Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21340 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18247-2018 proposto da:

Pu.AL., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GRAZIA PULVIRENTI;

– ricorrente –

contro

IACP DI CATANIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2316/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 l’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) di Catania intimò sfratto per morosità ad Pu.Al., intimandogli contestualmente il pagamento dei canoni di locazione arretrati, pari ad Euro 21.910,34.

2. Pu.Al. si costituì eccependo l’incompetenza ratione loti del Tribunale di Catania; il difetto di legittimazione passiva; la nullità della intimazione di sfratto ex art. 163 c.p.c., n. 2, per omessa indicazione del luogo di nascita e del codice fiscale dell’intimato; l’assenza di mora.

Il Tribunale di Catania si dichiarò incompetente per territorio (così è riferito nel ricorso) in favore della sezione distaccata di Giarre del medesimo Tribunale.

Il Tribunale di Catania, sezione di Giarre, dopo aver disposto il mutamento del rito, con sentenza 18 novembre 2013 n. 4063 dichiarò risolto per inadempimento del conduttore il contratto di locazione e ordinò ad Pu.Al. il rilascio dell’immobile.

La sentenza venne impugnata dal soccombente.

3. La Corte d’appello di Catania, con sentenza 15 gennaio 2018 n. 2316, rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che:

-) il mandato conferito dallo IACP al proprio difensore doveva ritenersi comprensivo della facoltà di domandare sia il pagamento dei canoni arretrati, sia la risoluzione del contratto;

-) legittimato a domandare la risoluzione del contratto ed il pagamento dei canoni arretrati era l’IACP DI CATANIA, e non quello di Acireale (cui la proprietà e la gestione dell’immobile era stata trasferita sin dal 27 luglio 2012), “posto che lo sfratto per morosità era stato intimato per mancato pagamento dei canoni dalla data di assegnazione dell’alloggio fino al 31 maggio 2012, periodo in cui la gestione immobiliare apparteneva ancora alla sede di Catania”;

-) legittimato passivo rispetto alla domanda di risoluzione era Pu.Al., a nulla rilevando che egli nelle more si fosse separato legalmente dalla moglie, e che a quest’ultima l’immobile fosse stato assegnato a titolo di comodato in sede di separazione consensuale; ciò in quanto la concessione in comodato non era equiparabile ad una assegnazione in godimento dell’immobile disposta o pattuita in sede di separazione; in ogni caso tale statuizione del Tribunale non era stata censurata dall’appellante;

-) inammissibile, altresì, era il motivo di gravame col quale l’appellante si doleva della erronea determinazione dei canoni da lui dovuti, perchè “non censura il percorso argomentativo illustrato dal primo giudice”.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Pu.Al., con ricorso fondato su tre motivi.

L’IACP non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che l’avvocato dello IACP fosse munito di un valido mandato per proporre la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.

Deduce che il suddetto avvocato (Gianfranco Romeo) aveva ricevuto dal commissario straordinario dello IACP DI CATANIA, Antonio Leone, soltanto l’incarico di recuperare le morosità, e non già di intimare sfratto per morosità, e che la Corte d’appello non avrebbe “assolutamente motivato” su tale eccezione.

1.1. Il motivo è inammissibile per una duplice e concorrente ragione.

In primo luogo è inammissibile perchè esso si fonda su un provvedimento amministrativo (l’atto di conferimento dell’incarico professionale adottato dallo IACP il 5 aprile 2012 n. 34) del quale non viene indicato se sia stato prodotto, quando sia stato prodotto e dove si trovi, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

1.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perchè estraneo alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata: la Corte d’appello, infatti, ha rilevato a pagina 3, terzo capoverso, che la lettera con la quale l’IACP conferì l’incarico al proprio difensore non era in atti, così implicitamente mostrando di ritenere che nulla poteva stabilirsi sul contenuto di essa.

Tale valutazione circa l’assenza dagli atti del documento in contestazione non viene censurata dal ricorrente.

2. Col secondo motivo il ricorrente investe il capo di sentenza col quale la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante che la proprietà dell’immobile oggetto del contendere fosse stata trasferita a luglio del 2012 dallo IACP DI CATANIA a quello di Acireale.

La censura è prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, senza peraltro che siano indicate le norme che si assumono essere state violate.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che Pu.Al. sin dall’atto di opposizione alla intimazione di sfratto per morosità aveva eccepito il “difetto di legittimazione attiva” (rectius, sostanziale) dello IACP DI CATANIA, sul presupposto che la proprietà e la gestione dell’immobile con provvedimento del 27 luglio (a p. 10 del ricorso si dice “giugno”) 2012 erano state trasferite dallo IACP DI CATANIA a quello di Acireale. Dopo aver esposto ciò, il motivo “vira” su una questione diversa, e cioè che “il contratto di locazione-assegnazione doveva essere volturato a favore della moglie (dell’opponente) in virtù della separazione consensuale omologata da parte del Tribunale di Catania dove veniva espressamente previsto il godimento dell’alloggio a favore della signora P.G.”.

2.1. Il motivo è innanzitutto inammissibile perchè si fonda su due documenti ((OMISSIS) e lettera dello (OMISSIS)) dei quali non è indicata la fase processuale in cui vennero prodotti, e la relativa indicizzazione.

2.2. La seconda parte del motivo (pagina 10, ultimi tre capoversi) è del pari inammissibile in quanto non contiene alcuna ragionata critica alla sentenza d’appello, ma consiste soltanto in una collazione di affermazioni non esprimenti alcuna critica cassatoria.

3. Col terzo motivo il ricorrente, senza formalmente inquadrare la censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., deduce che la sentenza d’appello sarebbe erronea nella parte in cui ha rigettato la sua eccezione di difetto di legittimazione passiva.

Deduce di non essere più il conduttore dell’immobile da quando, in sede di separazione consensuale, l’immobile venne trasferito in godimento alla di lui moglie P.G., che doveva perciò ritenersi attuale conduttore dell’alloggio.

Precisa (evidentemente a confutazione del capo di sentenza con cui la analoga doglianza proposta in grado di appello era stata rigettata sul presupposto che, in sede di separazione, l’immobile era stato non già assegnato, ma concesso in comodato alla ex moglie) che un alloggio di edilizia residenziale pubblica non può essere concesso in comodato, ai sensi del D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 17.

3.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi. L’odierno ricorrente, infatti, già in appello aveva sostenuto di non essere lui il conduttore dell’immobile, e che di conseguenza non era passivamente legittimato rispetto alle domande attoree.

Tale motivo di gravame venne tuttavia reputato inammissibile dalla Corte d’appello “perchè non censura la ragione” adottata dal Tribunale “per affermare la permanenza in capo al Pu. della qualità di conduttore”.

Il giudizio di inammissibilità del gravame non viene censurato in questa sede dal ricorrente.

In ogni caso va rilevato che il trasferimento dell’immobile per qualsivoglia titolo non sana la morosità pregressa, nè il ricorrente non precisa quando sarebbe avvenuto il suddetto trasferimento, sicchè il motivo sarebbe comunque inammissibile per difetto di decisività con riferimento alla domanda di pagamento dei canoni.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Pu.Al. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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