Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21327 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/10/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 05/10/2020), n.21327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12406-2019 R.G. proposto da:

C.C. & C. SAS, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIULIANO PIERPAOLI;

– ricorrente –

contro

LUMINARI & C. SAS DI B.F. F. E F., in

persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CONCA D’ORO 184/190, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARBARA SCHIADA’;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

ANCONA, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

GRAZIOSI CHIARA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SANLORENZO RITA, che chiede

il rigetto del proposto regolamento di competenza.

 

Fatto

LA CORTE OSSERVA QUANTO SEGUE

1. In data 8 settembre 2017 Luminari & C. s.a.s. di B.F., B.F. e B.F. notificava a C.C. & C. s.a.s. decreto ingiuntivo del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Senigallia, emesso il 12 agosto 2017, che ordinava a C.C. & C. s.a.s. di pagare a controparte la somma di Euro 232.196,50, oltre interessi e spese, quale indennità di occupazione per il periodo dal 1 settembre 2015 al 31 luglio 2017 di un’azienda alberghiera. C.C. & C. s.a.s. Si opponeva, eccependo tra l’altro litispendenza e, in subordine, continenza, in riferimento a cause di opposizione ad altro decreto ingiuntivo emesso dallo stesso giudice nel 2012 per il pagamento dell’indennità di occupazione della stessa azienda per la somma di Euro 500.816,63 dal dicembre 2008 “sino al rilascio della struttura alberghiera”. L’opposta si costituiva, insistendo nella sua pretesa.

Con ordinanza del 12 marzo 2019 il Tribunale di Ancona, a scioglimento di riserva assunta all’udienza del 18 gennaio 2019, rigettava “tutte le richieste anche istruttorie” della opponente nonchè l’istanza ex art. 648 c.p.c. della opposta, e fissava una successiva udienza – il 19 luglio 2019 – “per la discussione orale e per la precisione ex art. 429 c.p.c.”

L’incipit della motivazione dell’ordinanza è il seguente: “In via preliminare vanno disattese le eccezioni di litispendenza e/o di continenza sollevate dalla difesa di parte opponente per il dirimente fatto che le cause pendenti in appello (oggetto delle relative istanze ivi compresa quella di sospensione) sono tutte state decise dalla Corte di Appello di Ancona… e non risulta sia pendente ad oggi il ricorso per cassazione”. Seguono la spiegazione della mancata ammissione della prova testimoniale chiesta dalla opponente e la constatazione che l’opposta non aveva chiesto prove costituende, nonchè il rilievo della non accoglibilità dell’istanza di provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. per essere la causa di pronta soluzione.

Avverso tale ordinanza C.C. & C. s.a.s. ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza chiedendo di cassarla e, ritenuta fondata l’eccezione di litispendenza, ordinare la cancellazione della causa dal ruolo e conseguentemente dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo; in subordine, ritenuta fondata l’eccezione di continenza, rimettere la causa al Tribunale “affinchè proceda ex art. 295 c.p.c.”.

Luminari & C. s.a.s. si è difesa con controricorso, chiedendo di dichiarare inammissibile o rigettare l’istanza di regolamento di competenza, con condanna di controparte anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per temerarietà del giudizio.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

2. Va premesso che nella memoria la ricorrente eccepisce difetto di procura speciale di controparte perchè “rilasciata su foglio separato e congiunto al controricorso e non ha in sè alcun elemento attinente al procedimento… facendosi riferimento ad un non precisato giudizio pendente avanti la Corte di Cassazione” per cui non rivestirebbe “il carattere di specificità” necessaria: invoca al riguardo S.U. ord.23535/2019, non massimata.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che è inammissibile il ricorso per cassazione qualora la procura speciale, apposta su un foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la specialità richiesta e dirette piuttosto ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali; in particolare, il vizio eccepito sussiste quando il contenuto della procura è espresso con “un tenore incompatibile con l’esigenza di dimostrare la specialità della procura stessa in relazione al ricorso per cassazione” cui dovrebbe attenere, “facendosi in essa espresso riferimento ad uno specifico ricorso del tutto diverso da quello all’esame è ben individuato senza, peraltro, alcuno specifico richiamo al presente giudizio di cassazione” (così da ultimo S.U., ord. 20 settembre 2019 n. 23535, non massimata, invocata dalla ricorrente; conformi Cass. sez. L, ord. 5 novembre 2018 n. 28146, Cass. sez. 6-3, ord. 24 luglio 2017 n. 18257 e Cass. sez. 1, 21 marzo 2005 n. 6070).

Nel caso in esame, in realtà, il riferimento a tale giurisprudenza non è pertinente, perchè concerne appunto le ipotesi in cui nel testo della procura sussista un riferimento inequivoco ad uno specifico diverso procedimento, riferimento assente nella procura qui in esame, il cui contenuto non genera alcuna incertezza identificativa che lo conduca al denunciato vizio.

3. Il ricorso è inammissibile, in quanto diretto avverso un provvedimento ordinatorio, revocabile in seguito o comunque in sede decisoria ai sensi dell’art. 177 c.p.c., trattandosi di un’ordinanza di scioglimento di riserva e non emergendo che la sua emissione sia conseguita alla precisazione delle conclusioni, al contrario la contestuale valutazione delle istanze istruttorie e di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e, soprattutto, la fissazione conclusiva di un udienza “per la discussione orale e per la decisione ex art. 429 c.p.c.” manifestando in modo inequivoco che il provvedimento non gode di alcuna stabilità decisoria.

Consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che i provvedimenti di natura ordinatoria, in quanto revocabili o comunque inidonei a incidere sulla decisione della controversia, non assumono la sostanza di provvedimenti decisori – formalmente sentenze dapprima, e dopo la riforma della L.69/2009 formalmente ordinanze – in ordine alla competenza.

Per assumere una siffatta sostanza nel rito ordinario occorre, appunto, che le parti – per esercitare pienamente il diritto al contraddittorio – siano invitate dal giudice a precisare le conclusioni, e nel rito del lavoro/locatizio, che il giudice inviti le parti alla discussione – e di tale invito non vi è cenno nel ricorso in esame -. Se ciò non accade, il provvedimento si confina appunto nella natura ordinatoria, e la sua è esclusivamente una funzione di impulso dinamico nella sequenza processuale, nel senso che questa proceda – anche mediante istruttoria, se necessaria – tendenzialmente (ovvero se le parti perseverano nella controversia) fino a un provvedimento decisorio.

Diversamente opinando, ovvero ritenendo ammissibile adire questa Suprema Corte per qualsivoglia provvedimento presente nella sequenza processuale che attenga, talora pure implicitamente, alla competenza, pur non essendo sotto tale profilo stabilizzante in quanto revocabile dallo stesso giudice che lo emette, il regolamento necessario di competenza diverrebbe, attuando un’evidente eterogenesi dei fini, uno strumento, per così dire, d’inciampo della sequenza processuale, perchè, in conflitto evidente con il principio del processo in ragionevole durata, aprirebbe le porte anche a sospensioni defatigatorie – abusando dello strumento soprassessorio di cui all’art. 48 c.p.c. – e comunque prive di giustificazione. La natura decisoria, infatti, non può essere conferita al provvedimento dalla Suprema Corte; e comunque l’ontologica instabilità del provvedimento stesso non consente, anche in riferimento al generale paradigma del presupposto decisorio per il ricorso alla Cassazione come giudice civile di legittimità, di chiedere l’intervento del giudice nomofilattico quando l’applicazione, appunto, della legge non genera effetti che occorre impedire divengano permanenti, onde non sussiste necessità di garantire la valenza della norma, id est non si è configurata alcuna esigenza di nomofilachia.

3. Una qualche incertezza su questi temi, di fonte peraltro precipuamente dottrinaria e comunque correlata a giurisprudenza di merito, si era creata dopo la L. 18 giugno 2009, n. 69 che, come già si rilevava, ha qualificato ordinanza, e non più sentenza, la decisione relativa alle tematiche di competenza. Sono quindi intervenute a dissolverla, confermando quanto sopra esposto ovvero rinsaldando l’orientamento formatosi anteriormente alla novella, le Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 20449 del 29 settembre 2014: intervento nomofilattico al quale si è poi solidamente conformata un’ampia pluralità di pronunce (tra quelle massimate si vedano Cass. sez. 6-2, ord. 23 marzo 2015 n. 5817; Cass. sez. 6-3, ord. 22 ottobre 2015 n. 21561; Cass. sez. 6-2, ord. 12 ottobre 2016 n. 20608; Cass. sez. 6-3, ord. 20 gennaio 2017 n. 1615; Cass. sez. 6-1, ord. 10 febbraio 2017 n. 3665; Cass. sez. 6-3, ord. 7 giugno 2017 n. 14223; Cass. sez. 6-3, ord. 7 marzo 2018 n. 5354).

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, ad ogni effetto di legge. La ricorrente deve essere condannata a rifondere alla controparte le spese processuali del presente giudizio, le quali – non essendo in caso di regolamento di competenza applicabile alcuno dei criteri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5 trattandosi di giudizio che ha rilievo meramente processuale (cfr. Cass. sez. 6-1, ord.4 settembre 2018 n. 21613) – devono rapportarsi al valore indeterminabile della causa (v. Cass. sez. 6-3, ord. 14 gennaio 2020 n. 504) e pertanto liquidate come da dispositivo.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2250, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2020.

Depositato in cancelleria il 5 ottobre 2020

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