in forza di
quale ragionamento logico o di quale percorso argomentativo la Corte d’appello sia
approdata alla decisione in esame.
5. In ragione della loro connessione il secondo ed il terzo motivo di ricorso
devono essere esaminati congiuntamente. Gli stessi non sono fondati.
Come questa Corte ha più volte rilevato, con giurisprudenza consolidata, “in
materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30
aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio,
con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza della legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (Cass., ord. n.
24281 del 2011).
La Corte d’Appello, richiamando, peraltro, la giurisprudenza di legittimità in
materia, ha fatto corretta applicazione del suddetto principio con motivazione
congrua ed adeguata che si sottrae alle censure prospettate, affermando che il
contratto a termine in questione è successivo al limite temporale entro il quale gli
accordi collettivi sopra indicati avevano circoscritto l’assunzione a termine per la
causale in base alla quale la società appellata ha giustificato l’apposizione della
clausola di durata nel caso di specie e, dunque, la clausola di durata doveva
dichiararsi nulla.
6. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
degli artt. 1217 e 1233 cc.
La ricorrente impugna la statuizione della sentenza con la quale la Corte
d’Appello ha condannato essa società a pagare le retribuzioni dalla data di notifica
del ricorso di primo grado, dovendo queseultime essergli attribuite solo dalla data di
riammissione in servizio salvo che abbia costituito in mora il debitore offrendo
espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art.
1206 e ssg. cc .
6. Il motivo non è fondato in base all’insegnamento di questa Corte Suprema
(cfr. Cass. S.U. 8 ottobre 2002 n. 14381 nonché, Cass. 13 aprile 2007 n. 8903) che,
con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per
effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle
disposizioni imperative della legge n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente
che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può
ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione
derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale
in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in
mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 cc. Tale costituzione in mora è
stata correttamente individuata dalla Corte d’Appello nel ricorso introduttivo del
giudizio.
3

Il Consigliere estensore

7. Il ricorso deve essere rigettato. Nulla spese in mancanza di attività
difensiva dell’intimato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma il 6 giugno 2013

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