Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2133 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36351/2018 proposto da:

M.S.I., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Massimo Gilardoni in forza di procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Procura Generale Corte Cassazione;

– intimato –

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato

in Roma, via dei Portoghesi 12, che lo rappresenta e difende ex

lege;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 depositato il 24/4/2018 M.S.I., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato e cresciuto a (OMISSIS), in (OMISSIS), di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS) e di essere di religione (OMISSIS); di aver perso entrambi i genitori e di essere stato allevato da uno zio; di aver lavorato come contadino; di aver lasciato il Paese perchè gli zii paterni volevano ucciderlo perchè aveva rivendicato i terreni di suo padre, con l’appoggio dello zio materno, nel 2015; di aver provato a denunciarli senza successo perchè la polizia non aveva accettato la denuncia e aveva preteso una somma di denaro; che si era rivolto al capovillaggio, che però non lo aveva aiutato, perchè i suoi zii erano potenti; che era stato aggredito da quattro individui, armati di bastoni, ma era riuscito a scappare grazie all’intervento di altre persone; che la notte erano tornati per ucciderlo ma era riuscito a scappare con l’aiuto dello zio.

Con decreto del 15/10/2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto del 15/10/2018, comunicato il 24/10/2018 ha proposto ricorso per cassazione M.S.I., con atto notificato il 6/11/2018, proponendo questione di legittimità costituzionale e svolgendo un motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria del 28/2/2019 al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, dall’art. 6, comma 1, n. 3 septies per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., comma 1, 2 e comma 7. laddove viene stabilito che il procedimento è definito con decreto non reclamabile entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso.

1.1. Secondo il ricorrente, non era legittima la scelta del legislatore di abolire la possibilità di appello nel merito in concomitanza con l’adozione del rito camerale in materia di diritti soggettivi; il ricorrente denuncia la violazione delle regole costituzionali in tema di giusto processo e diritto di difesa scaturenti dall’adozione di un modello processuale che prevede il rito camerale, con udienza meramente eventuale, e l’esclusione dell’appello, con unico grado di giurisdizione di merito.

1.2. Questa Corte, con la pronuncia della Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 – 02, ha ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è parso idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non fosse stata disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità era limitata alle sole ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa apparisse superflua e perchè comunque le parti potevano depositare difese scritte; per altro verso, è stata esclusa la lesione del diritto di difesa per effetto della soppressione del diritto di proporre appello, dal momento che il principio del doppio grado di giudizio di merito non è costituzionalmente tutelato (Sez. 1, n. 16458 del 19/06/2019, Rv. 654637 – 01; Sez. 1, n. 9658 del 5/4/2019).

Al di là dei problemi, certamente più complessi, che implicherebbe un ulteriore approfondimento del tema della legittimità costituzionale della soppressione della possibilità di appello nel merito di una pronuncia in tema di status e diritti fondamentali della persona emessa all’esito di un procedimento camerale e delle connesse valutazioni in tema di “equivalenza” delle tutele anche in ottica Euro-unitaria, il Collegio ritiene che la questione prospettata non sia comunque rilevante per la definizione del presente giudizio Legge Cost. n. 53 del 1987, ex art. 23, comma 2, sull’esito del quale la definizione della questione di costituzionalità non produrrebbe di per sè un concreto effetto.

La rilevanza deve infatti inserirsi nel giudizio a quo, di modo che un’eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di spiegare un’influenza concreta sul processo principale; sono pertanto irrilevanti, tra l’altro, questioni le quali non sortirebbero alcun effetto in detto giudizio (Corte Cost. n. 113/1980; n. 301/1974) o non risponderebbero in nessun modo alla domanda di tutela rivolta al rimettente (Corte Cost. n. 202/1991; n. 211/1984; n. 15/2014; n. 337/2011; n. 71/2009). Sussiste dunque la rilevanza di una questione il cui eventuale accoglimento produrrebbe un concreto effetto nel giudizio a quo, satisfattivo della pretesa dedotta dalle parti private (Corte Cost. n. 151/2009), ovvero dispiegherebbe effetti concreti sul processo principale (Corte Cost. n. 337/2008; n. 303/2007; n. 50/2007).

Nel caso in esame, i dubbi di costituzionalità sollevati non hanno in effetti nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, che non ha trovato fondamento nella disciplina processuale introdotta nel 2017 (D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”).

Pertanto, da un lato, questa Corte non potrebbe comunque applicare la disciplina scaturente dalla verifica di costituzionalità; dall’altro, anche ragionando in chiave non rigorosa e formale, il ricorrente ha dedotto l’esistenza nel provvedimento impugnato di vizi (violazione di legge) astrattamente suscettibili di controllo impugnatorio anche in questa sede di legittimità, con la conseguente carenza di un pregiudizio concreto ed effettivo scaturente dalla mancata previsione del gravame di merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, con particolare riferimento al diniego della autonoma rilevanza giuridica ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari alla condizione di povertà estrema dello straniero nel paese di origine perchè tale condizione compromette il raggiungimento degli standards minimi per una esistenza dignitosa.

2.1. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto Decreto Legge.

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

2.2. Il ricorrente non fornisce elementi capaci di inficiare la valutazione negativa del Tribunale circa il grado di inserimento socio lavorativo in Italia del ricorrente e tenta di far leva esclusivamente sulla condizione di povertà patita in patria, per conseguire tutela del proprio diritto a una esistenza libera e dignitosa, che peraltro, in linea con la giurisprudenza sopra ricordata, secondo il Tribunale, egli non ha conseguito neppure in Italia.

Anche a prescindere dalla insussistenza dell’altro piatto della bilancia della valutazione comparativa, ossia l’inserimento sociale in Italia, la condizione di povertà è peraltro dedotta in modo del tutto generico, neppur corredata dei riferimenti alle dichiarazioni che le conferirebbero concreta dimensione e semplicemente desunta dalle condizioni generali economiche del Paese di provenienza, senza un concreto e specifico collegamento alla situazione personalizzata del richiedente asilo.

La violazione di legge denunciata non sussiste.

3. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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