Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21342 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18490-2018 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PALESTRO 78,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA RANIERI, rappresentata e

difesa dall’avvocato NISIA FIORINI;

– ricorrente –

contro

PI.TE., V.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, LARGO DELLA GANCIA 1, presso lo studio dell’avvocato ROMOLO

DONZELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANCARLO SAVI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 397/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSEITI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2016 V.V. e PI.Te. convennero dinanzi al Tribunale di Ancona P.F., esponendo che:

-) erano proprietari dell’immobile sito a (OMISSIS), via (OMISSIS);

-) in occasione delle nozze del proprio figlio V.R. con P.F. concessero in comodato ai coniugi il suddetto immobile;

-) nel contratto di comodato, redatto per iscritto, figurava quale comodataria la sola P.F. “per motivi fiscali”;

-) nel 2015 i due coniugi si separarono;

-) con atto del (OMISSIS) avevano vanamente chiesto alla convenuta il rilascio dell’immobile.

Conclusero pertanto chiedendo la condanna di P.F. al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno, quantificato in Euro 6.098,40.

2. La convenuta si costituì eccependo che il comodato era stato stipulato con lo scopo di destinare l’immobile ad abitazione familiare; che tale scopo non era venuto meno; che l’immobile in ogni caso le era stato assegnato giudizialmente in sede di separazione; che i proprietari non avevano alcuna necessità di rientrare in possesso dell’immobile.

3. Con sentenza 28 luglio 2017 n. 1300 il Tribunale di Ancona rigettò la domanda condannando gli attori alle spese.

4. La Corte d’appello di Ancona, adita dai soccombenti, con sentenza 25 maggio 2018 n. 397 riformò la decisione di primo grado e condannò P.F. al rilascio dell’immobile, rigettando però la domanda di risarcimento del danno.

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello osservò:

-) che il contratto stipulato inter partes andava qualificato come “precario”;

-) tanto doveva desumersi dall’art. 3 del contratto;

-) il suddetto articolo infatti, letto in combinato disposto con la clausola 2 del medesimo contratto, induceva a ritenere che il contratto di comodato era stato sì stipulato per le esigenze della famiglia, ma che le parti non avevano affatto voluto fissarne la durata agganciandola alla persistenza delle suddette esigenze, “proptio per la presenza della seconda previsione che espressamente sottolinea, nonostante la destinazione predetta, la natura precaria del rapporto”.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.F. con ricorso fondato su un solo motivo.

Hanno resistito con controricorso V.V. e PI.Te.. Ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 337 sexies, 1809 e 1810 c.c..

Nella illustrazione del motivo (pagine 13-23) si sostiene una tesi giuridica così riassumibile:

-) il contratto stipulato tra le parti aveva ad oggetto una casa destinata ad abitazione familiare;

-) il comodato di casa destinata ad abitazione familiare è “estraneo allo schema legale del comodato precario”;

-) tale contratto va invece inquadrato nel comodato tipico di cui all’art. 1809 c.c., con la conseguenza che il comandante è tenuto a consentire la continuazione del godimento dell’immobile fino a che sussistano esigenze familiari, ed “indipendentemente dall’insorgere della crisi coniugale”, fino a quando non vi sia almeno un figlio che non abbia ancora raggiunto l’autosufficienza economica.

Deduce che nel caso di specie l’interpretazione complessiva del contratto doveva indurre il giudice di merito a ritenere che le parti avessero inteso stipulare con esso un comodato tipico, di durata agganciata al permanere delle esigenze familiari.

Aggiunge che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che l’art. 3 del contratto consentisse ai comodanti il recesso ad nutum; deduce in contrario che tale clausola non fissava alcuna data di scadenza al comodato, sicchè il termine di esso doveva essere desunto unicamente dall’uso per il quale la abitazione era stata concessa in godimento, e cioè la soddisfazione dell’esigenza abitativa della famiglia.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto censura l’interpretazione del contratto, senza peraltro nemmeno prospettare la violazione di alcuna delle norme di ermeneutica legale.

Una censura siffatta contrasta con vani principii, ripetutamente affermati da questa Corte: ovvero che l’interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità solo quando il ricorrente deduca che siano state violate le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; che tale violazione non può dirsi sussistente sol perchè il testo contrattuale consentiva in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata; che l’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 -01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 – 01).

Nel caso di specie, la ricorrente nella sostanza non lamenta la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma contrappone la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d’appello, che di per sè era comunque non implausibile: di qui l’inammissibilità del motivo di ricorso.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

La circostanza che la ricorrente sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui al sopra ricordato Decreto, artt. 11 e 131 (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 01).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna P.F. alla rifusione in favore di V.V. e PI.Te. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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