Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21345 del 15/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 15/10/2011), n.21345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18703-2010 proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA VERONA 30, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO

GUIDA, rappresentato e difeso dall’avvocato OREFICE GENNARO giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, MAURO RICCI, PULLI CLEMENTINA giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1503/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

22/02/2010, depositata il 15/04/2 010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato Ricci Mauro, difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso a Tribunale, giudice del lavoro, di Napoli, in data 28.12.2004, M.G. chiedeva la condanna dell’Inps alla corresponsione dell’indennità di accompagnamento e delle provvidenze derivanti dal suo stato di invalidità civile.

Con sentenza del 16.5.2006 il Tribunale adito accoglieva parzialmente la domanda condannando l’Inps alla corresponsione unicamente dell’indennità di accompagnamento.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originario ricorrente insistendo per l’accoglimento della domanda anche in relazione al riconoscimento della pensione di inabilità.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 22.2/15.4.2010, rigettava il gravame, rilevando in particolare che la certificazione dell’Agenzia delle entrate attestante la situazione reddituale con l’indicazione dei redditi percepiti dal coniuge era stata prodotta solo in grado di appello, mentre in primo grado era stata allegata solo una dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione M. G. evidenziando la idoneità della dichiarazione sostitutiva attestante la totale assenza di redditi, e rilevando che per i benefici delle prestazioni assistenziali dovevano essere considerati esclusivamente i redditi dell’istante.

Resiste con controricorso l’Istituto intimato.

Il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze non hanno svolto attività difensiva.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso non è fondato.

Hanno evidenziato le Sezioni unite “che, nel vigente ordinamento, l’attitudine probatoria delle dichiarazioni sostitutive opera, per espressa previsione legislativa, nell’ambito di procedimenti amministrativi che si svolgono tra la pubblica amministrazione ed i privati, allo scopo di snellire e semplificare l’attività amministrativa nei confronti dei privati, i quali debbano fornire la prova di fatti, stati o qualità personali alla sussistenza dei quali è subordinata l’adozione di determinati provvedimenti a favore dell’interessato (in tal senso, con riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà: sent. n. 10153-98) … Ed eguale ambito è riservato alla dichiarazione sostitutiva di atti di notorietà … Ma tale facoltà rimane ristretta al solo ambito dei procedimenti amministrativi, poichè alle menzionate dichiarazioni sostitutive la legge riconosce, privilegiando l’esigenza di semplificare lo svolgimento dei detti procedimenti, attitudine a “comprovare” determinati stati, qualità personali e fatti, nei soli rapporti con la pubblica amministrazione, in vista dell’adozione di provvedimenti amministrativi. Una estensione della idoneità delle dichiarazioni sostitutive a “comprovare”, anche in giudizio, nel contraddittorio tra le parti e nei confronti del giudice, in vista dell’emanazione di una sentenza favorevole, stati, qualità personali e fatti a favore della parte che rende la dichiarazione non è in alcun modo prevista dalla vigente legislazione sostanziale e processuale. E solo una espressa previsione potrebbe consentire una trasposizione nel processo civile del valore probatorio di tali dichiarazioni, formate fuori dal processo, ed anzi proprio in vista del processo, dalla parte che le invoca a suo favore, in deroga ai principi dai quali è regolato in materia di onere della prova il giudizio civile di cognizione” (Cass. SS.UU., 3.4.2003 n. 5167; in senso conforme, Cass. sez. lav., 11.6.2010 n. 14147).

Nè ai fini della dimostrazione del requisito reddituale, il cui onere fa carico all’assistibile, può tenersi conto della certificazione dell’Agenzia delle Entrate, in quanto prodotta in grado di appello, contro il divieto di ammissione in quella fase del giudizio di nuovi mezzi di prova, fra i quali devono annoverarsi anche i documenti (Cass. SS.UU., 20.4.2005 n. 8202, e numerose altre successive).

Osserva altresì il Collegio che le questioni concernenti la procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 443 c.p.c., commi 1 e 2, sono costituite esclusivamente da quelle relative al preventivo esperimento del procedimento amministrativo, mentre le questioni attinenti alla prova della sussistenza del requisito reddituale attengono al merito della controversia, e pertanto ad esse non si applica il regime delle preclusioni previste dalla disposizione suddetta.

Tanto basta per ritenere l’infondatezza del ricorso proposto, rimanendo in tale statuizione assorbita ogni ulteriore questione concernente la cumulabilità o meno dei redditi familiari ai fini del conseguimento della pensione di inabilità.

In proposito rileva comunque il Collegio che la normativa in tema di pensioni di inabilità non può essere interpretata nei sensi di cui alle recenti pronunce n. 7259 del 2009 (citata anche nella memoria dell’odierno ricorrente), n. 20426 del 2010 e n. 18825 del 2008, nelle quali si è affermato che, dopo la introduzione dell’art. 14 septies in sede di conversione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 nella L. 29 febbraio 1980, n. 33, anche per la pensione di inabilità deve farsi esclusivo riferimento al reddito personale dell’assistito, ma debba, invece, condividersi il principio, espresso da un più risalente indirizzo (vedi, in particolare, Cass. n. 16363 del 2002, n. 16311 del 2002, n. 12266 del 2003, n. 14126 del 2006, n. 13261 dei 2007), secondo cui “ai fini dell’accertamento del requisito reddituale previsto per l’attribuzione della pensione di inabilità prevista dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, deve tenersi conto anche della posizione reddituale del coniuge dell’invalido, secondo quanto stabilito dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, art. 14 septies, comma 4, in conformità con i generali criteri del sistema di sicurezza sociale, che riconoscono alla solidarietà familiare una funzione integrativa dell’intervento assistenziale pubblico, non potendo invece trovare applicazione la regola – stabilita dal successivo comma 5 dello stesso art. 14 septies solo per l’assegno mensile di cui alla L. n. 118 del 1971 citata – della esclusione dal computo dei redditi percepiti da altri componenti del nucleo familiare dell’interessato” (v., in tal senso, Cass. sez. lav., 1.3.2011 n. 5016; Cass. sez. lav., 1.3.2011 n. 5003; Cass. sez. lav., 25.2.2011 n. 4677, che percorrono un dettagliato excursus normativo della legislazione in materia).

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento.

Trattandosi di giudizio introdotto successivamente al 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, u.c., convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, contenente modifiche alla disciplina prevista in materia di spese nei giudizi previdenziali ed assistenziali dall’art. 152 disp. att. c.p.c.), e non essendo stato dedotto, come è onere della parte a norma della citata disposizione, che con lo stesso fosse stata formulata la dichiarazione reddituale, a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento, nei confronti dell’Inps, delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

Nessuna statuizione va adottata nei confronti del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, non avendo gli stessi svolto alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione, nei confronti dell’Inps, delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 30,00 per esborsi, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre accessori di legge; nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2011

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