Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21338 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17868-2018 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GENNARO

CASSIANI 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BATTAGLIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE GULLO;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI

SETTEMBRINI 18, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARIA MATTIOLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LA VALLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 321/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 01/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2011 M.A. convenne dinanzi al Tribunale di Palmi G.F., esponendo che:

-) in occasione delle nozze della propria figlia An. con G.F., avvenute nel 2005, le aveva concesso in comodato un appartamento compreso in un immobile di proprietà di esso attore;

-) Mu.An., comodataria, perse la vita in conseguenza d’un sinistro stradale avvenuto il 26 settembre 2010;

-) la morte della comodataria aveva determinato ipso facto la risoluzione del contratto di comodato;

-) nondimeno, G.F. era rimasto nella detenzione dell’immobile, e ne aveva rifiutata la restituzione.

Chiese pertanto la condanna del convenuto al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del danno.

2. G.F. si costituì formulando varie eccezioni tra loro alternative, ovvero:

-) che l’immobile era stato da M.A. non già concesso in comodato alla figlia, ma ad essa donato, o comunque M.A. aveva promesso di donarlo;

-) che in ogni caso G.F. era divenuto proprietario dell’immobile pro quota per successione, in quanto dell’immobile era comproprietaria la moglie di M.A., deceduta nel medesimo sinistro stradale pochi minuti prima della figlia Mu.An. in G., a sua volta deceduta pochi minuti prima della bimba che Mu.An. in G. ebbe da G.F.: sicchè la relativa quota di proprietà era pervenuta per successione a quest’ultimo.

In via riconvenzionale, il convenuto chiese la condanna dell’attore alla rifusione delle spese da lui sostenute per i lavori di completamento dell’immobile (ancora incompiuto al momento della concessione in comodato), e per l’acquisto della mobilia.

3. Con sentenza n. 963 del 2014 il Tribunale di Palmi accolse la domanda principale, e rigettò quella riconvenzionale.

Il tribunale ritenne che M.A. avesse concesso il proprio immobile in comodato non già alla coppia, ma solo alla propria figlia; e che di conseguenza il contratto si era risolto per la morte di ques t’ultima.

Il tribunale rigettò invece la domanda riconvenzionale proposta da G.F., ritenendo che dalle prove raccolte nel corso dell’istruttoria fosse emerso che questi non avesse affatto portato a compimento la realizzazione di un immobile incompiuto, ma avesse solo eseguito “alcuni lavori” per una migliore sistemazione dell’appartamento, e quindi sostenuto spese non rimborsabili ai sensi dell’art. 1808 c.c., comma 1.

4. La sentenza venne appellata da G.F..

La Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza 1 dicembre 2017 n. 321 rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne che:

-) G.F. non fosse proprietario dell’immobile, in quanto non poteva averlo acquistato nè per donazione, della quale mancava l’atto scritto; nè per successione, dal momento che le di lui moglie, suocera e figlia dovevano presumersi decedute nel medesimo istante;

-) G.F. non fosse comodatario dell’immobile, per mancanza di qualsiasi prova che l’immobile fosse stato concesso in comodato anche a lui; ad abundantiam, la Corte d’appello aggiunse che, essendo stato comunque l’immobile concesso in comodato in vista del matrimonio, lo scioglimento di quest’ultimo per morte di Mu.An. aveva determinato la cessazione del comodato;

-) quanto alla domanda riconvenzionale di rimborso delle spese sostenute per completare ed arredare l’immobile, la Corte d’appello ritenne che dalle prove raccolte risultava che l’immobile era stato ultimato già prima delle nozze; che i lavori erano stati eseguiti da una società commerciale regolarmente remunerata da M.A.; che la circostanza che G.F. fosse lavoratore dipendente della società che aveva eseguito i lavori non potesse far sorgere in capo a quest’ultimo alcun diritto di credito nei confronti del proprietario dell’immobile;

-) infine, con riferimento alle spese sostenute per migliorare o rendere più comoda l’abitazione, la Corte d’appello ritenne che esse non fossero rimborsabili nè ai sensi dell’art. 1150 c.c., nè ai sensi dell’art. 936 c.c., perchè “il comodatario le fa nel suo esclusivo interesse” (la Corte d’appello richiama, al riguardo, la decisione di questa Corte numero 1216 del 2012).

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.F. con ricorso fondato (formalmente) su un solo motivo, articolato tuttavia in plurime censure.

Ha resistito con controricorso M.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo del ricorso contiene due censure.

Con una prima censura (anticipata a p. 18; la questione è poi ripresa e sviluppata alle pp. 32-35) il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 936,1150 e 2041 c.c..

Formula al riguardo una tesi così riassumibile:

-) la Corte d’appello ha affermato che G.F. non fu mai nè proprietario, nè comodatario dell’immobile;

-) tuttavia, la stessa Corte d’appello ha affermato che “eventuali lavori di miglioramento (installazione di vasche, di arredi del bagno, acquisto di lampadari e mobilio, provati anche documentalmente dal G.) non possono dar luogo a rimborso alcuno da parte del comodante”, poichè se il comodatario decida di affrontare spese anche straordinarie per utilizzare la cosa oggetto del comodato, ciò fa a suo rischio e pericolo e non può pretenderne il rimborso;

-) quest’ultima affermazione sarebbe scorretta, in quanto una volta accertato in punto di fatto che G.F. non era comodatario dell’immobile (per essere stato quest’ultimo concesso in comodato unicamente alla di lui moglie) non poteva applicarsi a lui la disciplina sulla irripetibilità delle spese e delle migliorie dettata per l’ipotesi di comodato.

1.1. Prima di esaminare il motivo nel merito, v’è da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.

Il ricorrente infatti, pur prospettando formalmente un “vizio di violazione di legge”, di cui all’art. 360 c.c., n. 3, nella sostanza denuncia una nullità della sentenza per insanabile contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del secondo motivo di ricorso.

Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioè erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 32-35 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la sussistenza, nella motivazione della sentenza impugnata, d’una contraddizione non altrimenti sanabile: e dunque è consentito a questa Corte qualificare il motivo in base al suo effettivo contenuto, piuttosto che in base all’intitolazione di esso.

1.2. Nel merito, il motivo – come sopra qualificato – è fondato.

La Corte d’appello, infatti, alla p. 4, ultimo capoverso, della propria sentenza, ha ritenuto in punto di fatto che l’immobile oggetto del contendere risultava concesso in comodato da M.A. solamente alla propria figlia, e non ad entrambi i coniugi.

Tuttavia alla successiva p. 6, ultimo e penultimo capoverso, la Corte d’appello dopo aver ritenuto che G.F. avesse documentalmente dimostrato di avere sostenuto delle spese per l’esecuzione di lavori di miglioramento, ha affermato che le migliorie da lui apportate non potevano dar luogo a rimborso alcuno, in quanto “il comodatario che per utilizzare la casa sostenga spese di manutenzione (…) non può pretendere il rimborso dal comodante”.

Le due affermazioni, come correttamente rilevato dal ricorrente, sono tra loro in insanabile contrasto.

Se, infatti, G.F. non era un comodatario dell’appartamento, la Corte d’appello non avrebbe potuto rigettare la sua domanda applicando i principi stabiliti da questa Corte con riferimento alle spese sostenute dal comodatario.

Se, per contro, G.F. era davvero un comodatario, e in quanto tale non legittimato a domandare il rimborso delle spese del migliorie, diviene inspiegabile l’affermazione di cui a pagina 4 della sentenza impugnata, secondo cui “non risulta che il bene sia stato concesso in comodato ad entrambi i coniugi”.

La rilevata insanabile contraddizione comporta la nullità della sentenza per inintelligibilità della motivazione, e la sua conseguente cassazione con rinvio.

Il giudice di rinvio provvederà a sanare la suddetta nullità accertando dapprima in punto di fatto a quale titolo G.F. abbia detenuto l’immobile (comodato, liberalità, locazione, eccetera); e quindi applicherà la disciplina giuridica coerente con la natura del rapporto accertato.

2. Con una seconda censura il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, fraintendendo le prove e non tenendo conto dei documenti acquisiti, ha ritenuto non dimostrato che G.F. avesse “prestato attività lavorativa in favore del Murdacà (pagine 19-30 del ricorso; per l’intelligenza della motivazione va precisato che il ricorrente chiama “prestazione di attività lavorativa” l’esecuzione in prima persona di lavori edili all’interno dell’immobile).

2.1. La censura è manifestamente inammissibile, perchè investe la valutazione delle prove, il giudizio di attendibilità dei testimoni, la scelta di privilegiare alcune deposizioni rispetto ad altre: tutte valutazioni riservate al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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