Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21330 del 14/09/2017
Cassazione civile, sez. lav., 14/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.14/09/2017), n. 21330
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20337-2012 proposto da:
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
T.C.; D.C.P., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI N. 32, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO VITI, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso sentenza n. 3099/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 16/04/2012 R.G.N. 303/2009.
Fatto
RILEVATO
che con sentenza in data 16 aprile 2012 la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia del Demanio avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno da privazione delle mansioni avanzata da D.C.P. e T.C. i quali, a seguito della trasformazione dell’Agenzia in ente pubblico economico, avevano optato per la permanenza nel comparto o per il passaggio ad altre amministrazioni ma erano stati lasciati totalmente inattivi dall’aprile 2004 presso l’ufficio di Viterbo; che avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia del Demanio sulla base di due motivi, ai quali hanno opposto difese D.C.P. e T.C. con tempestivo controricorso;
che sono state depositate memorie da entrambe le parti.
Diritto
CONSIDERATO
1.1 che con la prima censura l’Agenzia del Demanio denuncia “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 74 e D.Lgs. n. 173 del 2003, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″ perchè la Corte territoriale non ha pronunciato sul motivo di appello con il quale era stato rappresentato che il complesso procedimento di riorganizzazione dei servizi e del personale non aveva consentito l’immediata utilizzazione dei lavoratori nelle mansioni proprie dei profili rivestiti, sicchè il preteso inadempimento non poteva essere ritenuto imputabile a colpa dell’amministrazione;
1.2. che il secondo motivo, nel denunciare ” violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c.”, addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto provato il danno da demansionamento in assenza di allegazione e di prova e, quindi, di averlo ritenuto in re ipsa, ponendosi in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 6752 del 2006;
2. che il primo motivo è inammissibile in quanto “nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte della impugnata sentenza,in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purchè nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass. S.U. 24.7.2013 n. 17931);
2.1 che detta ultima ipotesi ricorre nella fattispecie perchè l’Agenzia, oltre a non denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c., ha solo invocato la normativa con la quale era stata consentita ai dipendenti l’opzione ed insistito sulla complessità della riorganizzazione nonchè sulla conseguente non imputabilità dell’inadempimento, senza fare alcun cenno alla nullità della sentenza impugnata;
2.2. che, inoltre, il motivo è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 perchè il ricorso non riporta, neppure per estratto, il contenuto dei precedenti scritti difensivi e della sentenza del Tribunale, necessario per valutare se la questione, implicante anche un accertamento di fatto, era entrata a far parte del thema decidendum del giudizio di primo grado ed era stata riproposta in sede di gravame;
3. che il secondo motivo non coglie la ratio della decisione impugnata in quanto il giudice di appello non ha ritenuto il danno in re ipsa bensì, richiamando giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che, fermo l’onere di allegazione, l’esistenza del danno può essere desunta in via presuntiva da elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e a tutte le circostanze del caso concreto;
3.1. che la sentenza impugnata, sul punto conforme a plurime pronunce di questa Corte (Cass. n. 19778/2014; Cass. n. 4652/2009; Cass. n. 28274/2008), evidenzia anche che sin dal primo atto introduttivo i lavoratori avevano specificamente allegato le conseguenze negative del provvedimento con il quale erano stati rimossi dalle precedenti mansioni, precisando che alla dispersione del bagaglio professionale si erano unite la perdita di chance per il futuro lavorativo e la totale emarginazione dai normali processi di avanzamento professionale, derivate dalla inattività totale;
3.2. che pertanto non si ravvisa il vizio denunciato giacchè da un lato è corretto il ricorso alla prova presuntiva, dall’altro “spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico” (Cass. 28.10.2014 n. 22801);
4. che il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
4.1. che non sussistono ratione temporis le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, norma che, tra l’altro, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778/2016).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017