Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21350 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21350 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 14613-2011 proposto da:
UNITA’ LOCALE SOCIO SANITARIA DI BELLUNO N. l,
00300650256, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato
PAFUNDI GABRIELE, che la rappresenta e difende
2013
1997

unitamente all’avvocato PRADE ANTONIO, giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

PAIS DE LIBERA ANITA PSDNTA56P62A501X, elettivamente

Data pubblicazione: 18/09/2013

.1.

domiciliata in ROMA, LARGO TEMISTOCLE SOLERA 7/10,
presso lo studio dell’avvocato PIROCCHI FRANCESCO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
PIROCCHI BARBARA, DALLE MULE LUCA, giusta delega in
atti e all’avv.to MARCO DE CRISTOFARO, giusta procura

controricorrente

avverso la sentenza n. 295/2010 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 03/07/2010 R.G.N. 571/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato PAFUNDI GABRIELE;
udito l’Avvocato PIROCCHI FRANCESCO;
udito l’Avvocato DE CRISTOFARO MARCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

speciale notarile in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3.7.2010, la Corte di Appello di Brescia, in sede di rinvio ed in riforma
della sentenza del Tribunale di Belluno, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato a
Pais De Libera Anita e condannava l’Unità Socio Sanitaria di Belluno N. 1 alla
reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, con
esclusione dei periodi in cui la stessa era stata riammessa in servizio in forza di

Rilevava che il giudizio riassunto dalla lavoratrice, la quale aveva lamentato la tardività
della contestazione degli addebiti, affermato l’estinzione del procedimento disciplinare ex
art. 29 c.c.n.I e la insussistenza di una giusta causa del recesso, doveva decidersi,
diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, nel senso della fondatezza
della eccezione di estinzione del procedimento disciplinare, una volta esclusa la tardività
della contestazione. Osservava che l’art. 30, commi 8 e 9, c.c.n.l. del Comparto Sanità,
disciplinante il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare, per la sua
formulazione lasciava intendere che dovesse essere assunto un provvedimento formale di
sospensione, da comunicare al dipendente, in caso di ritenuta connessione con il
procedimento penale e che, nell’ipotesi in esame, in cui non era stata disposta la
sospensione del procedimento disciplinare, alla data di riattivazione dello stesso nel
maggio 2002, dopo quasi quattro anni dalla contestazione disciplinare, il termine di 120
giorni di cui all’ad. 29, comma 6, c.c.n.l., era ampiamente spirato. Aggiungeva che, anche
volendo accedere alla diversa tesi della U.S.L., di sospensione automatica del
procedimento disciplinare per l’inizio di quello penale, la conclusione non sarebbe stata
diversa, in quanto, ai sensi degli artt. 60 e 405 c.p.p., l’assunzione della qualità di imputato
era determinata dalla attribuzione del reato ad opera del Pubblico Ministero,
alternativamente nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale
di condanna, di applicazione della pena a norma dell’ad. 444 c.p.p., nel decreto di
citazione a giudizio e nel giudizio direttissimo. L’inizio dell’azione penale era segnato dalla
formulazione della imputazione o dalla richiesta di rinvio a giudizio e, pertanto, l’effetto
sospensivo non poteva essersi prodotto prima che la ricorrente avesse acquistato la
qualità di imputata, ciò che non si era verificato antecedentemente al 26.12.1998, data di
scadenza dei 120 giorni previsti dall’ad. 29, co. 6, del contratto menzionato, che
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provvedimenti cautelari.

decorrevano dal 28.8.1998, data della lettera di contestazione dell’addebito. Non poteva
condividersi, secondo la Corte di Brescia, la tesi dell’USL, che aveva sostenuto la
coincidenza della nozione di procedimento penale rilevante ai fini dell’applicazione del
c.c.n.l. con l’intera possibile attività del P.M., ivi comprese le indagini preliminari, potendo
queste ultime sfociare in archiviazione e non contemplare ulteriore attività istruttoria e
considerato, inoltre, che l’art. 30 prevedeva la sospensione fino alla sentenza definitiva nel

sensi considerati.
Peraltro, nel caso in esame nessuna iscrizione nel registro degli indagati era stata
compiuta prima del 26.12.1998, per cui non poteva ritenersi intervenuta alcuna
sospensione automatica per l’inizio del procedimento penale. L’ulteriore eccezione di
estinzione del procedimento per inosservanza del termine di 90 giorni previsto dall’art. 30
del c.c.n.l. per la conclusione del procedimento disciplinare riattivato era, poi, secondo il
giudice del gravame da ritenere tardiva. Reputava, infine, fondata nel merito la domanda
di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, attesa la permanenza del rapporto
lavorativo, con note di merito per la lavoratrice, per i quattro anni successivi, sia pure con
spostamento della dipendente ad altro servizio, senza responsabilità di cassa. Osservava
che la Pais De Libera aveva ammesso con immediatezza la condotta di appropriazione
indebita provvedendo alla restituzione delle somme mancanti in cassa, e riteneva,
pertanto, anche sproporzionata la sanzione, irrogata contraddittoriamente dopo un
comportamento che aveva lasciato intendere la permanenza di un rapporto fiduciario.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la U.S.S.L. di Belluno N.1, affidando
l’impugnazione a due motivi.
Resiste, con controricorso, la Pais De Libera, che illustra le proprie difese nella memoria
depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la U.S.S.L. di Belluno N. 1 denunzia violazione e falsa applicazione
dell’art. 30, 8° comma, del c.c.n.l. per i dipendenti del Comparto Sanità del 1.9.1995, e
degli artt. 1362 e ss C. c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione
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procedimento penale, il che necessariamente postulava l’esercizio dell’azione penale nei

all’art. 360, n. 5, c.p.c., per avere erroneamente la Corte del merito ritenuto che la norma
subordini la sospensione del procedimento disciplinare connesso a procedimento penale a
provvedimento formale della pubblica amministrazione, nella specie non adottato. Rileva
la diversità dell’ipotesi in cui la connessione con procedimento penale emerga
contestualmente all’avvio del procedimento disciplinare da quella disciplinata nel secondo
periodo della stessa norma, che regola l’ipotesi della connessione che emerga nel corso

di provvedimento formale (“la sospensione è disposta”). Assume che erroneamente la
indicata sospensione era stata ancorata alla assunzione della qualità di imputato da parte
del dipendente soggetto a procedimento disciplinare, laddove la norma contrattuale
comprende anche la fase delle indagini preliminari, tale interpretazione ricevendo conforto
dalle norme contenute in contratti di altri comparti e trovando riscontro nella formulazione
del contratto di comparto per il quadriennio normativo 2002 — 2005, disciplinante la stessa
fattispecie. La previsione della sospensione in ipotesi di rinvio a giudizio è, infatti, secondo
la ricorrente, prevista testualmente soltanto nell’ ipotesi di sospensione cautelare ex art. 32
c.c.n.l. Essendo intervenuta in data 19.6.2001 pronuncia del G.I.P. ex art. 444 c.p.p., con
applicazione della pena di mesi 11 di reclusione, decisione conosciuta dall’USL il
17.5.2002, ed essendo stato il procedimento disciplinare sospeso sin dal 28.8.1998, data
di inoltro della contestazione scritta, correttamente il procedimento disciplinare era stato
riattivato il 21.5.2002.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 31
e 32 c.c.n.l. del personale del Comparto Sanità del 1.9.1995, nonché dell’art. 1375 c. c.,
con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa la sussistenza e permanenza della giusta causa del licenziamento
Sostiene che l’art. 31 non si applichi alla fattispecie in cui l’addebito contestato sia
sanzionato con la misura del licenziamento e che per queste ragioni la sospensione
cautelare in corso di procedimento disciplinare non era stata adottata. Quanto alla
denunciata violazione dell’art. 32 c.c.n.l. rileva, che non essendo stata la dipendente
rinviata a giudizio o sottoposta a misura restrittiva della libertà personale, non poteva
essere suscettibile di sospensione cautelare.
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del procedimento disciplinare, solo con riferimento alla seconda prevedendosi la necessità

Il ricorso è inammissibile.
L’art. 29, co. 6°, del ccnI dei dipendenti del Comparto Sanità prevede che “il procedimento
disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data delle contestazione dell’addebito”
e che “qualora non sia stato portato a termine entro tale data, il procedimento si estingue”.
Il successivo art. 30, al comma 8°, prevede che “il procedimento disciplinare, ai sensi

procedimento penale e rimane sospeso sino alla sentenza definitiva. La sospensione è
disposta anche ove la connessione emerga nel corso del procedimento disciplinare.
Qualora lì’amministrazione sia venuta a conoscenza dei fatti che possono dar luogo ad
una sanzione disciplinare solo a seguito della sentenza definitiva di condanna, il
procedimento disciplinare è avviato nei termini previsti dall’art. 2 comma 2, dalla di
conoscenza della sentenza”.
La prima questione che si pone è quella della operatività automatica, ovvero attraverso
formale provvedimento dell’amministrazione, della sospensione del procedimento
disciplinare a carico del dipendente che sia soggetto a procedimento penale. Al riguardo è
opportuno richiamare la nuova disciplina dei rapporti tra il procedimento penale e il
procedimento disciplinare stabilita dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 1, secondo il quale
all’art. 653 c.p.c., dopo il comma 1 è aggiunto il seguente comma 1 bis: “La sentenza
penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità
disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del
fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso”.
Tale norma, come ogni altra disposizione della legge è stata poi resa dall’art. 10
applicabile anche ai procedimenti disciplinari in corso alla data di entrata in vigore della
legge stessa, mentre il comma 3 del medesimo art. 10, con norma da ritenere applicabile
anche al caso di procedimento disciplinare sospeso (da intendere tale sospensione come
divenuta necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. per effetto della modifica dell’art. 653 c.p.p.
– cfr., al riguardo, Cass. 8 marzo 2006 n. 4893, Cass. 15 giugno 2006 n. 13771), stabilisce
che “i procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in
vigore della presente legge devono essere istaurati entro centoventi giorni dalla
conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile” (norma poi dichiarata da
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dell’art. 29, comma 2°, deve essere avviato anche nel caso in cui sia connesso con

Corte Costituzionale n. 186 del 2004 costituzionalmente illegittima nella parte in cui
stabilisce il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare entro centoventi giorni
dalla conclusione del processo penale anziché entro quello di novanta giorni dalla
comunicazione della sentenza all’amministrazione competente per il procedimento
disciplinare) (cfr. Cass. 21.4.2009 n. 9458) .
Nella specie occorre avere riguardo a quanto previsto dalla contrattazione collettiva di

i due procedimenti. Tuttavia, deve considerarsi che la Corte del merito, pur aderendo alla
tesi che un provvedimento formale del procedimento disciplinare debba essere adottato
dall’amministrazione per consentire al dipendente di essere notiziato formalmente della
valutazione espressa in merito alla rilevanza del procedimento penale nell’ambito di quello
disciplinare da parte della pubblica amministrazione, ha considerato anche l’eventualità
che tale provvedimento non sia ritenuto necessario, per ritenere che, in ogni caso,
determinandosi l’effetto sospensivo anzidetto in coincidenza con l’assunzione da parte del
ricorrente della qualità di imputato – ciò che non si era verificato prima del 26.12.1998,
ossia prima della scadenza dei 120 giorni dalla data di inizio del procedimento disciplinare
(28.8.1998) – quest’ultimo doveva ritenersi estinto. Tale impostazione poggia sul rilievo
che il termine “procedimento penale” si riferisca al procedimento penale iniziato e, dunque,
alla fase che segue la richiesta di rinvio a giudizio, con la conseguenza che l’obbligo di
sospensione del procedimento disciplinare si determina solo quando il dipendente
pubblico è sottoposto per gli stessi fatti ad azione penale e questa ha propriamente inizio,
ai sensi dell’art. 405 c.p.p., con la formulazione dell’imputazione nei casi previsti dall’art.
444 e ss. c.p.p. o con la richiesta di rinvio a giudizio (in tal senso , v. anche Consiglio di
Stato 3.10.2005 n. 5243, sia pure con riferimento a disposizione del ccril Comparto regioni
ed enti locali).
Il giudice del gravame ha, poi, considerato anche la possibilità che la sospensione
automatica del procedimento disciplinare sia legata all’inizio delle indagini preliminari ed,
in relazione a tale prospettiva, ha osservato come “nel caso in esame nessuna iscrizione
nel registro degli indagati e nessun atto di indagine preliminare è stato compiuto prima del
26.12.1998 (circostanza pacifica), ragione per la quale non poteva essere intervenuta
alcuna sospensione automatica per inizio del procedimento”. Rispetto a tale ratio
5

comparto richiamata, la quale provvede nei termini suindicati a regolamentare i rapporti tra

decidendi la ricorrente non ha avanzato specifici rilievi, essendosi limitata a contestare
solo le prime due ragioni della decisione, che, invece, per quanto detto, doveva ritenersi
sostenuta in modo autonomo anche da quella riferita al mancato inizio delle indagini
preliminari prima del 26.12.1998, motivazione autonoma rispetto alla quale nessuna
censura risulta avanzata . La mancanza di indagini preliminari prima della data suindicata
si fonda, peraltro, su un accertamento di fatto che non sarebbe neanche censurabile nella
erronea valutazione di un fatto controverso decisivo per il giudizio.
Al riguardo deve, invero, richiamarsi quanto in più pronunzie affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui
venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si
fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per
giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato
oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua
interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale
mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel
suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne
consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato
oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il
motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua
interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre
ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (cfr., in tal senso, Cass. sez.
lav., 18.5.2006 n. 11660; Cass. 8.8.2005 n. 16602; Cass. 8.2.2006 n. 2811; Cass.
22.2.2006 n. 3881; Cass. 20.4.2006 n. 9233; Cass. 8.5.2007 n. 10374; Cass. sez. I
14.6.2007 n. 13906, conf. a Cass., sez. un. 16602/2005).
Orbene, nel caso esaminato, come sopra osservato, non risulta che il ricorrente abbia
proposto specifica impugnazione avverso la statuizione autonoma e distinta, con la quale
la Corte territoriale ha rilevato che, anche considerando la nozione più lata di
procedimento penale, come disancorato dalla data dell’assunzione della qualità di
imputato e riferito invece, quanto all’individuazione del suo momento iniziale, alla
iscrizione del dipendente nel registro degli indagati, in ogni caso il procedimento
6

presente sede sotto il profilo motivazionale, salva la deduzione di vizi logici o connessi alla

disciplinare a tale data non poteva essere sospeso in quanto già estinto per il decorso dei
120 giorni previsti dall’art. 26, co. 6, c.c.n.l. .
Ne consegue che correttamente è stata ritenuta illegittima la condotta
dell’Amministrazione che ha concluso il procedimento disciplinare con provvedimento
sanzionatorio (nel caso di specie licenziamento per giusta causa) ben oltre i termini
previsti, ritenendosi insussistente l’obbligo della stessa di sospendere procedimento

Il secondo motivo deve ritenersi assorbito dalla declaratoria di inammissibilità del primo ed
in ogni caso deve ritenersi infondata la censura con la quale si ritengono violate le
disposizioni degli artt. 31 e 32 del c.c.n.I., che contemplano la possibilità di sospensione
cautelare del dipendente per inferirne che il non averla l’amministrazione disposta doveva
ritenersi di per sé stessa espressione di una valutazione di permanenza di una certa
fiducia sull’esatto adempimento delle prestazioni future da parte della dipendente una
volta inserita in un diverso contesto lavorativo. Ed invero, se per i fatti addebitabili al
dipendente punibili con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla
retribuzione è ammessa nel corso del procedimento disciplinare l’allontanamento dal
lavoro, a maggior ragione non può ritenersi escluso che la misura possa essere adottata
per il caso di fatti punibili con sanzione più grave. Anche il ricorso alla sospensione
cautelare era in astratto praticabile ai sensi dell’art. 32 ccnl, posto che al rinvio al giudizio
per fatti punibili con il licenziamento deve essere equiparata l’ipotesi della richiesta di
patteggiamento per gli stessi fatti e che da tale data sino almeno alla comunicazione della
sentenza la misura poteva essere legittimamente adottata dall’amministrazione.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della USL e sono liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
s000
,
spese di lite dl presente giudizio, liquidate in euroTe790 per esborsi ed in euro 3000,00
per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

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disciplinare già esauritosi.

Così deciso in Roma, il 5.6.013

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