Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21332 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21332 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA

di falso

sul ricorso proposto da
BANCA SELLA NORD EST – BOVIO CALDERARI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. Pietro Tosolini, elettivamente domiciliata in Roma, alla
via del Tritone n. 102, presso l’avv. UGO TICOZZI, dal quale, unitamente all’avv.
ANTONIO CONTARINO del foro di Bolzano, è rappresentata e difesa in virtù di
procura speciale in calce al ricorso
RICORRENTE

contro
SOFFIATI GEMMA, elettivamente domiciliata in Roma, alla via M. Prestinari n.
13, presso l’avv. GIUSEPPE RAMADORI, dal quale, unitamente all’avv. MAURIZIO BARCHI del foro di Bolzano, è rappresentata e difesa in virtù di procura
speciale a margine del controricorso
CONTRORICORRENTE

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Data pubblicazione: 18/09/2013

e
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE
D’APPELLO DI TRENTO, SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, n. 35/09, pubblicata il 16 febbraio 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 aprile 2013
dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito l’avv. Buccellati per delega del difensore del controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Immacolata ZENO, il quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Gemma Soffiati convenne in giudizio la Banca Bovio Calderari S.p.a.,
chiedendo l’accertamento della nullità o la risoluzione delle operazioni di acquisto
e di vendita di valori mobiliari azionari eseguite con le somme giacenti sui conti
correnti a lei intestati e la condanna della Banca alla reintegrazione delle minusvalenze dalle stesse derivanti o al risarcimento dei danni.
1.1. — Nel corso del giudizio, con sentenza del 4 maggio 2007, il Tribunale
di Bolzano accolse la querela di falso proposta dalla Soffiati, dichiarando false le
sottoscrizioni a lei attribuite, apposte sul contratto per il servizio di gestione di
portafogli del 5 giugno 2001, sul relativo allegato e sull’atto del 1° giugno 2002
recante modifiche alla linea d’investimento.
2. — L’impugnazione proposta dalla Banca convenuta, sotto la nuova denominazione di Banca Sella Nord Est – Bovio Calderari S.p.a., è stata rigettata dalla

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INTIMATO

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Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 16 febbraio 2009.
A fondamento della decisione, la Corte ha escluso la nullità della consulenza

legio al relatore per la raccolta del giuramento del consulente e l’acquisizione delle
scritture di comparazione non comportava una violazione del principio dell’assunzione collegiale della prova, trattandosi di attività meramente formali e strumentali alla consulenza, rispetto alle quali non si pongono le esigenze di oralità, concentrazione ed immediatezza che contraddistinguono l’attività istruttoria, e non essendo la consulenza un atto di prova in senso tecnico, ma un mezzo ausiliario di valutazione della situazione di fatto prospettata dalla parte, che si traduce in una relazione scritta integralmente sottoposta all’esame del collegio. Escluso inoltre che la
successiva rimessione della causa al Collegio presupponesse una valutazione discrezionale del relatore in ordine all’inutilità di ulteriori accertamenti, dovendosi il
delegato limitare a verificare l’avvenuto espletamento della consulenza, la Corte
ha comunque rilevato che l’irritualità lamentata dall’appellante non era stata fatta
valere in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado.
3. — Avverso la predetta sentenza la Banca propone ricorso per cassazione,
affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. La Soffiati resiste con
controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione
e/o la falsa applicazione degli artt. 50-bis, primo comma, n. 1, 158, 159 e 225,
primo comma, cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ribadendo la natura istruttoria

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grafologica espletata in primo grado, osservando che la delega conferita dal Col-

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dell’attività delegata al relatore, in quanto strettamente connessa all’assunzione degli elementi necessari per la c.t.u. Sostiene infatti che nella querela di falso l’indagine demandata al consulente ha portata percipiente, costituendo essa stessa fonte

posto all’esame del collegio. L’assunzione collegiale della prova non trova d’altronde giustificazione nelle esigenze di oralità, concentrazione ed immediatezza,
ma nella necessaria collegialità della trattazione e della decisione, e quindi nella
salvaguardia della regolare costituzione del giudice chiamato a decidere sulla querela di falso.
1.1. — Il motivo è infondato.
1.1. — Il ricorso non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi
dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ, alla correzione della motivazione della
sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta invece conforme al diritto.
Ai fini dell’esclusione della nullità della c.t.u., la Corte territoriale ha richiamato il principio, enunciato da questa Corte in riferimento alle controversie agrarie, secondo cui la mancanza del giudice istruttore e la conseguente necessità che
le prove siano assunte direttamente dall’organo chiamato a decidere, pur costituendo espressione dei caratteri di oralità, concentrazione ed immediatezza che
contraddistinguono il rito del lavoro, applicabile alle predette controversie, non
escludono la possibilità di delegare ad uno dei componenti del collegio l’assunzione del giuramento del consulente e la formale precisazione del quesito già elaborato dal collegio nell’ordinanza che ha disposto la consulenza, in quanto tali adempimenti non si configurano come attività di assunzione della prova in senso
proprio, ma come atti meramente formali e strumentali all’espletamento della consulenza, la quale, a sua volta, non costituisce un mezzo di prova, ma un mezzo au-

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oggettiva della prova, che non emerge esclusivamente dall’elaborato scritto sotto-

siliario di valutazione della situazione di fatto prospettata dalla parte, direttamente
fornito all’organo giudicante mediante una relazione (cfr. Cass., Sez. III, 26 novembre 1991, n. 12642). Nell’applicare questo principio alla consulenza grafolo-

sce attività di assunzione della prova in senso stretto neppure l’acquisizione delle
scritture di comparazione, aggiungendo, in ordine alla successiva rimessione della
causa al collegio, che tale attività non presupponeva alcuna valutazione da parte
del giudice relatore in ordine alla sufficienza dell’istruttoria svolta, ma solo la verifica dell’avvenuto espletamento della c.t.u. disposta dal collegio.
Quest’ultima osservazione si pone anch’essa in linea con un principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’attività istruttoria svolta per
delega del collegio da parte di uno dei suoi componenti in violazione della regola
della trattazione collegiale non si traduce automaticamente in un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ., con conseguente nullità assoluta della relativa pronuncia, occorrendo, a tal fine, la specifica deduzione ed il
positivo riscontro che l’attività stessa abbia comportato, in concreto, l’esercizio da
parte del delegato di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, e quindi riservate dalla legge al collegio (cfr. Cass., Sez. III, 14 giugno 2011, n. 12957; v.
anche, in tema d’impugnazione del lodo arbitrale, Cass., Sez. I, 28 febbraio 2006,
n. 4399; 19 settembre 2003, n. 13894; 7 febbraio 2001, n. 1731). Quando invece
l’attività svolta dal delegato abbia un rilievo meramente ordinatorio, si determina
una deviazione dal modello procedimentale previsto dalla legge, che rende impugnabile la sentenza soltanto se la parte alleghi di aver subìto uno specifico pregiudizio per effetto dell’incidenza di tale alterazione sulla determinazione della competenza, sul contraddittorio o sui diritti della difesa (cfr. in tema di riconoscimento

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gica disposta in primo grado, la Corte ha precisato in particolare che non costitui-

dell’efficacia di sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio,
Cass., Sez. I, 22 luglio 2005, n. 15503).
L’iter argomentativo seguito dalla sentenza impugnata non è in alcun modo

meramente ordinatorio degli adempimenti delegati nella specie al relatore, sottolineando la natura percipiente della c.t.u. espletata in primo grado e facendone discendere la necessità dell’assunzione dinanzi al collegio, senza però riuscire a dimostrare in qual modo l’assunzione del giuramento del consulente e l’assunzione
dei saggi grafici incidano sulla sostanza delle indagini peritali, rispetto alle quali
si pongono come adempimenti preliminari, da compiersi in forme e con contenuti
predeterminati dalla legge in modo tale da escludere qualsiasi discrezionalità dell’organo che vi procede. La ricorrente insiste anche sulla portata valutativa del
provvedimento di rimessione della causa al collegio all’esito dell’assunzione della
c.t.u., evidenziando l’apprezzamento allo stesso sotteso in ordine alla sufficienza
degli elementi acquisiti, senza però considerare che, diversamente da quanto accade nel caso previsto dall’art. 189 cod. proc. civ., in cui il giudice istruttore dichiara chiusa l’istruzione ed invita le parti a precisare le conclusioni in vista della
pronuncia della sentenza, il giudice delegato non è chiamato ad esprimere alcuna
valutazione in ordine alla necessità di ulteriori adempimenti istruttori, dovendo
invece limitarsi a prendere atto dell’avvenuto esaurimento dell’attività a lui delegata.
1.2. — In quanto imperniato sulla necessità che l’attività istruttoria si svolga
integralmente dinanzi al collegio, e sulla conseguente esclusione del vizio nel caso
in cui la delega al relatore riguardi il compimento di aventi un contenuto non decisorio o comunque valutativo, il ragionamento svolto dalla Corte territoriale appare

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scalfito dalle critiche della ricorrente, la quale si limita a ribadire il carattere non

tuttavia riferibile esclusivamente ai giudizi, come quelli in materia di rapporti agrari e quelli di appello in materia di lavoro e previdenza, ai quali si applica l’art.
437 cod. proc. civ., che riserva in via esclusiva al collegio la trattazione e l’istru-

corte d’appello, per i quali l’art. 350 cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla legge
26 novembre 1990, n. 353, prevede parimenti la collegialità della trattazione.
Nella specie, invece, come le parti concordemente riferiscono, il giudizio, avente ad oggetto uno dei rapporti indicati dall’art. 1, comma primo, lett. d), dell’abrogato d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, si è svolto con il c.d. rito societario, disciplinato dal predetto decreto, il quale, pur disponendo che nelle controversie indicate
dall’art. 1, comma primo, eccettuate quelle di cui alla lettera e) , il tribunale giudica
in composizione collegiale, e riservando al giudice relatore esclusivamente le attività preparatorie e la fissazione dell’udienza di discussione, all’art. 16, comma
quarto, consente espressamente al collegio di delegare al relatore l’assunzione dei
mezzi di prova e l’espletamento della c.t.u. La specifica previsione di tale facoltà,
non contemplata dagli artt. 350 e 437 cod. proc. civ., esclude la possibilità di ritenere invalidi gli atti istruttori compiuti dal relatore per delega del collegio, a meno
che il contenuto della delega non ecceda i limiti previsti dall’art. 16 cit., consentendo il compimento di attività valutative non strumentali all’assunzione della
prova, ovvero che il relatore non abbia esorbitato dai limiti dei poteri conferitigli,
procedendo ad attività istruttorie diverse o ulteriori rispetto a quelle delegate o invadendo l’ambito dei poteri decisori riservati al collegio.
Tali eventualità nella specie non sono state neppure prospettate, avendo anzi
la ricorrente insistito per la natura istruttoria delle attività connesse all’assunzione
del giuramento del consulente ed all’acquisizione delle scritture di comparazione,

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zione della causa, nonché a quelli che si svolgono con rito ordinario dinanzi alla

contestandone non già l’inclusione nella delega conferita al relatore, ma la stessa
delegabilità, espressamente contemplata, invece, dal citato art. 16, comma quarto,
del d.lgs. n. 5 del 2003.

gnata, il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, che si liquidano come dal
dispositivo.

P .Q.M .
I,a Corte rigetta il ricorso, e condanna la Banca Sella Nord Est – Bovio Calderari
S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro
2.700,00, ivi compresi Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi,
oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2013, nella camera di consiglio della Prima
Sezione Civile

2. — Corretta pertanto nei sensi indicati la motivazione della sentenza impu-

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