Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2135 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 13/07/2018, dep. 25/01/2019), n.2135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. Catalozzi Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI V. DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1621/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.D.A., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Renato

de Lorenzo e Marco Monaco, con domicilio eletto presso l’Avv.

Ferruccio de Lorenzo, in Roma via Luciani n. 1, giusta procura in

calce alla memoria di costituzione;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania sez. staccata di Salerno n. 367/05/09, depositata il 23

novembre 2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018

dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Sanlorenzo Rita, che ha concluso per l’accoglimento del

secondo motivo del ricorso.

Uditi gli Avv.ti Renato de Lorenzo e Marco Monaco per il contribuente

che hanno concluso per il rigetto e l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria provinciale di Salerno rigettava, previa riunione, i ricorsi proposti da C.D.A. (residente a Londra) avverso cinque avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria aveva provveduto al recupero dell’Iva sulle somme versate negli anni d’imposta dal 1999 al 2003 al contribuente, di professione architetto, a titolo di compenso per prestazioni professionali rese in favore del Comune di Salerno per la progettazione e realizzazione degli uffici giudiziari di quella città.

Il giudice d’appello, sull’impugnazione del contribuente, rilevava il difetto di integrità del contraddittorio per mancata partecipazione al giudizio del Comune, sicchè annullava la sentenza impugnata e rimetteva la causa al giudice a quo.

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con tre motivi, con il primo dei quali ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice tributario a conoscere della convenzione tra professionista ed ente locale in base alla quale si era convenuto che il pagamento del compenso al professionista non includeva l’Iva.

Il contribuente ha depositato mera memoria “di costituzione” non notificata.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, cui erano stati rimessi gli atti per competenza, con sentenza n. 9559 del 18 aprile 2018 hanno dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso e rimesso la causa alla sezione tributaria per l’esame dei restanti motivi.

Il contribuente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e art. 59, comma 1, lett. b, e degli artt. 102,107 e 354 c.p.c., per aver la CTR ritenuto erroneamente sussistente una ipotesi di litisconsorzio necessario tra committente e prestatore d’opera in ordine all’obbligazione tributaria di versare l’Iva.

1.1. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 ovvero art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione omessa od apparente, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 119 del 1981, art. 7, comma 4, lett. a ed e, e art. 19, per aver la CTR ritenuto il Comune litisconsorte necessario in base alla convenzione tra l’ente pubblico committente ed il professionista.

2. Il secondo motivo è fondato, restandone assorbito il terzo.

2.1. Va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità sollevata dal contribuente attesa la natura del vizio lamentato.

2.2. Nel merito, va rilevato che la nozione di litisconsorzio necessario derivabile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14,comma 1, postula che l’oggetto del ricorso riguardi “inscindibilmente più soggetti”, sicchè richiede, ai fini della sua applicazione, il presupposto processuale dell’inscindibilità della controversia, che da individuarsi nell’atto o rapporto oggetto della valutazione giudiziale.

2.3. La Corte, in particolare, ha individuato alcune, limitate, ipotesi di litisconsorzio necessario e, in ispecie, in tema di accertamento in rettifica delle dichiarazioni dei redditi di società di persone e associazioni, atteso che, in tale evenienza, “l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società… e dei soci (…) riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci” poichè la controversia “non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato” (v. in particolare Sez. U, n. 14815 del 04/06/2008).

Va rimarcato, peraltro, che, ove l’accertamento nei confronti di questi soggetti abbia riguardato l’Iva, non ne discende l’automatica configurabilità, per tale imposta, di un litisconsorzio necessario, salvo che “l’Agenzia abbia contestualmente proceduto, con unico atto, ad accertamenti ai fini delle imposte dirette, Iva ed Irap, fondati su elementi comuni” sicchè anche “il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile Iva, non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario di simultaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni” (ex multis Cass. n. 26071 del 30/12/2015).

2.4. Ed infatti l’Iva è un’imposta di origine unionale che si applica, in misura proporzionale, alle operazioni aventi ad oggetto il trasferimento o lo scambio di beni o servizi ed è riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, a prescindere dal numero di operazioni effettuate, il cui peso – da cui il carattere di neutralità dell’imposta – grava definitivamente sul consumatore ultimo.

Gli operatori economici, dunque, sono i soggetti passivi Iva (Dir. 2006/112/CE, art. 9, secondo cui “si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”) che sono destinatari, ciascuno per la sua posizione, di obblighi formali e sostanziali, ancorchè non siano (tendenzialmente) incisi dal tributo a differenza dei consumatori finali.

In tal senso, committente e prestatore d’opera professionale, ove siano soggetti passivi, sono titolari di autonome e distinte posizioni: il primo è tenuto ad effettuare il pagamento del compenso pattuito per la prestazione ricevuta aumentato dell’Iva; il secondo, che ha effettuato la prestazione, riceve il compenso e l’Iva ad esso riferibile, che poi provvederà a riversare all’erario.

Giova sottolineare che, qualora la fattura sia stata emessa irregolarmente, incombe sul prestatore provvedere, eventualmente anche con le modalità di autofatturazione, alla tempestiva regolarizzazione.

2.5. L’autonomia delle posizioni, invero, non resta modificata nè dalla natura del committente (nella specie, un ente pubblico), nè dall’esistenza di una convenzione inter partes intesa a realizzare una scissione tra compenso e versamento dell’Iva.

La fattispecie in giudizio – per come risulta delineata in atti parrebbe, infatti, riconducibile all’ipotesi dello split payment, introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 190 del 2004, art. 1, comma 629, lett. b, che ha aggiunto al D.P.R. n. 633 del 1972, l’art. 17 ter (mentre qui sembrerebbe perfezionato in via convenzionale).

Neppure in questo caso, peraltro, appare ipotizzabile una situazione di inscindibilità tra le diverse posizioni soggettive, traducendosi l’eventuale contestazione sull’inesatta applicazione della disciplina in una questione di merito sulla corretta attuazione del rapporto tributario, profilo che, in tutta evidenza, va tenuto distinto dalla necessaria partecipazione al giudizio di tutti i soggetti coinvolti.

2.6. Nemmeno rileva, infine, che, in taluni casi, possa essere configurabile un interesse alla chiamata nel giudizio ovvero (ad esempio, per l’ente pubblico) ad effettuare un intervento adesivo autonomo nella controversia, che può fondare una ipotesi di litisconsorzio facoltativo ed, eventualmente, di litisconsorzio processuale (v. ad es. con riferimento alla cessione di un credito Iva anteriormente all’instaurazione del giudizio relativo al suo rimborso Cass. n. 11468 del 25/05/2011) ma non anche di litisconsorzio necessario originario per inscindibilità delle posizioni.

La stessa sentenza, del resto, pur delineando i termini dei rapporti tra il contribuente professionista e il Comune, nel senso che ove si dovesse “ritenere fondato quanto assunto” dal primo “potrebbe affermarsi che non era il professionista a dover corrispondere l’imposta bensì il Comune committente” cui, però, “la pronuncia non sarebbe opponibile” per cui “l’erario potrebbe restare soccombente anche in una pretesa avanzata contro il Comune”, conclude – traendone errate conseguenze – che la controversia è “chiaramente comune”, mentre la questione attiene alla fondatezza o meno, anche sotto il profilo soggettivo, della specifica pretesa tributaria.

3. Da ultimo, va rilevato che il contribuente, con memoria, ha dedotto l’asserita violazione del principio del ne bis in idem.

3.1. La memoria e la questione in tal modo introdotta sono inammissibili.

3.2. Il contribuente, infatti, non è neppure regolarmente costituito poichè il controricorso non è stato notificato, nè, tantomeno, depositato nei termini ex art. 370 c.p.c., sicchè la memoria successivamente depositata è semplicemente irricevibile (v. Cass. n. 27140 del 15/11/2017).

3.3. Nè miglior sorte può essere riservata alla questione comunque rappresentata.

Va infatti ribadito che “nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Tale principio va applicato pure in caso di diritti assoluti, benchè questi appartengano alla categoria dei cd. diritti autodeterminati” (v. Cass. n. 14477 del 06/06/2018).

Orbene, la dedotta questione – l’asserita violazione del principio del ne bis in idem in dipendenza degli arresti della CEDU, ai quali va riconosciuta efficacia dichiarativa, e, poi, della Corte di Giustizia – non presuppone alcun automatismo ma postula un accertamento su fatti nuovi (quali, in particolare, i meccanismi pertinenti all’irrogazione delle sanzioni, la concreta valutazione della sentenza penale di assoluzione, la valutazione della tempistica, concomitanza e avvio degli avvisi di accertamento e contestazione e del procedimento penale), da cui l’inammissibilità della stessa ove proposta per la prima volta in sede di legittimità.

4. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla competente CTR in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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