Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21323 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 12/08/2019), n.21323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6853-2015 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso

lo studio dell’avvocato CARLO FERZI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CESARE POZZOLI, ANGELO GIUSEPPE CHIELLO;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 20,

presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ALESSANDRO FERRETTI, FABRIZIO

DOMENICO MASTRANGELI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 31/12/2014 R.G.N. 297/2012.

Fatto

RILEVATO CHE:

1. il Tribunale di Perugia accoglieva la domanda di F.A. di superiore inquadramento come Quadro direttivo- 1 livello retributivo e di condanna della società Intesa San Paolo S.p.A. al pagamento delle differenze di retribuzione; rigettava, invece, la domanda di accertamento e di condanna al pagamento dell’indennità di trasferimento;

2. la Corte di appello di Perugia, con la sentenza qui impugnata (n. 206 del 2014), rigettava sia l’appello principale di Intesa San Paolo S.p.A. che quello incidentale del lavoratore;

2.1. per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale ha osservato come il lavoratore non avesse formulato una domanda diretta al riconoscimento di un superiore inquadramento in virtù dell’esercizio continuativo di mansioni diverse ma avesse rivendicato il diritto ad un inquadramento superiore per effetto della previsione dell'”accordo sugli inquadramenti del personale di Banca Intesa” (lett.G dell’art. 2 dell’accordo 31.10.2003), in virtù del quale “(al) lavoratore assegnato al ruolo di Gestore Affari, già inquadrato nella 3 area professionale 4 livello retributivo, (…) dopo trenta mesi di adibizione nelle funzioni di Gestore Affari, spetta l’inquadramento nella categoria dei quadri direttivi 1 livello retributivo” e della norma transitoria (art. 7) che consentiva, a detti fini, di considerare “fino al limite di 24 mesi” in via eccezionale, l’eventuale svolgimento, già verificatosi, senza soluzione di continuità, degli stessi compiti e delle stesse attività al momento dell’entrata in vigore del contratto collettivo; ha, quindi, accertato, in relazione al F., la sussistenza delle condizioni per riconoscere, in base alle predette disposizioni, l’avanzamento automatico.

3. ha proposto ricorso in cassazione, Intesa San Paolo, Spa affidato ad un unico ed articolato motivo;

4. ha resistito, con controricorso, il lavoratore;

5. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO CHE:

1. con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,2103 e 2697 c.c.; secondo la parte ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini del riconoscimento del superiore inquadramento rivendicato dal lavoratore, “l’adibizione iniziale” di quest’ultimo alle mansioni di Gestore Affari, senza considerare la effettiva corrispondenza delle mansioni svolte a quelle proprie della qualifica di Gestore Affari e (senza considerare) che, ai sensi dell’accordo sindacale aziendale sugli inquadramenti del 31.10.2003, i compiti e le attività di Gestore Affari dovessero essere svolte in via continuativa e prevalente per tutto il tempo stabilito dall’accordo; requisiti, la cui prova gravava sul lavoratore;

1.1. il motivo è, nel complesso, da respingere;

1.2. la critica non si confronta con il decisum; diversamente da quanto dedotto, la Corte di Appello non ha affatto considerato “l’iniziale adibizione” alle mansioni di Gestore Affari da parte del dipendente quanto piuttosto l’assegnazione del lavoratore alle stesse (id est: mansioni di Gestore Affari) “per un tempo ritenuto sufficiente dal contratto collettivo” (cfr. ultimo cpv., pag. 6 della sentenza impugnata); la Corte di Appello si è premurata di accertare l’effettivo svolgimento, per il periodo stabilito dal contratto collettivo, da parte del F., delle mansioni di Gestore Affari, laddove ha considerato che “il punto controverso (…) riguarda(sse) il computo del periodo di adibizione del F. alle mansioni di Gestore Affari” (cfr. ultimo cpv., pag. 7 sentenza impugnata); ha, quindi, proceduto alla relativa verifica e, sulla base degli elementi di giudizio, ha espresso un giudizio in senso favorevole alla tesi del lavoratore (cfr. pag. 9 sentenza Corte di appello, ove si legge: “stando così le cose, (ha) il F. fornito la prova dei fatti posti a fondamento della pretesa, ossia lo svolgimento continuativo delle mansioni di gestore affari per il tempo occorrente alla qualifica rivendicata (…)”);

1.3. l’accertamento di fatto, in tal senso reso, non è stato validamente censurato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile; il motivo non illustra, invero, il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 2014, n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015);

2. la sentenza è dunque immune dalle censure mosse, non sussistendo la violazione delle norme di diritto enunciate in rubrica;

3. le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

4. occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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