Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21330 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 14/10/2011), n.21330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12421-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente di

Consiglio di amministrazione e legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato FJORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3884/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/05/08, depositata il 11/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CURZIO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata l’11 maggio 2009, che, ha rigettato il ricorso contro la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di V.G. e dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti a decorrere dalla prima assunzione, avvenuta il 19.11.1997, con condanna al ripristino del rapporto dalla messa a disposizione delle energie lavorative, nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate.

Poste italiane spa propone un ricorso articolato in due motivi, tutti concernenti la legittimità della apposizione del termine in base a quanto previsto dalla contrattazione collettiva.

Non vengono formulate censure in ordine alla materia del risarcimento del danno.

Il lavoratore si è difeso con controricorso e memoria.

Il ricorso è parzialmente fondato.

La giurisprudenza formatasi sulla materia ha fissato i seguenti principi.

Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni ricordano che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente ricognitiva dei cd. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui … per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Alla luce di questi principi, il ricorso deve essere accolto parzialmente.

Infatti, tra le parti sono stati stipulati tre contratti a termine:

dal 19.11.1997 al 31.12.1997, dal 1.6.1998 al 30.9.1998 e dal 1.6.1999 al 30.9.1999. Il primo ed il terzo per esigenze eccezionali, il secondo per ragioni sostitutive di personale in ferie.

Ora, in base ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte e contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Roma, il primi due contratti, per il loro contenuto (esigenze eccezionali il primo, sostituzione di personale in ferie il secondo) e la loro collocazione temporale (antecedente al 30 aprile 1998), sono contratti in cui legittimamente è stato posto un termine. Al contrario, l’apposizione del termine al terzo contratto, stipulato per esigenze eccezionali in data 1.6.1999, è illegittima per le ragioni esplicitate nelle decisioni su richiamate.

Il ricorso, pertanto, deve essere parzialmente accolto. La sentenza deve essere cassata nei limiti dell’accoglimento del ricorso e la causa può essere in questa sede decisa nel merito, senza rinvio, in quanto non sono necessari accertamenti ulteriori per dichiarare l’illegittimità della apposizione del termine al terzo contratto e dichiarare che il rapporto è, coneguentemente a tempo indeterminato dal 1.6.1999.

Non è stato impugnato il capo della domanda concernente il risarcimento del danno (condanna al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora avvenuta in data 16.7.2003), che pertanto è passato in giudicato.

Le spese dell’intero giudizio, stante questo esito finale che modifica in parte gli equilibri della decisione, attenuando la soccombenza della società, devono essere poste a carico della società per due terzi e compensate per il terzo residuo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa nei limiti dell’accoglimento e, decidendo nel merito, dichiara che si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le parti dal 1,6.1999. Compensa per un terzo le spese dei tre gradi e condanna Poste al pagamento dei residui due terzi che liquida per intero: per il primo grado in Euro 1.070,00 (di cui 240,00 per diritti e 800,00 per onorari); per il secondo grado in Euro 1.270,00 (di cui 240,00 per diritti e 1.000,00 per onorari); per il giudizio di cassazione in 1.230,00 Euro, di cui 1.200,00 per onorari, oltre accessori per ciascuno dei tre gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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