Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21347 del 26/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/07/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 26/07/2021), n.21347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13750/2014 R.G. proposto da:

S.G., rappresentato e difeso dall’avv. Romano Vaccarella,

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II, n. 269.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 64, n. 238/64/13, pronunciata il 17/12/2013,

depositata il 20/12/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio

2021 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.G. impugnò con distinti ricorsi gli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione, ai fini IRPEF, IRAP, IVA, per gli anni 2006 e 2007, maggiori redditi non dichiarati, accertati con metodo induttivo, e la CTP di Roma, riuniti i ricorsi, li rigettò con sentenza (n. 63/01/2012) confermata dalla CTR del Lazio, la quale, con la pronuncia indicata in epigrafe, nel contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, ha rigettato l’appello del contribuente, per quanto qui rileva, in forza dei seguenti argomenti: (i) con riferimento all’IRAP, per entrambi i periodi d’imposta, era legittimo ritenere che il contribuente, libero professionista, esercente l’attività di elaborazione dati fiscali e contabili, si avvalesse del personale e della struttura organizzativa della CCED Srl, di cui era socio unico e legale rappresentante, operante nel medesimo settore, con la quale condivideva gli stessi locali, mentre, al contrario, l’interessato non aveva dato la prova dell’assenza del presupposto dell’autonoma organizzazione; (ii) sempre con riferimento all’IRAP, era tardiva la produzione, da parte del contribuente, soltanto con le memorie del giudizio d’appello, delle fatture emesse per l’attività di sindaco e di amministratore di società, al fine di ottenere lo scorporo di quei compensi dalla base imponibile del tributo, trattandosi di documenti da produrre in sede di ricorso introduttivo, per il divieto di nuove prove sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58; (iii) diversamente da quanto prospettato dall’appellante, era legittimo, consentendolo il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41 e 41-bis, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla, il ricorso all’accertamento d’ufficio, con metodo induttivo, fondato su presunzioni semplici, prive dei requisiti previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, da cui scaturiva l’onere del contribuente di provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa impositiva; (iv) trattandosi di accertamento d’ufficio ex art. 41, cit., non era necessario fare precedere l’avviso di accertamento dalla notificazione al contribuente di un processo verbale di constatazione, e, inoltre, la notifica alla parte privata dell’avviso prima dello scadere del termine di sessanta giorni per le repliche non determinava la nullità dell’atto impositivo, restando garantito il diritto di difesa del contribuente sia in sede amministrativa che nel processo tributario, entro il termine ordinario di legge; (v) l’ufficio aveva determinato l’IVA (per il 2007) computando le detrazioni spettanti per gli acquisti, senza contravvenire al divieto di doppia imposizione, visto che nell’atto impositivo si affermava espressamente che l’A.F. aveva riconosciuto i versamenti effettuati dal contribuente per quell’annualità; (vi) era legittima la determinazione dei costi con metodo induttivo, nella misura del 20% dei ricavi, poiché il contribuente, che pure (per il 2007) aveva optato per l’accertamento con adesione, aveva poi omesso di produrre le fatture d’acquisto che gli erano state richieste dall’organo di controllo, e non si era presentato al “successivo incontro” con i funzionari dell’Amministrazione; (vii) la mancata tempestiva esibizione delle fatture d’acquisto, a seguito dell’invito dell’ufficio, comportava che, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 3 e 4, non si potesse prendere in considerazione la documentazione contabile prodotta soltanto in sede contenziosa; (viii) l’applicazione delle sanzioni era giustificata dalla sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, desunto dalla circostanza che il contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni tributarie nei termini prescritti;

3. il contribuente ricorre con cinque motivi e l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso (“1. Violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12 in relazione alla L. n. 4 del 1929, art. 24”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere negato contra legem che fossero nulli gli avvisi di accertamento (oggetto del giudizio) per essere stati emessi, in assenza di ragioni d’urgenza, prima dello scadere del termine dilatorio di sessanta giorni dalla conclusione della verifica fiscale;

2. con il secondo motivo (“2. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2 e dell’art. 2729 c.c.; nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2”), in primo luogo, si censura la sentenza impugnata per avere desunto, ai fini dell’IRAP, l’esistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione da un unico indizio, privo di univoca valenza presuntiva, rappresentato dal fatto che il contribuente, per l’esercizio dell’attività (professionale) di elaborazione di dati fiscali e contabili, potesse giovarsi della struttura organizzativa della CCED Srl, della quale egli era legale rappresentante. Sotto altro profilo, s’ascrive alla CTR Verror in procedendo consistente nell’avere dichiarato inammissibile la produzione, nel giudizio d’appello, da parte dell’interessato, delle fatture relative all’attività di sindaco e di amministratore di società, senza considerare che, nel processo tributario, è esplicitamente consentita (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2) la produzione di nuovi documenti nel giudizio di secondo grado. In subordine, s’addebita alla CTR di non avere consentito di dedurre dalla base imponibile IRAP gli onorari percepiti dal contribuente quale sindaco, amministratore e revisore dei conti di società, e, infine, di non avere escluso l’applicazione delle sanzioni a causa dell’innegabile incertezza circa l’assoggettabilità o meno del professionista all’imposta regionale;

3. con il terzo motivo (“3. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 3 e 4, anche in relazione agli artt. 24 e 53 Cost.”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto la legittimità del metodo forfetario utilizzato dall’ufficio per il calcolo dei costi, ai fini dell’IRAP, in considerazione della circostanza che il contribuente, dopo avere richiesto l’accertamento con adesione, non si era presentato al successivo incontro con i funzionari dell’Agenzia, trascurando che l’utilizzo di un simile metodo induttivo non era consentito in quanto l’organo di controllo era a conoscenza del regolare versamento delle imposte e della corretta tenuta della scritture contabili, le cui risultanze non potevano essere del tutto tralasciate;

4. con il quarto motivo (“4. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41 e 41bis”), s’addebita alla Commissione regionale di avere ritenuto legittimo, ai fini dell’IRPEF, il ricorso al metodo induttivo, in ragione del fatto che la dichiarazione dei redditi era stata presentata in ritardo, senza porre mente a ciò, che la dichiarazione tardiva era pur sempre un documento che, insieme alle scritture contabili e alla copiosa documentazione di cui l’A.F. era in possesso, avrebbe consentito di valutare “analiticamente” la capacità contributiva del contribuente;

5. con il quinto motivo (“5. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163”), il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia “compreso” che l’ufficio, testualmente (cfr. pag. 16 del ricorso) “avendo ammesso in detrazione come “costi” solo il 20% dell’importo globale (IVA inclusa) degli acquisti, ha solo in tale misura consentito di detrarre anche l’IVA che su tali acquisti era stata pagata; sicché il residuo 80% dell’IVA che era stata pagata è stata sottoposta a una seconda, illegittima imposizione” in violazione del principio di neutralità dell’IVA;

6. il primo motivo non è fondato;

sulla premessa che si controverte d’un accertamento d’ufficio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41, la statuizione della Commissione tributaria, che ha affermato la legittimità dell’operato dell’A.F., è conforme al costante indirizzo di questa Corte, cui il Collegio aderisce, in virtù del quale “In tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche nella diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale “vis expansiva” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente.” (Cass. 05/11/2020, n. 24793, in continuità con Cass. n. 1497 del 2020 e n. 27420 del 2018);

7. il secondo motivo, nella sua poliedrica articolazione, è fondato nei termini che seguono;

quanto al dedotto error in procedendo, la declaratoria, da parte della Commissione regionale, d’inammissibilità delle menzionate fatture, che il contribuente avrebbe prodotto, tardivamente, per la prima volta, nelle “memorie illustrative in appello”, per scorporare dalla base imponibile dell’IRAP i compensi ricevuti come sindaco o amministratore di società, collide con il fermo indirizzo di legittimità, che va qui ribadito, per il quale “Nell’ambito del processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato D.Lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice (…)” (ex aliis: Cass. 13/11/2018, n. 29087);

nella specie, dagli atti di causa, che questa Corte ha la facoltà di esaminare direttamente, quale giudice del fatto (processuale), al fine di accertare se il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo (Cass. Sez. U., 25/07/2019, n. 20181), risulta che il contribuente ha tempestivamente depositato le fatture in discorso, in allegato alla memoria illustrativa depositata il 12/11/2013, oltre venti giorni (liberi) prima dell’udienza d’appello del 17/12/2013. E’ chiaro inoltre che il giudice del rinvio dovrà vagliare se e in quale misura tali fatture assumano rilievo sul piano della pretesa impositiva;

sono inammissibili, invece, le critiche che si appuntano contro quella parte del ragionamento della CTR che, da un lato, con riferimento all’IRAP, ha negato che il contribuente, gravato del relativo onere probatorio, avesse dato prova dell’assenza del presupposto impositivo dellmautonoma organizzazione”; dall’altro, con riferimento all’applicazione delle sanzioni, ha ritenuto che la condotta del trasgressore fosse connotata dal profilo psicologico della colpa, in ragione dell’omessa presentazione delle dichiarazioni. Vale a superare le due doglianze il richiamo al fermo orientamento nomofilattico, recentemente ribadito dalle Sezioni unite (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476), secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge (…) miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito”;

8. il terzo motivo non è fondato;

e’ ius receptum che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la sanzione della inutilizzabilità dei documenti non esibiti all’ufficio a seguito di specifico invito, sancita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, non trova applicazione qualora l’ufficio abbia già la materiale disponibilità di tali documenti e possa determinarsi in ragione del loro contenuto senza che sia necessario alcun chiarimento da parte del contribuente in ordine alla individuazione dell’operazione ivi rappresentata.” (Cass. 24/07/2018, n. 19569);

la CTR si è attenuta a tale regula iuris nel dichiarare la legittimità dell’operato dell’ufficio, che, a sua volta, aveva determinato induttivamente i costi nella misura del 20% dei compensi, visto che il contribuente, nonostante la richiesta avanzata dell’A.F. nell’accertamento con adesione, non aveva esibito le fatture di acquisto. D’altra parte, il ricorrente, a supporto della sua generica doglianza, non ha indicato con esattezza quali fossero i documenti, già nella disponibilità dell’Amministrazione, sui quali fondare Rauspicato) accertamento analitico dei costi;

9. il quarto motivo non è fondato;

la CTR, con un accertamento di fatto che non è stato sottoposto a specifica censura, dopo avere esaminato l’atto impositivo, ha stabilito che, diversamente da quanto assume il contribuente, l’A.F. aveva preso in considerazione i dati contabili riferibili al contribuente (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata);

10. il quinto motivo è inammissibile;

la censura ha il proprio fulcro in un dato di fatto, rappresentato dalla circostanza che l’80% dell’IVA pagata sia stata sottoposta ad una seconda (illegittima tassazione), che è stato negato dalla CTR, il cui apprezzamento non può essere reiterato in questa sede di legittimità;

11. ne consegue che, accolto il secondo motivo, nei termini sopra indicati, infondati il primo, il terzo e il quarto motivo, e inammissibile il quinto motivo, la sentenza è cassata, in relazione al secondo motivo, con rinvio alla CTR lombarda, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021

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