Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21328 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 12/08/2019), n.21328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16432-2014 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

G.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSIO ARIOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1287/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/12/2013 r.g.n. 153/2013.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1287/2013 ha respinto l’appello del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta da G.A., assunta in forza di numerosi contratti a termine consecutivi, con qualifica di insegnante, ed aveva condannato il Ministero a riconoscere alla stessa, ai fini della progressione economica, l’anzianità maturata durante i rapporti a tempo determinato ed a corrispondere le conseguenti differenze retributive maturate;

2. La Corte territoriale ha premesso che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata all’anzianità di servizio e riconosciuta al personale di ruolo, ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata in quanto non conforme al principio di non discriminazione, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6;

3. Il giudice d’appello ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare che l’anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile, ove la diversità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive attinenti alle modalità di espletamento delle mansioni o, eventualmente, al perseguimento di una legittima finalità di politica sociale;

4. Ha rilevato, infine, che la specialità del sistema di reclutamento nel settore scolastico, nel quale occorre garantire la continuità delle attività didattiche, può, eventualmente, giustificare l’utilizzo, anche ampio e prolungato, del lavoro a termine ma non legittima la disparità di trattamento fra categorie di lavoratori che si differenziano solo sulla base della natura del contratto stipulato, in quanto svolgono identiche mansioni e garantiscono l’espletamento del medesimo servizio;

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un unico motivo, articolato in più censure, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso G.A.;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

6. il ricorso denuncia, con l’unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18, come convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 526, della L. n. 312 del 1980, art. 53, delle clausole 4 e 5 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEE stipulato il 18 marzo 1999 e recepito con direttiva 1999/70/CE”;

7. sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare la L. n. 124 del 1999, art. 4. Aggiunge che al fine di verificare se l’attribuzione del trattamento retributivo ai supplenti della scuola sia sorretta da adeguate ragioni oggettive occorre analizzare non solo la clausola 4 dell’Accordo Quadro, ma anche la successiva clausola 5 che, al fine della repressione degli abusi, consente agli Stati membri dell’Unione di tener conto delle esigenze di settori o di categorie specifici di lavoratori. Precisa al riguardo che la ricorrenza di ragioni oggettive, che legittimano nel settore scolastico un diverso regime, è già stata valorizzata dalla giurisprudenza di questa Corte per affermare la legittimità della reiterazione dei contratti a termine e del sistema di reclutamento disciplinato dalla L. n. 124 del 1999. Rileva, inoltre, che gli incarichi di supplenza non si configurano come rapporto di lavoro sostanzialmente unico in quanto le pattuizioni contrattuali, anche se annuali, non si legano tra loro in modo continuativo, e quindi, ogni anno, si instaura un distinto rapporto che non può essere “inanellato” ai precedenti per configurare una vera e propria anzianità di servizio. Infine evidenzia il Ministero che nell’impiego pubblico l’immissione in ruolo presuppone il superamento di procedure concorsuali il che rende non comparabile la posizione del supplente con quella del dipendente a tempo indeterminato che ha superato la selezione pubblica;

8. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poichè l’Avvocatura Generale dello Stato, con memoria non notificata alla controparte, ha dichiarato di volere rinunciare all’impugnazione, in ragione dell’orientamento ormai consolidato di questa Corte contrario alle argomentazioni giuridiche poste a base del ricorso stesso;

9. la rinuncia al ricorso per cassazione è atto unilaterale che non esige, per la sua operatività, l’accettazione della controparte. L’art. 390 c.p.c., peraltro, richiede che l’atto scritto sia notificato alle parti costituite o comunicato ai loro avvocati che vi appongono il visto, sicchè, ove la rinuncia venga effettuata senza il rispetto di tali formalità, non può essere dichiarata l’estinzione del processo ex art. 391 c.p.c.;

10. tuttavia la rinuncia, seppure irrituale, è pur sempre significativa del venir meno dell’interesse RG 29362/2014 al ricorso, del quale determina l’inammissibilità (Cass. 28524/2018; Cass. 27868/2018; Cass.n. 26840/2018; Cass. S.U. n. 3876/2010);

11. le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate, in considerazione del comportamento processuale del Ministero ricorrente nonchè dell’oggettiva incertezza interpretativa, ancora sussistente al momento della notifica del ricorso;

non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017). Si aggiunga che la disposizione non è applicabile “in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, “lato sensu” sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica.” (Cass. n. 23175/2015; Cass. n. 19071/2018).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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