Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21345 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21345 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA
sul ricorso 13069-2009 proposto da:
ENEL PRODUZIONE S.P.A.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, in proprio e quale
procuratrice dell’Enel S.p.A., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6,

presso

lo studio dell’avvocato TARTAGLIA FURTO, che la
2013
1525

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SILVESTRI RENATO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

irooiTo 77,Ingzrp,r,

natR .7-3 4_1_ 2_,U/e7,Ag137,–

Data pubblicazione: 18/09/2013

- intimato –

Nonché da:
ESPOSITO GIUSEPPE nato a il 20/07/1937, domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

– controri corrente e ricorrente incidentale contro

ENEL PRODUZIONE S.P.A.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, in proprio e quale
procuratrice dell’Enel S.p.A., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso
lo studio dell’avvocato TARTAGLIA FURIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SILVESTRI RENATO, giusta delega in atti;
– controri corrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5899/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/05/2008 R.G.N.
2010/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/04/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato SILVESTRI RENATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso principale in subordine

dall’avvocato RIZZO GAETANO, giusta delega in atti;

accoglimento, assorbimento del ricorso incidentale.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 5899 del 2007, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, impugnata da Esposito Giuseppe nei
confronti della società ENEL Produzione spa, accoglieva, in parte, l’appello principale
e condannava la suddetta società a corrispondere all’Esposito, a titolo di ulteriore
risarcimento, l’importo pari alla misura del 50 per cento delle differenze retributive
riferite al trattamento economico del dirigente livello B per il periodo 1986 sino alla
cessazione del servizio nonché alla rifusione delle spese del grado di giudizio come
liquidate. Confermava nel resto e rigettava l’appello incidentale.
2. La sentenza del Tribunale, emessa in data 24.09.2002, dichiarava
l’illegittimità del demansionamento subito a decorrere dal 07.05.1991 fino alla
cessazione dal servizio (21.03.1997), e condannava l’ente al risarcimento del danno
conseguente alla dequalificazione, determinato, nella attualità, nella misura del 20 per
cento della retribuzione netta mensile da ultimo percepita. Detta sentenza era appellata
dall’Esposito chiedendone la riforma parziale e l’accoglimento integrale delle
domande svolte nel giudizio di primo grado. Anche la società ENEL impugnava la
sentenza del Tribunale e chiedeva il rigetto di tutte le domande.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’ENEL
Produzione spa prospettando tre motivi di ricorso, assistiti dal prescritto quesito di
diritto.
4. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato l’Esposito a cui
resiste la società con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza
pubblica
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, in quanto proposti avverso
la medesima sentenza.
2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 2909 cc. Vizio di
motivazione
La Corte d’Appello rigettava l’eccezione di giudicato proposta da essa società
sancendo che “Non può essere condivisa la censura della società che oppone la valenza
del giudicato: nel precedente giudizio si prospetta l’acquisizione della categoria
superiore per effetto dell’assegnazione a mansioni riferibili all’inquadramento nel
livello più elevato; il presupposto e la causa petendi della pretesa sono pertanto
costituiti dalla natura dei compiti svolti, elementi che diversificano la azione rispetto
alla attuale domanda; l’oggetto di quest’ultima è costituito da un titolo che si fonda
sulla permanenza di una condotta — che si è protratta anche successivamente al periodo
di riferimento della precedente domanda (e pertanto anche sotto questo profilo si
sottrae alla eventuale efficacia preclusiva del giudicato eccedendo il periodo di
riferimento della originari pretesa) — di omesso adeguamento alla regola non scritta
della promozione automatica, cui si sarebbe auto vincolata l’azienda”.
Nessun effetto preclusivo era poi da attribuire al giudicato con riguardo alla
liquidazione del danno da demansionamento, dando luogo a vizio di ultrapetizione.
La ricorrente esponeva che con il precedente giudizio l’Esposito aveva chiesto il
riconoscimento della qualifica superiore, dirigente di grado A, dal 1° luglio 1980, e di
dirigente di grado B, dal 1° settembre 1990, per essere stato assegnato a mansioni di
particolare importanza. Tale giudizio veniva definito con la sentenza n. 20368 del 5
ottobre 1993, con cui si accertava il diritto dell’Esposito al riconoscimento della
categoria dirigenziale grado A dal 22 gennaio 1987, mentre veniva rigettata la domanda
di inquadramento nel livello B. La sentenza del Tribunale veniva confermata dalla
sentenza di appello che superava il vaglio del ricorso per cassazione.
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Con il ricorso introduttivo del giudizio per cui è causa, l’Esposito chiedeva in
correlazione con l’accertamento del diritto ad essere inquadrato come dirigente livello
A, il riconoscimento di avanzamenti di carriera, atteso che sarebbe esistita una prassi
aziendale, in forza della quale i dirigenti di livello A, dopo due/tre anni di permanenza
nel grado, avrebbero acquisito il superiore livello B e, decorso, un analogo periodo, il
più elevato livello C.
Tanto premesso la società ENEL Produzione censura la statuizione della Corte
d’Appello in quanto non dava rilievo al giudicato formatosi tra le parti, che copre il
dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, sul punto che le promozioni
ai gradi superiori della carriera potevano avvenire solo in base all’assegnazione a
mansioni di maggiore livello, ciò che nella specie non era avvenuto.
3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’alt 2078 cc,
omessa, insufficiente e contraddittori motivazione circa un punto decisivo della
controversia ossia l’inconfigurabilità dell’uso aziendale.
Assume la ricorrente che la Corte d’Appello, nel ritenere sussistente una prassi
aziendale per il passaggio al grado B, non dava conto della metodologia di
accertamento dei ritenuti usi aziendali, ma basandosi sulle deposizioni testimoniali,
peraltro non esaminate, ma solo menzionate, affermava l’esistenza della prassi aziendale
ipotizzata dall’ex dipendente, peraltro limitata al passaggio dal grado di ingresso (A) a
quello, immediatamente più elevato (B) della categoria dirigenziale.
La Corte d’Appello, affermava: “I requisiti della configurazione di un uso
destinato a vincolare le scelte aziendali si articolano non soltanto nell’elemento
soggettivo della reiterazione di provvedimenti di avanzamento quanto nella
sterilizzazione di ogni criterio valutativo nella progressione, affidata alla semplice
maturazione di un periodo di permanenza nel grado inferiore. La istruttoria espletata in
primo grado rivela margini di certezza soltanto nel profilare un automatismo nella
carriera iniziale: appaiono centrali le dichiarazioni del teste Rossi — direttore del
compartimento Napoli- nel aula ha operato l’Esposito e successivamente Presidente del
Comitato della sicurezza ed igiene del lavoro — e Di Filippo — direttore del distretto
della Campania — alti dirigenti che hanno occupato ruoli che hanno loro consentito un
osservatorio ampio ed informato; i testi hanno affermato che le promozioni dirigenziali
dal livello A al livello B avvenivano automaticamente dopo due anni- salvo gravi
inadempienze.
Pertanto, quanto alla iniziale progressione può ipotizzarsi la esistenza di una
prassi consolidata che prevede la promozione alla fascia B senza necessità di valutazioni
discrezionali, ma su semplice proposta ed entro un breve arco temporale, dopo una
limitata permanenza nel livello iniziale ed indipendentemente dalla sopravvenienza del
posto da coprire”.
Tale statuizione risultava erronea in quanto non veniva appurata la
configurabilità degli elementi tipici dell’uso aziendale.
Il quesito di diritto veniva precisato come segue:
se, ai sensi dell’art. 2078 cc, la configurabilità dell’uso aziendale sia legata
all’accertamento dei seguenti presupposti:
a) spontaneità del comportamento datoriale;
b) attribuzione di un vantaggio a tutti indistintamente i dipendenti del datore di
lavoro in possesso degli stessi requisiti;
c) ripetizione per un apprezzabile periodo di tempo del comportamento e se, in
difetto anche di uno solo dei suddetti elementi, l’uso aziendale debba ritenersi escluso;
conseguentemente, se sia conforme ai presupposti della norma, la sentenza di secondo
grado che ha ritenuto configurabile l’uso aziendale sulla base dell’accertamento del solo
elemento della reiterazione.
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4. Ritiene il Collegio che deve essere esaminato con priorità logica il secondo
motivo di ricorso.
Il motivo è fondato e deve esser accolto.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la reiterazione costante e
generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei
propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior
favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé,
gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle
cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il
regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione
di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a
conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività
impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti
individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Ne consegue che ove la modifica “in melius” del trattamento dovuto ai lavoratori trovi
origine nell’uso aziendale, ad essa non si applica né l’art. 1340 cod. civ. – che postula la
volontà, tacita, delle parti di inserire l’uso o di escluderlo – né, in generale, la disciplina
civilistica sui contratti – con esclusione, quindi, di un’indagine sulla volontà del datore di
lavoro e dei sindacati – né, comunque, l’art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la
conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una
modifica “in peius” del trattamento in tal modo attribuito (Cass., n. 8342 del 2010).
L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo, richiede il
protrarsi nel tempo di comportamenti che abbiano carattere generale, in quanto applicati
nei confronti di tutti i dipendenti dell’azienda con lo stesso contenuto, e produce effetti
anche nei confronti dei lavoratori che entrano a far parte della categoria dopo la
formazione dell’uso, restando tuttavia impregiudicata con riferimento a questi ultimi, la
facoltà dell’imprenditore di escludere l’applicabilità del trattamento di miglior favore
(Cass., n. 18263 del 2009).
Assume, dunque, rilievo la prova della reiterazione costante e generalizzata del
comportamento che va ad integrare l’uso aziendale.
Nella fattispecie in esame, la motivazione della Corte d’Appello si incentra, in
proposito sulle dichiarazioni dei testi Rosati e Di Filippo, i quali “hanno affermato che
le promozioni dirigenziali dal livello A al livello B avvenivano automaticamente dopo
due anni, salvo gravi inadempimenti”. Ciò, tuttavia, è contraddetto, senza che nella
sentenza sia motivata la prevalenza attribuita alla riportata dichiarazione, dalle
testimonianze del teste Mirone, riportata nel ricorso “la prassi era nel senso che il
passaggio dal livello A al livello B avvenisse in base alle attitudini professionali del
dipendente per cui il dirigente preposto faceva la proposta che poteva essere o meno
accolta”.
Lo stesso riferimento al teste Rosati, come dedotto nel motivo di ricorso, non
tiene conto che la sentenza di primo grado affermava che “pur riferendosi il teste ad un
automatismo sulla base del decorso del tempo, egli ripercorre la sequenza propostaaccoglimento della proposta che implica una valutazione di professionalità di per sé
incompatibile con automatismi che assurgano al rango di fonti integrative del
contratto”.
Né, come eccepito dal controricorrente, nel dedurre in merito al secondo motivo
del ricorso principale, tali contraddizioni possono essere risolte alla luce del principio
dell’insindacabile apprezzamento di fatto del giudice di merito. Ed infatti, se con la
proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito,
occorre, tuttavia, che quest’ultimo sia tratto dall’analisi degli elementi di valutazione
3

disponibili ed in sé coerente, sussistendo in capo al giudice di legittimità il controllo,
sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, del’esame e della valutazione
fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza
e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione.
5. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del
primo motivo del ricorso principale.
6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 416 cpc, per la
parte in cui è stato ritenuto operante il principio di non contestazione rispetto
all’ipotizzato danno da dequalificazione. Violazione dell’art. 2697 cc, in ordine alla
prova del danno da dequalificazione. Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia ossia l’accertamento del diritto
del ricorrente Esposito al risarcimento del danno alla professionalità.
Espone la ricorrente che sussisterebbe l’erroneità e la carenza motivazionale
della sentenza, da un lato, in quanto con le propri difese aveva contestato la prospettata
azione del ricorrente come previsto dall’art. 416, comma 3, cpc.; dall’altro, perchè, ai
sensi degli artt. 2103 e 2697 cc, sussiste a carico del lavoratore che rivendichi il
risarcimento del danno da dequalificazione l’onere di dimostrare l’ effettività e l’entità
della lesione subita alla professionalità, non bastando il solo elemento della non
contestazione.
Il motivo non è fondato.
La Corte d’Appello – dopo aver chiarito che la causa petendi non si risolve nella
omessa osservanza del giudicato che conteneva il comando di adeguare le prestazioni
al contenuto del profilo del dirigente di fascia A, ma riguardava una condizione di
completo esautoramento di ogni effettiva funzione, interpretato come incisivamente
lesivo della sfera della professionalità acquisita – ha affermato, che “l’appellata società
non muove una puntuale critica alla tesi esposta dal primo giudice, che deduce dalla
generica contestazione della omessa attribuzione delle mansioni corrispondenti alla
qualifica la conferma del demansionamento”.
A fronte di tale statuizione l’odierno motivo di ricorso richiama direttamente la
memoria ex art. 416 cpc, ma non le censure che sarebbero state proposte in grado di
appello, con riguardo alla lettura di detta memoria operata dal giudice di primo grado,
rispetto alle quali la Corte d’Appello avrebbe dovuto operare il proprio vaglio sulla
sentenza appellata. Il motivo di ricorso, dunque, non contrasta la ratio decidendi della
sentenza impugnata.
Tanto premesso, si osserva che nel processo del lavoro, le parti concorrono a
delineare la materia controversa, di talché la mancata contestazione del fatto costitutivo
del diritto rende inutile provare il fatto stesso perché lo rende incontroverso, mentre la
mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera
unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice . Tuttavia, intanto la
mancata contestazione da parte del convenuto può avere le conseguenze ora specificate,
in quanto i dati tatuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti
esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perché fondativi del diritto fatto valere in
giudizio o perché rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza
istruttoria), non potendo, il convenuto, contestare ciò che non è stato detto, anche perché
il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di
contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su
circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto
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PQM
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, rigetta il terzo
motivo, assorbito l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata con riguardo al motivo
accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli
in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2013

Il Consigliere estensore

azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo
(Cass., n. 1878 del 2012, Cass., S.U. n. 11353 del 2004) .
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione, con motivazione congrua, dei
suddetti principi di diritto.
7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, condizionato, l’Esposito ha
dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218, 1223, 2697 cc.
Insufficienza di motivazione. Con lo stesso, la cui proposizione è stata condizionata
all’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, l’Esposito deduce che la
domanda volta al riconoscimento del danno biologico, una volta allegato e provato lo
stesso, non potrebbe essere rigettata senza accogliersi la richiesta di nomina di CTU.
Atteso il rigetto del terzo motivo di ricorso, il suddetto motivo del ricorso
incidentale deve ritenersi assorbito.
8. Pertanto, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale,
assorbito il primo, rigettato il terzo. La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche
per le spese del presente giudizio, in ordine al motivo accolto ai fini dell’applicazione
dei richiamati principi di diritto. Il ricorso incidentale deve essere assorbito.

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