Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21329 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.14/09/2017),  n. 21329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15011-2012 proposto da:

ROMA CAPITALE, già Comune di Roma, C.F. (OMISSIS), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato CARLO SPORTELLI,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI LOMBARDI

4, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PASCAZI, che la rappresenta

e difende unicamente all’avvocato ANGELO CASILE giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7011/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2012 R.G.N. 6561/2005.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza parziale in data 15 aprile 2010 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha accolto parzialmente la domanda proposta da G.A. nei confronti del Comune di Roma e, previa dichiarazione del diritto della ricorrente a svolgere le mansioni di Direttore Educativo, ha condannato l’ente municipale ad adibire la stessa a dette mansioni ed al risarcimento del danno conseguente alla illegittima dequalificazione verificatasi nei periodi di assegnazione all’9^ Dipartimento ed al 1 Municipio, liquidato in misura pari al 40% della retribuzione percepita, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del danno biologico lamentato;

che con la sentenza definitiva del 23 gennaio 2012 la Corte territoriale, richiamate le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio che aveva quantificato la lesione permanente dell’integrità psicofisica nella misura del 12%, ha condannato il Comune di Roma a corrispondere alla G. l’ulteriore somma di Euro 35.055,00, liquidata sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano e comprensiva del danno morale;

che avverso tali sentenze Roma Capitale ha proposto ricorso affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese G.A. con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso Roma Capitale denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio” perchè la Corte territoriale, dopo avere affermato apoditticamente che la G. non aveva svolto le mansioni proprie del profilo di appartenenza, ha sostenuto che nessuno dei testi escussi era stato in grado di precisare quali fossero i compiti alla stessa assegnati;

1.1. che la ricorrente si duole anche della omessa indicazione da parte del giudice di appello, oltre che delle mansioni ritenute dequalificanti, delle circostanze dalle quali poteva desumersi il danno professionale subito e, quanto al danno biologico, delle ragioni che inducevano a ritenere provato il nesso causale fra il denunciato demansionamento e la sindrome ansioso depressiva di tipo reattivo;

1.2. che il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro ex art. 360 c.p.c., n. 3 ” perchè la Corte territoriale non ha in alcun modo considerato che ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 3, comma 2, del C.C.N.L. 1998/2001, devono ritenersi equivalenti tutte le mansioni riconducibili alla categoria di appartenenza, nella specie la categoria D;

1.3 che il terzo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione di norme di diritto con particolare riferimento del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 248, comma 4” che esclude la maturazione di interessi sui debiti risalenti ad epoca antecedente alla delibera di dissesto, nella specie adottata il 4 luglio 2008;

2. che sono fondati i primi due motivi di ricorso, da trattarsi unitariamente perchè connessi, in quanto la Corte territoriale ha errato nel ritenere applicabile alla fattispecie l’art. 2103 c.c., più volte richiamato nella motivazione della sentenza non definitiva, ed inoltre non ha precisato quali fossero le mansioni affidate alla G. e le ragioni per le quali le stesse non potessero essere ricondotte alla categoria D;

2.1 che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, ha affermato la inapplicabilità al pubblico impiego contrattualizzato dell’art. 2103 c.c. ed ha posto in risalto che la disciplina di settore, dettata dalla norma speciale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel testo antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009,

applicabile alla fattispecie ratione temporis, assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità acquisita e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. sez. un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e Cass. n. 12109 del 2016 nella cui motivazione si è evidenziato che per il Comparto delle Regioni ed Autonomie Locali l’equivalenza in senso formale è ribadita dall’art. 3 del CCNL);

2.2. che “allorchè si tratti di individuare, ai fini dell’accertamento di un eventuale demansionamento, la pertinenza delle mansioni svolte in concreto, rispetto ad una determinata posizione funzionale, il procedimento logico-giuridico non può prescindere da tre fasi successive, costituite dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, nonchè dal raffronto tra il risultato della prima indagine e le previsioni della normativa contrattuale individuati nella seconda” (Cass. 26.3.2014 n. 7123);

2.3. che l’accertamento in concreto delle mansioni svolte costituisce indagine di fatto riservata al giudice del merito mentre l’omessa individuazione delle qualifiche e degli elementi che caratterizzano la professionalità dalle stesse espresse, integra violazione di legge, denunciabile in cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 12.5.2006 n. 11037);

2.4. che la sentenza non definitiva ha totalmente omesso il cosiddetto procedimento trifasico perchè non ha precisato quali fossero le mansioni svolte dalla G. nei diversi uffici ai quali la stessa è stata assegnata nè ha esaminato la declaratoria contrattuale al fine di individuare gli elementi caratterizzanti la professionalità del livello di inquadramento posseduto;

3. che “in tema di prova del danno da dequalificazione professionale ex art. 2729 c.c., non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali (come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altre simili), dovendo il giudice di merito procedere, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza” (Cass. 18.8.2016 n. 17163);

3.1. che nella specie la Corte territoriale ha totalmente omesso detta individuazione, limitandosi ad affermare che la G. aveva “allegato tutte le circostanze idonee a configurare i pregiudizi subiti”;

4. che l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo motivo, con il quale è stata censurata la quantificazione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dovuti sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno;

4. che pertanto le sentenze impugnate devono essere cassate con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra indicati;

5. che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso nei termini di cui motivazione e assorbe il terzo. Cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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