Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21343 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19022-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 66,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA CASAMASSIMA, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO OLIVONI;

– ricorrente –

contro

C.O. rappresentata dall’Amministratore di sostegno

M.E., P.P., P.M., tutti in proprio e nella qualità

di eredi di PU.PI., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CESARE MASSINI 69, presso lo studio dell’avvocato MARCO DE ANGELIS,

rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE GAMBULI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 334/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 15/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2003 M.A. convenne dinanzi al Tribunale di Perugia C.O., P.P. e P.M., esponendo che:

-) il 13 novembre 2002 aveva stipulato con la società Fineco Leasing s.p.a. un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un terreno edificabile sito nel territorio del comune di San Giustino;

-) il terreno era stato alienato alla società concedente dai tre convenuti, i quali si erano contrattualmente obbligati a rispondere nei confronti dell’utilizzatore per eventuali vizi;

-) dopo l’acquisto, era emerso che su quel terreno esisteva in precedenza un laghetto, poi trasformato in una abusiva discarica e riempito con materiali di risulta;

-) tale circostanza gli era stata taciuta al momento della vendita;

-) dovendo egli costruire su quel terreno un capannone industriale, la suddetta circostanza lo aveva costretto ad eseguire opere di fondazione più costose del previsto.

Chiese pertanto la condanna dei convenuti alla riduzione del prezzo e al risarcimento del danno.

Nel corso del giudizio la domanda venne limitata alla sola richiesta di condanna al risarcimento.

2. Con sentenza 22 ottobre 2014 numero 2262 il Tribunale di Perugia rigettò la domanda, ritenendo che al momento dell’acquisto M.A. conoscesse le caratteristiche del terreno.

La sentenza venne impugnata dal soccombente.

3. Con sentenza 15 maggio 2017 n. 334 la Corte d’appello di Perugia rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne che dalla prova testimoniale raccolta nel corso del giudizio di primo grado era emerso (deposizione del testimone L.A.) che prima dell’acquisto M.A. era stato informato proprio dal testimone che il terreno oggetto del contratto era in passato occupato da un laghetto, “poi richiuso non so con quali materiali”.

Aggiunse che nell’atto di compravendita era espressamente dichiarato che la parte acquirente aveva “visitato e gradito” l’immobile.

Infine, la Corte d’appello osservò che nel contratto di compravendita era previsto un termine di 30 giorni di decadenza per la denuncia dei vizi, e che tale termine era nel caso di specie ampiamente spirato, dal momento che il contratto venne stipulato il 13 novembre 2002, mentre la prima denunzia dei vizi avvenne il 29 settembre 2003.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.A. con ricorso fondato su cinque motivi.

Hanno resistito con controricorso C.O., P.P. e P.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente esaminata l'”istanza di rimessione in termini”, depositata dai controricorrenti.

In essa si deduce che la notifica del controricorso non è andata a buon fine perchè il destinatario (l’avvocato domiciliatario Nicola Casamassima) risultava trasferito e non più reperibile.

Di conseguenza, con atto del 25 agosto 2018, i controricorrenti hanno rinnovato la notifica del controricorso, questa volta a mezzo PEC e all’indirizzo di posta elettronica del difensore del ricorrente.

1.1. L’istanza va disattesa in quanto il controricorso deve ritenersi regolarmente notificato, e non si deve adottare alcun provvedimento formale di rimessione in termini.

I ricorrenti infatti hanno correttamente applicato il principio secondo cui, di fronte ad un esito infruttuoso ed incolpevole della notifica, il notificante ha l’onere di attivarsi entro un termine ragionevole per la ripresa del procedimento notificatorio.

Nel caso di specie, l’ufficiale postale attestò l’irreperibilità del destinatario il 26 luglio 2018, e la rinnovazione della notifica è avvenuta il 25 agosto 2018.

Tenuto conto del tempo inevitabilmente necessario affinchè la notizia dell’esito infruttuoso della notifica potesse pervenire al notificante, può ritenersi certamente rispettato il termine “ragionevole” per la ripresa del procedimento notificatorio (Cass. civ. sez. un. 24.7.2009 n. 17352), termine stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte in misura pari alla metà di quello fissato dalla legge per il compimento dell’atto non andato a buon fine (Cass. civ., sez. un., 15.7.2016 n. 14594): e quindi, nel caso di specie, di 20 giorni (pari alla metà del termine stabilito dall’art. 370 c.p.c., comma 1, per la notifica del controricorso).

2. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo sostiene una tesi così riassumibile:

-) in primo grado erano stati interrogati sui fatti di causa quattro

testimoni: tre intimati dall’attore, uno intimato dai convenuti;

-) i testimoni intimati dall’attore e quello intimato dai convenuti avevano reso dichiarazioni tra loro contrastanti: i primi affermando che M.A. non conoscesse le condizioni del sottosuolo del terreno prima dell’acquisto; il quarto affermando l’esatto contrario;

-) tuttavia, di fronte a tale contrasto, il giudice di merito aveva privilegiato la già ricordata deposizione del testimone L., “senza sottoporre la medesima ad un confronto critico con le altre”;

-) il giudice di merito, inoltre, aveva trascurato di confrontare la deposizione del suddetto L. con le altre prove, ed in particolare gli interrogatori formali, i documenti di causa ed il risultato della consulenza tecnica d’ufficio;

-) da tali documenti emergeva che i venditori ben sapevano che su quel terreno esisteva un lago poi riempito con materiali di risulta; e ben sapevano che il riempimento del laghetto con materiali di risulta “avrebbe reso gli eventuali interventi edificatori a livello di strutture di fondazione notevolmente più costosi”, come testualmente affermato in una perizia redatta nel 1998 proprio dal testimone L. in favore del Comune di San Giustino, ex proprietario del fondo e chiamato in causa dai convenuti (con domanda poi rinunciata);

-) che, in ogni caso, il CTU nominato dal Tribunale aveva accertato che i materiali di risulta scaricati nel preesistente laghetto avrebbero provocato, nel caso in cui si fossero iniziati lavori di edificazione, “cedimenti differenziali superiori a quelli previsti dal geologo (n.d.r., cui fà riferimento la sentenza a p. 3, penultimo capoverso) e pregiudizievoli per la staticità del fabbricato”, il che – questo sembra essere il senso, implicito ma evidente, della censura – palesava l’erroneità della valutazione con cui la Corte d’appello aveva ritenuto che lo stato delle caratteristiche del terreno non presentavano “alcuna controindicazione” all’esecuzione del progetto edificatorio del M..

2.1. Il motivo è inammissibile.

La censura infatti cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

3. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2733 c.c.; e degli artt. 116 e 228 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si espone che Pu.Pi., venditore del fondo, nel rendere interrogatorio formale, alla domanda: “è vero che avete taciuto al M. che l’appezzamento di terreno era un lago riempito?”, aveva risposto:

“è vero, non abbiamo mai detto niente, preciso però che per me non è un lago. L’ho saputo dopo che l’acquitrino era stato sistemato (bonificato) dal comune di San Giustino”.

Ciò premesso, il ricorrente conclude che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2733 c.c., per avere, tra una confessione ed una testimonianza di contenuto contrastante, privilegiato la seconda anzichè, come imposto dalla legge, la prima.

3.1. Il motivo è inammissibile per difetto di decisività.

Infatti, per effetto del rigetto del primo motivo, viene a formarsi il giudicato sull’accertamento secondo cui M.A. ha consentito alla stipula del contratto (di leasing) nonostante conoscesse i vizi del terreno, e diventa perciò irrilevante accertare se il venditore abbia o non abbia taciuto l’esistenza di quei vizi.

4. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la deposizione del geometra L., posta dalla Corte d’appello a fondamento esclusivo della propria decisione, non sarebbe stata “attentamente valutata” dalla Corte d’appello, ed in particolare non sarebbe stata esaminata alla luce delle altre prove raccolte nel corso dell’istruttoria.

4.1. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto censura la valutazione delle prove.

5. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2700 c.c. e dell’art. 116 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si censura il passaggio della sentenza d’appello in cui si afferma che, dal momento che l’atto di compravendita del terreno conteneva l’affermazione secondo cui l’acquirente aveva “visitato e gradito” l’oggetto della compravendita, tale dichiarazione contenuta nel rogito precludeva l’acquirente la possibilità di far valere i vizi della cosa acquistata.

Sostiene il ricorrente che quella clausola era una clausola routinaria e “di stile”, e che pertanto non poteva essere interpretata estensivamente.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile.

Essa infatti si infrange contro varii principii, ripetutamente affermati da questa Corte: ovvero che l’interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità quando siano state violate le regole legali di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e ss.; che tale violazione non può dirsi sussistente sol perchè il testo contrattuale consentiva in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata; che l’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 – 01).

Nel caso di specie, la società ricorrente nella sostanza non lamenta la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma contrappone la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d’appello, che di per sè era comunque non implausibile: di qui l’inammissibilità del motivo di ricorso.

6. Col quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c.. Nella illustrazione del motivo si sostiene che la sentenza impugnata contiene una irriducibile contraddittorietà tra le seguenti affermazioni:

-) da un lato, che M.A. al momento dell’acquisto conosceva l’esistenza dei vizi occulti;

-) dall’altro, che M.A. avrebbe dovuto denunciare i vizi a pena di decadenza entro 30 giorni dalla perizia del geologo D.G., nonostante quest’ultima perizia avesse escluso l’esistenza di vizi.

6.1. Il motivo è infondato.

Le due affermazioni della Corte d’appello sopra riassunte non sono infatti tra loro in contraddizione, ma costituiscono piuttosto una motivazione ad abundantiam.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c, comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna M.A. alla rifusione in favore di C.O., P.P. e P.M., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Andrea M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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