Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21336 del 13/08/2019

Cassazione civile sez. I, 13/08/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 13/08/2019), n.21336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10644/2017 proposto da:

C.S., e Z.M., elettivamente domiciliati in

Roma, viale Gorizia, n. 25/C, presso lo studio dell’Avvocato Giorgio

Falini che li rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Elena

Maria Stella, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Hotel Sporting s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Donatello, n. 11,

presso lo studio dell’avvocato Cecilia Nusiner, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1082/2017 del TRIBUNALE di TORINO, del

23/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/04/2019 dal cons. Dott. Giuseppe De Marzo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sorrentino Federico, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo; udito per il ricorrente l’Avvocato Giorgio Falini, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Cecilia Nusiner, che ha

concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 23 febbraio 2017 il Tribunale di Torino, in riforma della decisione di primo grado, ha revocato i decreti ingiuntivi emessi dal giudice di pace di Torino n. 461/2013 del 9 gennaio 2013 e n. 24/2013 del 3 gennaio 2013, condannando C.S. e Z.M. alla restituzione, in favore della Hotel Sporting s.r.l., degli importi corrisposti in loro favore, in forza dei provvedimenti monitori.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che l’eccezione di inammissibilità dell’appello era infondata, sia con riferimento alla ragionevole probabilità di accoglimento, ai sensi dell’art. 348-bis, c.p.c., sia con riguardo alla specificità delle censure; b) che gli assegni posti a base dei decreti ingiuntivi, nella prospettiva dell’azione causale esercitata dalla C. e dal Z., non potevano essere considerati come espressivi di un riconoscimento dei debito, essendo stato ammesso proprio da loro che i titoli erano stati emessi in bianco dalla Hotel Sporting s.r.l. e consegnati a un terzo, il sig. R., il quale li aveva, a sua volta, dati ai primi, i cui nomi erano stati indicati sui titoli stessi; c) che, in definitiva, al momento della formazione e consegna degli assegni, non vi era stata alcuna indicazione dei beneficiari da parte dell’emittente; d) che neppure risultava che quest’ultimo avesse prescritto al R. di completare gli assegni con l’indicazione della C. e dello Z.; e) che, pertanto, era inapplicabile la presunzione di cui all’art. 1988 c.c. anche perchè gli stessi C. e Z. avevano ammesso di non avere avuto rapporti diretti con la Hotel Sporting s.r.l., ma solo con il R., come da loro ribadito quando erano stati escussi a sommarie informazioni nel processo penale; f) che, nella prospettiva dell’esercizio dell’azione cartolare, l’emissione in bianco dei due assegni comportava l’applicabilità della disciplina concernenti gli assegni al portatore e, in particolare, del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 75 con la conseguenza che l’azione doveva ritenersi prescritta.

3. Avverso tale sentenza la C. e lo Z. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la Hotel Sporting s.r.l. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalla Hotel Sporting s.r.l.

La doglianza è inammissibile, in quanto, attraverso espressioni di assoluta genericità, prive di qualunque correlazione con la concreta vicenda processuale, assertivamente reitera la censura di assenza di specificità dell’appello, senza illustrare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, i motivi che sorreggono tale conclusione.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., rilevando: a) che la Sporting Hotel s.r.l. non aveva fornito alcuna dimostrazione della inesistenza del rapporto causale sottostante all’emissione dei titoli in esame; b) che siffatto rapporto non era escluso per il fatto che gli assegni erano stati rilascianti in bianco; c) che non emergeva affatto dalle difese dei ricorrenti che gli assegni fossero stati completati da loro; d) che il Tribunale aveva completamente trascurato la prova del rapporto causale, valorizzata dal giudice del primo grado e colta nella consegna, da parte dello Z., in favore dell’Hotel Sporting s.r.l., di un assegno bancario, regolarmente posto all’incasso.

La doglianza è, nel suo complesso, infondata.

In punto di diritto, va osservato che, poichè, ai sensi dell’art. 1987 c.c., le promesse unilaterali producono effetti obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall’art. 1988 c.c., dispensano colui al quale sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria; pertanto, in considerazione della natura recettizia della promessa, l’assegno riveste tale natura certamente nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed immediato giratario ma non pure nei confronti di colui che si atteggi quale mero possessore del titolo, giacchè – mancando in esso l’indicazione del soggetto al quale è fatta la promessa -non vi è ragione di attribuire il beneficio dell’inversione dell’onere della prova (si veda già Cass. 24 maggio 1996, n. 4801; 29 marzo 2006, n. 7262; 21 giugno 2013, n. 15688).

Tale soluzione è coerente con il rilievo che la ricognizione di debito e la promessa di pagamento, pur non avendo natura giuridica di confessione, consistendo la prima in una dichiarazione di scienza e la seconda in una dichiarazione di volontà, devono possedere i requisiti di siffatte dichiarazioni e, pertanto, devono provenire da soggetto legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata (Cass. 24 aprile 2012, n. 6473) e devono investire la posizione della controparte del rapporto della cui esistenza si tratta (non casualmente Cass. 29 settembre 2011, n. 19929 identifica esplicitamente nel destinatario della promessa di pagamento colui che è dispensato dall’onere di provare la sussistenza del rapporto fondamentale).

Il ricorrente invoca le conclusioni di Cass. 14 aprile (rectius: luglio) 2010, n. 16556, secondo la quale il possessore di un assegno bancario, in cui non figuri l’indicazione del prenditore oppure cui l’assegno sia stato girato dal primo prenditore o da ulteriori giratari, sia con girata piena che con girata in bianco, ha diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo, senza che, se presentato per il pagamento direttamente all’emittente, questi possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne chiede il pagamento, applicandosi a tali ipotesi la disciplina dei titoli al portatore.

Tuttavia, tale pronuncia fa riferimento all’esercizio dell’azione cartolare e non si occupa della rilevanza del titolo come promessa di pagamento, dal momento che l’accoglimento del primo motivo di ricorso, concernente la portata della disciplina dettata dal R.D. n. 1736 del 1933, aveva comportato l’assorbimento delle censure articolate con riguardo all’art. 1988 c.c..

In tale cornice di riferimento, non assume rilievo se gli assegni siano o non stati compilati dai ricorrenti, una volta che non venga in discussione il fatto che gli stessi sono stati consegnati in bianco dall’emittente a soggetto diverso dai primi.

Quanto all’esistenza di un rapporto diretto tra Hotel Sporting s.r.l. e i ricorrenti, quale sarebbe dimostrato dall’incasso di un assegno versato dallo Z. alla società, si osserva, a tacer del fatto che la deduzione non riguarderebbe, in difetto di ulteriori precisazioni, la posizione della C., che, in ogni caso, i ricorrenti non forniscono alcuna indicazione idonea a rendere la critica specifica.

Infatti, non è chiara la relazione tra le due vicende, alla luce della diversità dei soggetti coinvolti (come detto, l’assegno sarebbe stato versato dallo Z. soltanto e non dalla C.) e degli importi (giacchè il primo assegno recherebbe l’importo di 11.000,00 Euro, mentre i due assegni posti a base della richiesta di decreto ingiuntivo indicano le diverse somme di 5.000,00 e 4.200,00 Euro) nonchè alla luce del rilievo, evidenziato dalla sentenza del Tribunale e non oggetto di contestazione alcuna, secondo la quale sarebbero stati proprio i ricorrenti, nel contesto di un procedimento penale, a riferire dell’assenza di rapporti diretti con la Hotel Sporting s.r.l.

3. Con il terzo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 75 rilevando che la previsione concerne l’azione di regresso del portatore nei confronti dei giranti e non il caso, ricorrente nella specie, dell’azione promossa dal prenditore nei confronti del traente.

Aggiungono i ricorrenti che, in ogni caso, anche a voler ritenere applicabile il termine semestrale di prescrizione, esso non era decorso, giacchè la diffida di pagamento era stata spedita in data 31 luglio 2012 e ricevuta dalla Hotel Sporting s.r.l. in data 8 agosto 2012, mentre i ricorsi per decreto ingiuntivo erano stati depositati il 20 dicembre 2012.

Le doglianze sono infondate.

Con riferimento al significato del R.D. n. 1736 del 1933, art. 75 va, infatti, ribadito che, in materia di assegno bancario, anche l’azione cartolare esercitata dal prenditore nei confronti del traente è qualificata come di regresso (art. 45 R.D. cit.), giacchè non è prevista l’accettazione del trattario e, in generale, non esiste un rapporto obbligatorio tra quest’ultimo e il prenditore.

Ne discende che, a seguito del rifiuto di pagamento da parte del trattario (circostanza della quale danno atto gli stessi ricorrenti) sono configurabili solo azioni di regresso e, nel caso di specie, l’azione di regresso dell’ultimo portatore nei confronti del traente della quale è menzione nell’art. 75, comma 1 sopra menzionato.

Senza che occorra indugiare sul momento nel quale il termine ha preso a decorrere, è sufficiente osservare che, dopo il perfezionamento dell’atto interruttivo stragiudiziale ricevuto da Hotel Sporting s.r.l. in data 8 agosto 2012, i ricorsi per decreto ingiuntivo sono stati notificati a controparte il 14 e il 21 febbraio 2013.

Ora, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, perchè si produca l’effetto interruttivo della prescrizione è necessario che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto giudiziale o stragiudiziale del creditore (v., ad es., di recente Cass. 15 febbraio 2017, n. 4034, che ne ha tratto la conseguenza per cui, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si realizza con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell’atto al convenuto; con riferimento al rapporto tra notifica del decreto ingiuntivo e interruzione della prescrizione, v. Cass. 3 settembre 2013, n. 20176). Nè può valorizzarsi, in senso contrario, l’orientamento secondo il quale la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, affermata dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicchè, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24822).

Ed, in effetti, nel caso di specie, non viene affatto in rilievo un diritto esercitabile solo con un atto processuale (come, ad es., nelle azioni costitutive di annullamento del licenziamento: v., ad es., Cass. 20 aprile 2017, n. 10016).

4. In conclusione, il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questa fase, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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