Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21343 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21343 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 22676-2010 proposto da:
PROCTER & GAMBLE S.R.L. 05858891004, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR 211, presso lo studio
dell’avvocato RICCI EMANUELE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FLORIS MARCELLO,
2013

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1521

contro

r
GELI

VITTORIO

GLEVTR40S25H501N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo

Data pubblicazione: 18/09/2013

studio degli avvocati BIAGIO BERTOLONE, DE GREGORIO
CORRADO che lo rappresentano e difendono, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza definitiva n. 3675/2008 della

R.G.N. 6052/2004;
avverso la sentenza non definitiva n. 3304/2006 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/03/2008
R.G.N. 6052/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/04/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato RICCI EMANUELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/10/2009

FATTO
Vittorio Geli conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Gillette
Group Italy s.p.a. di cui era agente plurimandatario chiedendone la
condanna al pagamento in suo favore della complessiva somma di euro
169.872,35 per provvigioni maturate, residuo di indennità di preavviso ed
indennità di clientela.
L’adito giudice, con sentenza del 20.2.2004, rigettava la domanda.

A seguito di gravame interposto dal Geli la Corte di appello di Roma, con
sentenza non definitiva in data 20.3.2008, accoglieva il primo motivo di
appello relativo all’omesso riconoscimento del diritto al pagamento delle
provvigioni indirette spettanti nella zona riservata contrattualmente in
esclusiva all’agente e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione
del giudizio. Indi, con sentenza definitiva dell’8.10.2009, in accoglimento del
secondo motivo di appello, condannava la Procter and Gable s.r.l. ( già
Gillette Group Italy s.p.a.) al pagamento in favore dell’appellante della
complessiva somma di euro 164.065,08 a titolo di provvigioni indirette ed
indennità suppletiva di clientela sulle stesse.
La Corte di merito, nella sentenza non definitiva, rilevava che nel contratto
di agenzia era espressamente previsto che la Gillette conservasse il diritto
di concludere liberamente le vendite nella zona ed alle clienti, fatto salvo il
diritto dell’agente alla provvigione, e che detta pattuizione non poteva
ritenersi modificata “per facta concludentia” in quanto il difetto di reazione o
l’inerzia dell’agente non erano interpretabili come rinuncia al diritto alle
provvigioni non potendosi attribuire tale significato al mero silenzio
essendo, invece, necessario un comportamento concludente del titolare del
diritto idoneo a manifestare in modo univoco la volontà dismissiva del
diritto; né tale significato poteva assumere il ritardo nell’esercizio del diritto.
La Corte territoriale, nella sentenza definitiva, evidenziava: che i conteggi
elaborati dal Geli nel ricorso introduttivo del giudizio non erano stati oggetto
di specifica tempestiva contestazione da parte della società, tale non
potendosi considerare la contestazione “in radice” del credito, e, quindi,
potevano essere ritenuti corretti; che la società non aveva errato nel
computare la data di cessazione del rapporto in quanto le parti avevano
concordato che era loro facoltà disdettare il contratto nel rispetto dei termini
di cui all’A.E.C. e, quindi, avevano pattiziamente derogato al disposto
dell’art. 1750 c.c., norma questa non inderogabile.
I

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Procter & Gable
s.r.l. affidato a tre motivi.
Il Geli resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

DIRITTO
Preliminarmente va esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso in
relazione al primo motivo per la tardività della riserva di impugnazione
avverso la sentenza non definitiva in quanto effettuata oltre il termine

perentorio fissato dall’art. 361 c.p.c. e cioè dopo la prima udienza successiva
alla comunicazione della sentenza. In particolare si evidenzia che la società
non ha formulato la riserva di impugnazione alla udienza del 7.12.2006,
immediatamente successiva a quella del 13.4.2006 in cui era stato letto il
dispositivo della sentenza parziale, né a quella del 20.12.2007, bensì solo
alla udienza del 24.1.2008.
Sul punto la ricorrente, nella memoria ex art. 378 c.p.c., premesso che il
termine di cui all’art. 361 c.p.c. decorre non dalla lettura del dispositivo,
bensì, dalla comunicazione della sentenza non definitiva, ha sostenuto di
averlo rispettato in quanto alla udienza del 24.1.2008, in cui aveva formulato
la riserva di impugnazione, non le era stata ancora comunicata la sentenza
non definitiva, comunicazione che, peraltro, non poteva precedere il deposito
della detta sentenza avvenuto solo in data 20 marzo 2008.
L’eccezione è infondata.
Vale ricordare che la giurisprudenza della Corte è consolidata nel senso
che dal “differimento” delle impugnazioni proponibili nei confronti della
sentenza non definitiva scaturisce, ai sensi del disposto dell’art. 340 c.p.c.,
l’onere di proporle “unitamente” a quelle contro le successive sentenze
definitive, o non definitive immediatamente impugnate (Cass., sez. un., 17
gennaio 1996, n. 331), con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione
immediata (da considerare priva temporaneamente di oggetto) di una
sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l’impugnazione differita
ai sensi degli artt. 340 e 361 c.p.c., (Cass. 27 gennaio 2003, n. 1200; Cass.
31 luglio 2008, n. 20892), regola applicabile anche nel rito del lavoro con
l’unica differenza che la riserva può essere formulata già dopo la lettura del
dispositivo in udienza e prima del deposito della motivazione (Cass. 25
agosto 2003, n. 12482; Cass. n. 17233 del 2010). Quest’ultima è, quindi, una
facoltà e non un onere, come erroneamente affermato dal resistente, in
quanto la riserva di impugnazione nel rito del lavoro comunque, va effettuata
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entro il termine per la proposizione del ricorso (decorrente dalla
pubblicazione della sentenza) e, in ogni caso, non oltre la prima udienza
successiva alla comunicazione della sentenza (e non alla lettura del
dispositivo) (cfr., tra le tante, Cass., 4 dicembre 2000, n. 15425; 20
novembre 1991, n. 12455; 28 agosto 1986, n. 5300; 11 gennaio 1986, n.
118; 4 febbraio 1983, n. 934; 30 ottobre 1981, n. 5736; vedi anche, Cass., 18
marzo 2000, n. 3198 e 3203; 20 marzo 1987, n. 27, sul giorno della
pubblicazione della sentenza come dies a quo di detto termine decadenziale

annuale) .
In ossequio a tali principi la riserva di impugnazione effettuata dalla società
ancor prima della comunicazione della sentenza deve ritenersi tempestiva.
Passando, quindi, all’esame del ricorso si rileva che con il primo motivo si
deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti
controversi e decisivi per il giudizio.
Si assume che la condotta tenuta dal Geli è stata certamente più complessa
e non è riducibile ad una mera inerzia come erroneamente ritenuto, con
motivazione insufficiente, nella sentenza non definitiva in cui, peraltro,
mentre si ammette la teorica possibilità di una rinunzia tacita, poi, ne viene
negata contraddittoriamente la sussistenza nel caso de quo dove, invece,
essa sarebbe palese. Ed infatti il Geli non si era limitato ad attivarsi
tardivamente per reclamare le prowigioni a lui asseritamente dovute, ma
nella costanza del rapporto di agenzia, si era reso totalmente inadempiente
ad una parte rilevante delle proprie obbligazioni nei confronti della società
omettendo di svolgere qualsiasi attività agenziale di promozione nella
conclusione dei contratti, come prevista nel mandato, nei confronti di alcuni
clienti a lui affidati in esclusiva e, coerentemente, non aveva neppure
reclamato le provvigioni indirette ben consapevole del fatto che i contratti di
vendita per i quali vengono in questo giudizio richieste le prowigioni erano
stati conclusi da venditori dipendenti della mandante. Inoltre, la Corte di
merito non ha neppure tenuto conto che, all’atto della modifica del contratto
di agenzia, la Gillette s.p.a. aveva predisposto un prospetto contenente un
elenco analitico dei clienti affidati al Geli in cui non erano incluse le ditte con
le quali erano state concluse le vendite per le quali sono state reclamate le
provvigioni indirette.
In altri termini, l’inerzia dell’agente altro non era che un comportamento
attuativo di una modifica delle pattuizioni e non un mero silenzio o ritardo
nell’esercizio di un diritto significante una rinuncia al diritto stesso.
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Il motivo è infondato.
Il contratto di agenzia prevedeva il diritto dell’agente alle provvigioni indirette
per gli affari conclusi direttamente dalla Gillette s.p.a. nell’ambito della zona
di esclusiva e tale pattuizione non risulta essere stata oggetto di successive
modifiche concordate tra le parti (come rilevato nella sentenza non
definitiva). Ne consegue che il comportamento tenuto dall’agente
correttamente è stato ritenuto dalla Corte di mera inerzia ( o di ritardo
nell’esercizio del diritto) in quanto non poteva essere considerato attuativo di

una modifica a quanto già stabilito nel contratto di agenzia stipulato nel luglio
1999 e cioè che ” Gillette conserva il diritto di concludere liberamente e
direttamente le vendite nella zona ed alle clienti, fatto salvo il diritto
dell’agente alla provvigione” . E, dunque, l’acquisizione diretta di ordini da
parte della società era proprio attuativa di tale pattuizione e non certo un
comportamento concludente abrogativo della stessa in quanto integrante una
attività invasiva nei confronti dei clienti affidati in esclusiva all’agente
tacitamente accettata da quest’ultimo proprio perché conforme agli accordi
intercorsi. Va, inoltre, evidenziato che neppure risulta provato che il Geli non
avesse adempiuto alle obbligazioni assunte con il menzionato contratto,
come, peraltro, già rilevato nella decisione del Tribunale ( trascritta in ricorso)
in cui era stato affermato che la società non aveva dimostrato detto
inadempimento limitandosi a ricavarne l’esistenza dalle deduzioni del
ricorrente contenute nell’atto introduttivo del giudizio in cui si faceva
riferimento ai contratti conclusi direttamente dalla Gillette.
In siffatta situazione correttamente la Corte di appello ha valutato che nel
comportamento tenuto dal Geli altro non si poteva ravvisare se non una
mera inerzia dalla quale, per costante giurisprudenza di legittimità cui
l’impugnata sentenza si è uniformata, non può desumersi una volontà
dismissiva di un diritto. Vale qui riportare quanto affermato da questa Corte
secondo cui “La volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere
soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua
univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo
nell’esercizio del diritto non costituiscono elemento sufficiente, di per sé, per
dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto
d’ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano
rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo
ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare e per quanto
tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più
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esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello
stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca
rinunzia tacita o di una modifica della disciplina, e ne costituisca quindi
comportamento attuativo, mentre, in assenza di una precedente rinunzia o
modificazione del patto, il silenzio o l’inerzia non possono avere da soli
alcuna valenza dimostrativa, restando inoltre esclusa la loro valorizzabilità
secondo il criterio degli standard sociali di comportamento in vigore in
determinati ambienti economici o sociali, trattandosi di condotte tipiche

tipizzate dall’ordinamento, che alla mera inerzia del titolare del diritto
ricollega non la rinunzia allo stesso, ma la prescrizione. (Nella fattispecie, la
S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva considerato il silenzio degli
agenti quale comportamento concludente di accettazione di una nuova
pattuizione che, modificando la precedente, aveva escluso il diritto alle
provvigioni nel caso di vendite dirette da parte del preponente, in violazione
dell’esclusiva).” (Cass. n. 9547 del 22/04/2009; Cass. n. 13322 del
21.6.2005; Cass. n. 14667 del 30/07/2004; Cass. n. 5240 del 15/03/2004).
Quanto all’elenco dei clienti consegnato al Geli all’atto del rinnovo del
mandato correttamente la Corte di merito non ne ha tenuto conto in quanto,
comunque, con la clausola sopra riportata la Gillette si era obbligata a
corrispondere le provvigioni anche per le vendite dirette effettuate nella zona
di esclusiva dell’agente senza alcuna esclusione e, quindi, non solo con
riferimento ai clienti che nel detto elenco sarebbero stati assegnati al Geli.
Con il secondo motivo viene dedotta violazione dell’ad. 2697 c.c. per non
avere la Corte di merito considerato che il Geli, per sua espressa
ammissione, non aveva svolto alcuna attività promozionale nei confronti dei
clienti per i quali aveva reclamato la provvigione. Si assume che grava
sull’agente che rivendichi il pagamento delle provvigioni l’onere di provare di
aver espletato un’attività quantomeno informativa nei confronti del
preponente non potendo vantare alcun diritto, neppure a provvigioni indirette,
in caso di sua totale inerzia.
Anche questo motivo è infondato in quanto il diritto alle provvigioni indirette
era contrattualmente previsto e non risulta, come già detto, che il Geli non
avesse adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto di agenzia. Peraltro,
dal tenore della clausola sopra testualmente riportata è evidente che dette
provvigioni indirette erano comunque dovute per le vendite concluse
direttamente dalla società preponente nell’ambito della zona di esclusiva
dell’agente.
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Con il terzo motivo si assume la violazione dell’art. 2697 c.c. avendo la
Corte di merito erroneamente ritenuto che i conteggi elaborati nel ricorso
introduttivo del giudizio valessero a dimostrare l’esistenza del credito vantato
in quanto non contestati. Ed infatti, anche a voler reputare la tardività della
contestazione specifica dei detti conteggi, da ciò non poteva farsi discendere
la prova del credito che, in quanto contestato “in radice”, doveva essere
provato dal Geli. E tale prova era del tutto mancata.
Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che la contestazione della sussistenza del credito era
fondata solo sul fatto che il Geli avesse, con il comportamento tenuto,
rinunciato alle provvigioni indirette riconosciutegli in virtù della riportata
clausola contrattuale e non anche sulla inesistenza delle vendite in relazione
alle quali dette provvigioni erano state richieste. Con la conseguenza che,
una volta ritenuto infondato l’assunto della società circa la asserita rinuncia
dell’agente alle provvigioni indirette, correttamente la Corte di appello ha
utilizzato i conteggi, non specificamente contestati da controparte, nella
liquidazione del credito del Geli applicando il principio più volte affermato
nella giurisprudenza di legittimità e che qui viene ribadito secondo cui “Nel
rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei
conteggi elaborati dall’attore, ai sensi degli artt. 167, primo comma, e 416,
terzo comma cod. proc. civ., e tale onere opera anche quando il convenuto
contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo
degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione
dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del
calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione
alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di
preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente la
pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la
mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati
in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione
successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile.” (da ultimo Cass.
n. 4051 del 18/02/2011).
Per quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno
poste a carico della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 4.500,00 per compensi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 24 aprile 2013

Il Consigliere est.

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