Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21323 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 14/10/2011), n.21323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

EUROTABAC s.r.l., con domicilio eletto in Roma, Via dei Gracchi n.

39, presso lo Studio Legale Perifano – Di Giacomo &

Partners,

rappresentata e difesa dall’avv. PERIFANO Ester, come da procura in

calce al ricorso;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 14 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

giorno 30 settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per

l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Amministrazione ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che ha accolto il ricorso di con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura esecutiva iniziata in data 28 giugno 1989 avanti al Tribunale di Benevento e ancora in corso alla data di presentazione della domanda (5.2.2009).

Resiste l’intimata con controricorso.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere la Corte d’appello individuato in soli anni cinque il termine di ragionevole durata della procedura espropriativa presupposta.

Il motivo è infondato in quanto è bensì vero che il procedimento di espropriazione non può essere parificato sic et simpliciter ad un ordinario giudizio di cognizione in quanto può essere a sua volta, così come il procedimento fallimentare (procedura esecutiva universale), un contenitore di processi di durata, quindi, inevitabilmente superiore a questi. Tuttavia, poichè per la stessa procedura fallimentare è stata individuata come durata accettabile, in presenza di una apprezzabile complessità, quella di anni cinque (Sez. 1^, sentenza 7 luglio 2009 n. 15953) il decreto impugnato non è censurabile sotto il profilo della violazione dei parametri individuati dalla giurisprudenza anche europea, posto che non sono stati evidenziati elementi indicativi di una rilevante complessità della fattispecie.

Il secondo motivo con il quale si deduce difetto di motivazione in ordine all’individuazione del periodo rilevante ai fini della determinazione dell’indennizzo è inammissibile in quanto basato su presupposti erronei (la Corte ha individuato la durata ragionevole in anni cinque e non in anni tre come calcolato nel motivo) e su affermazioni contraddittorie (l’intervento della ricorrente è situato ora nel 1991, ora nel 2001).

Il terzo motivo con cui si deduce violazione di legge per avere la Corte d’appello omesso di considerare che nessun nocumento aveva avuto la ricorrente dalla durata del procedimento, posto che il suo credito era stato dichiarato incapiente è infondato in quanto ciò che rileva è il patema d’animo collegato alla durata del giudizio e nessuna prova viene fornita in ordine alla dedotta iniziale certezza dell’insussistenza di possibilità di soddisfacimento, così come non viene indicato se il momento in cui di tale incapienza vi è stata certezza formale sia anteriore al dies ad quem considerato dal giudice del merito.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 1.000,00 di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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