Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21320 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 12/08/2019), n.21320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27170/2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CONSOLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3848/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/06/2015 R.G.N. 6139/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Con sentenza depositata l’11.6.15, la Corte d’appello di Roma escludeva la decadenza dall’impugnativa prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, in ordine ai vari contratti a termine stipulati tra Poste Italiane s.p.a. e la C. tra il 1.2.07 ed il 31.1.09; escludeva essersi verificata la risoluzione del rapporto per mutuo consenso; dichiarava legittimi i contratti stipulati D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma 1 bis, ed invece illegittimo il contratto a termine stipulato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, per “picchi di più intensa attività” pel periodo 3.12.07-31.1.08, per difetto di prova della circostanza e del nesso causale che avrebbe legato la prima all’assunzione della C..

Dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 3.12.07, condannando Poste Italiane al pagamento di una indennità pari a 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla sentenza, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Poste, affidato a tre motivi, mentre la C. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32,commi 1, 3 e 4, in relazione alla L. n. 10 del 2011, art. 2, comma 54, lamentando che l’impugnazione stragiudiziale dei contratti a termine, già cessati alla data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, (24.11.10) decorreva da tale ultima data, spirando il 23.1.2011, mentre l’impugnazione della C. avvenne solo in data 8.2.2012, laddove la Corte di merito ritenne che la citata norma della L. n. 10 del 2011, avrebbe differito al 31.12.2011 la decorrenza per l’impugnazione di tutti i contratti a termine precedenti.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui alla L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”, poichè prima tale decadenza non sussisteva) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento (al 31.12.11) della decadenza mediante una sostanziale rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. sez. un. 4913 del 14/03/2016; Cass. n. 7788 del 27/03/2017; Cass. n. 23619 del 28/09/2018, etc.).

Ne consegue che l’impugnazione stragiudiziale de qua, intervenuta l’8.2.12 è tempestiva.

2.- Con secondo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 1372 c.c., dolendosi che la Corte di merito non accolse erroneamente l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, valutata tra l’altro la significativa inerzia della lavoratrice (circa tre anni) dopo la cessazione del rapporto.

Il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata esattamente considerato insufficiente allo scopo il solo decorso del tempo e non avendo rinvenuto nel comportamento della lavoratrice alcun significativo elemento indicativo di una volontà risolutiva del rapporto. Trattasi di motivazione assolutamente conforme al pacifico orientamento di questa Corte, che da ultimo ha correttamente evidenziato l’incensurabilità della motivazione della sentenza impugnata in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 (Cass. n. 29781 del 12/12/2017).

3.- Con terzo motivo la società denuncia la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo il contratto a termine 3.12.07 stipulato ai sensi della norma ora citata per “picchi di più intensa attività”, dolendosi dell’erronea valutazione della ridetta norma e per aver posto a carico di Poste l’onere di provare la sussistenza della causale ed il nesso tra questa e l’assunzione della lavoratrice.

Il motivo è infondato.

Questa Corte di legittimità (cfr., e plurimis, Cass. 7 settembre 2012 n. 15002; Cass. 27 aprile 2010 n. 10033) ha affermato il seguente principio di diritto che in questa sede deve essere pienamente ribadito: l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (cfr. da ultimo Cass. n. 9627/16). In sostanza, sulla base di tale principio, la temporaneità va riferita alla necessità che dalla clausola giustificatrice dell’apposizione del termine risulti la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare.

Quanto all’onere della prova, parimenti la giurisprudenza di legittimità è concorde che essa gravi sull’azienda (per tutte, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033, Cass. n. 17751/11).

4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Nulla per le spese non avendo la C. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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