Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21325 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/10/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 05/10/2020), n.21325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14509-2019 proposto da:

MARTELLI SALUMI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 15,

presso lo studio dell’avvocato DANIELE VITALE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE ALESSIO;

– ricorrente –

contro

EMMEPIEMME SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NEMORENSE N. 83, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PATERNO DI SESSA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MATTEO MASSIMO D’ARGENTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 752/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

GRAZIOSI CHIARA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2006 Martelli Salumi S.p.A. conveniva davanti al Tribunale di Padova, sezione distaccata di Este, Emmepiemme S.r.l. – d’ora in avanti, MPM – per l’accertamento negativo di un credito di Euro 29.340 che la convenuta pretendeva dall’attrice a saldo della fornitura di un impianto da essa progettato e realizzato in forza di un contratto stipulato 111 dicembre 2003; l’attrice chiedeva pure la riduzione del prezzo e, in subordine, la risoluzione del contratto per vizi o difformità dell’opera. Controparte si costituiva resistendo, e in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attrice a pagarle tale credito.

A seguito di consulenza tecnica d’ufficio e dello svolgimento di prove orali, il Tribunale, con sentenza del 28 maggio 2013, dichiarava legittimo il rifiuto attoreo di pagare la suddetta residua somma, rigettava ogni altra domanda e compensava le spese.

Martelli Salumi proponeva appello per ottenere la dichiarazione della risoluzione del contratto con conseguente condanna alla restituzione di quanto pagato; controparte si costituiva resistendo.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 28 marzo 2018, rigettava il gravame, condannando l’appellante a rifondere a controparte le spese del grado.

Martelli Salumi ha proposto ricorso, da cui si è difesa con controricorso MPM. Martelli Salumi ha depositato anche memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Va anzitutto rilevato che nella memoria la ricorrente, oltre a illustrare le sue censure già addotte nell’atto di impugnazione, lamenta l’assenza di motivazione nella proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., sostenendo che una proposta la quale appunto “si limiti ad indicare il possibile esito del giudizio senza spiegarne in alcun modo le ragioni, così da divenire, in concreto, una proposta di dispositivo” non tutelerebbe in effetti il diritto di difesa delle parti. Ammette la ricorrente stessa che il raffronto tra l’attuale testo dell’art. 380 bis e quello previgente alla novellazione del 2016 (1.197/2016) conduce a ritenere che il legislatore abbia proprio voluto “escludere l’esposizione delle ragioni della proposta limitando l’atto alla mera enunciazione del tipo di decisione che si propone di adottare”. In tal modo, peraltro, non si configurerebbe un ragionevole bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, altrettanto costituzionalmente rilevanti, di tutela della ragionevole durata del processo, con le sue ripercussioni sostanziali. La parte, infatti, non sarebbe “posta nella condizione di poter esercitare effettivamente le proprie difese” qualora venga in particolare – proposta l’inammissibilità del ricorso, in quanto “le potenziali cause di tale declaratoria di rito sono non solo molteplici, sebbene tipiche, ma anche eterogenee”, onde la parte si troverebbe costretta a redigere “una memoria “al buio”, con conseguente concreta limitazione del diritto di difesa” per la “difficoltà tecnica” che graverebbe la formulazione di una replica alla “proposta del relatore”. D’altronde – rammemora la ricorrente – nel Protocollo di intesa del 16 dicembre 2016 stilato tra questa Suprema Corte, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura Generale dello Stato si prevede una qualche misura di motivazione nella proposta; e se è vero che ciò non equivale ad una motivazione dovuta per obbligo di legge – come da ultimo, tra gli arresti massimati, rimarca infatti Cass. sez. 6-2, ord. 5 febbraio 2020 n. 2720 -, sarebbe altrettanto vero che solo una siffatta motivazione tutelerebbe la garanzia del contraddittorio anche in rapporto alla proposta del relatore circa la sussistenza di ipotesi di trattazione camerale ex art. 375 c.p.c. – come invece non ha reputato Cass. sez.6-5, ord. 2 marzo 2017 n. 5371 (la quale, invero, si pone in sostanza sulla scia di Cass. sez.6-3, ord. 10 gennaio 2017 n. 395, che ha disatteso la prospettabilità di una illegittimità costituzionale dell’art. 380 bis c.p.c. nel testo ora vigente) -.

2. Le stesse ragioni addotte dalla ricorrente, e appena riassunte, dimostrano l’infondatezza della sua prospettazione di lesione del diritto di difesa.

Anche a prescindere che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, come emerge dalle stesse argomentazioni della ricorrente, più volte si è pronunciata proprio nel senso che la proposta ex art. 380 bis c.p.c. non occorre sia sorretta da motivazione (tra gli arresti massimati, si rinviene la recente – e citata pure dalla ricorrente – Cass. sez. 6-2, ord. 5 febbraio 2020 n. 2720: “Nel giudizio di cassazione la proposta di trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. non riveste carattere decisorio e non deve essere motivata, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per quest’ultimo, all’esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o di non condividerla, con conseguente rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all’art. 391 bis c.p.c., comma 4; nè il contenuto e la funzione di tale disposizione sono mutati all’esito del Protocollo di intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura generale dello Stato sull’applicazione del “nuovo rito” ai giudizi civili di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016, che ha previsto l’informazione circa le ragioni dell’avvio del ricorso alla trattazione in adunanza camerale”. Ne consegue che in un giudizio di revocazione la suddetta proposta non può valere come indebita anticipazione del giudizio ad opera del consigliere relatore, nè tantomeno comportare un obbligo di astensione di cui all’art. 51 c.p.c., n. 4″; e cfr., sempre tra le più recenti pronunce massimate, anche Cass. sez. 6-2, ord. 22 febbraio 2017 n. 4541), e a prescindere altresì dall’ulteriore fatto che del tutto differente ictu oculi è la portata di un Protocollo d’intesa rispetto a quella di un testo normativo – e nel caso in esame, come riconosce la stessa ricorrente, dal raffronto con quello anteriore emerge che la lettera del testo normativo vigente manifesta in modo in equivoco la volontà di soppressione dell’obbligo motivazionale in precedenza normativamente imposto -, è alla fin fine dirimente considerare gli effetti della proposta ex art. 380 bis c.p.c. in riferimento al diritto di difesa, di cui appunto la ricorrente prospetta una lesione.

La proposta, nel testo appunto vigente dell’art. 380 bis c.p.c. (il cui testo anteriore alla novella del 2016 non prevedeva, si rammenta, alcuna “proposta”, bensì “una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia”), ha un effetto meramente meccanico-impulsivo sulla sequenza processuale, e ciò tanto in riferimento al ruolo del giudicante quanto in riferimento al ruolo della parte ricorrente.

3. Sotto il primo profilo, il collegio giudicante non è affatto condizionato da quanto viene indicato nella proposta come contenuto del dispositivo, non occorrendo, nel caso in cui vi si discosti, neppure la necessità di una specifica motivazione al riguardo; inoltre, come si è appena visto essere stato evidenziato da questa Suprema Corte, lo stesso “relatore” – espressione ora impropria, che residua dal testo previgente – non è tenuto ad astenersi dalla decisione, qualunque essa sia (Cass. sez. 6-2, ord. 5 febbraio 2020 n. 2720, cit.). Nessun vincolo contenutistico, pertanto, impregna la proposta.

E già questa assenza di vincolo – passando al profilo dell’effetto sul ruolo della parte ricorrente – dimostra la carenza di un effetto ulteriore da quello del mero avvio del procedimento giurisdizionale nei termini del rito camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.. Ma ancor più rileva che, proprio perchè non motivata, la proposta nulla aggiunge, sul piano contenutistico, al compendio degli atti processuali fino ad allora formatisi. Invero, la possibilità di una decisione seguendo il dispositivo indicato nella proposta

già a quest’ultima preesisteva, come prevista ex lege, per cui preesisteva pure la corrispondente possibilità di tutela al riguardo della parte ricorrente, già messa in condizione di argomentare nel proprio atto impugnativo in ordine tanto alla sua ammissibilità sotto i vari profili di legge quanto alla sua fondatezza. Introdotta nel procedimento senza la motivazione, nulla ha aggiunto pertanto la proposta: ergo, il diritto di difesa non fronteggia alcun novum rispetto alla situazione giuridica contenutistica in precedenza conformata, vale a dire al thema decidendum.

Non si è, dunque – e questa è la doglianza implicitamente sottesa nelle prospettazioni che la ricorrente ha addotto in tema nella sua memoria -, dinanzi ad una fattispecie riconducibile, almeno lato sensu, a quella dell’art. 101 c.p.c., comma 2 (la ormai ben nota normativizzazione dell’istituto giurisprudenziale della c.d. terza via), ovvero all’assunzione da parte del giudicante di un, per quanto peculiare, ruolo di compartecipe al contraddittorio. La proposta, invece, non può non ripetersi che “non entra” realmente nella regiudicanda, bensì si limita, ai fini dell’impulso procedurale, a indicare una soluzione tra quelle previste quali forme conclusive del processo – ovvero le categorie contenutistiche del dispositivo -, senza aggiungere alcunchè che possa sostenerla.

4. Il diritto di difesa, in ultima analisi, necessiterebbe essere dispiegato proprio nell’ipotesi auspicata dalla ricorrente, ovvero nel caso di proposta motivata – id est, “recupero” del dettato previgente dell’art. 380 bis -, che comporterebbe realmente, in certa misura, l’introduzione di un novum ai fini dell’opportunità di difendersi; e, ad abundantiam, potrebbe altresì giustificare – questione che qui ovviamente non si può approfondire – l’eventuale incidenza sulla conformazione del collegio includente un vero e proprio relatore, essendo questi, almeno in parte, “sceso in campo” nel contraddittorio.

In conclusione, la censura mossa nella memoria dalla ricorrente si trova priva di alcun reale sostegno, e deve dunque qualificarsi del tutto infondata.

5. Infondata è pure l’eccezione ulteriore proposta in memoria relativa alla procura della parte controricorrente – nullità per difetto di specialità -, in quanto emerge chiaramente che questa è stata rilasciata proprio in relazione al giudizio di legittimità, dovendosi intendere, secondo buona fede e logica, in tal senso l’espressione “presente giudizio innanzi alla Corte di Cassazione”, ben potendo d’altronde, ai sensi del vigente dettato di cui all’art. 83 c.p.c., comma 3, la procura essere apposta in un foglio separato materialmente congiunto all’atto, il che equivale al rilascio in calce.

6. Passando allora al merito, deve darsi atto che il ricorso si articola in cinque motivi.

Il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 134 e 112 c.p.c. per omessa pronuncia sui motivi d’appello.

Il secondo motivo denuncia,in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. per la sussistenza di motivazione apparente sulle valutazioni delle censure e dei motivi d’appello.

Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione delle stesse norme rubricate nel precedente motivo per la sussistenza di motivazione apparente, derivante dall’aver motivato per relationem rispetto alla sentenza di primo grado, senza peraltro spiegare le ragioni della sua conferma quanto ai motivi d’appello.

Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi riguardanti la consegna da parte dell’attuale ricorrente a MPM di un manoscritto redatto il 9 marzo 2004 dal legale rappresentante di Martelli Salumi e concernente l’avvenuto adeguamento da parte di MPM dell’impianto alle “specifiche contenute” in tale documento, come avrebbe ammesso M.F., legale rappresentante di MPM, nell’interrogatorio formale reso in primo grado.

Il quinto motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,2730,2733 e 2734 c.c.; denuncia altresì, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116,228,230 c.p.c. riguardo all’interrogatorio formale del legale rappresentante di MPM in ordine all’avvenuto adeguamento, da parte di MPM, dell’impianto alle “specifiche contenute” nel documento del 9 marzo 2004 cui si riferisce il motivo precedente.

Il primo motivo, alla luce di quanto appena riassunto, costituisce ictu oculi una critica direttamente fattuale sulla valutazione del compendio probatorio; d’altronde sussiste una motivazione, pur concisa, rinvenibile nelle pagine 8-10 della sentenza impugnata.

La stessa natura condividono il secondo e il terzo motivo, con pari evidenza. Direttamente fattuali sono inequivocamente anche le censure del quarto e del quinto, che pure tentano di spostare il piano cognitivo in un terzo grado di merito. Tutto sfocia, a ben guardare, al perseguimento di quest’ultimo da parte del giudice di legittimità, conformando quindi una tipica inammissibilità.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 7500, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

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