Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21319 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 12/08/2019), n.21319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10517-2017 proposto da:

O.S., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIACOMO

GIOVANNINI;

– ricorrente –

contro

DIMAR S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL POZZETTO 122, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO CARBONE, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ROBERTO ALBERTO, CRISTINA CAVALIERE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/02/2017 R.G.N. 1010/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità e in

subordine rigetto del ricorso; udito l’avvocato GIACOMO GIOVANNINI;

udito l’avvocato ROBERTO ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 117/2017 la Corte di appello di Torino, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la legittimità del recesso per motivi disciplinari intimato in data 15.12.2014 a O.S. da DIMAR s.p.a..

1.1. Il giudice di appello, esclusa l’incapacità a testimoniare ex art. 346 c.p.c., delle cassiere, colleghe di lavoro dell’ O., reputate attendibili le relative deposizioni, ha dichiarato di condividere la valutazione di prime cure in merito alla concludenza del quadro probatorio in ordine alla responsabilità dell’ O. per una parte delle condotte ascritte, costituita dall’avere, quale responsabile della gestione organizzativa all’interno del punto vendita della società, autorizzato le cassiere, in violazione di disposizioni aziendali, a ricevere dalla propria moglie, quale mezzo di pagamento, buoni sconto riferiti a prodotti diversi da quelli acquistati. Ha ritenuto tale condotta, reiterata in più occasioni, configurare grave violazione dei doveri di diligente espletamento delle mansioni di responsabilità affidate al dipendente e giustificare, sotto il profilo della proporzionalità, la sanzione espulsiva in conformità della previsione di cui all’art. 225 c.c.n.l.. Ha, quindi, respinto le doglianze relative al carattere discriminatorio o ritorsivo del recesso datoriale fondato dall’ O. sul differenziato trattamento riservato dalla società alle cassiere la cui posizione ha ritenuto non assimilabile, sotto il profilo materiale e sotto il profilo dell’elemento soggettivo, a quella del lavoratore licenziato.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O.S. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. I motivi, che denunziano violazione di norme di diritto e vizio motivazionale, sono illustrati congiuntamente. Con essi parte ricorrente, premesso che, come dato atto dal giudice del reclamo, non aveva trovato riscontro la contestazione che addebitava all’ O. di avere personalmente presentato in sede di pagamento i buoni sconto in oggetto, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto raggiunta la prova della conoscenza da parte dell’ O. dell’utilizzo irregolare dei buoni sconto da parte della moglie e per avere ritenuto che il detto lavoratore rivestisse una posizione apicale nell’ambito del punto vendita laddove, secondo quanto ammesso dalla società datrice nelle difese spiegate in altro giudizio avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive, l’ O. non aveva mai avuto alcuna responsabilità di direzione esecutiva e, quindi, una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto alle commesse; la sentenza impugnata era, inoltre, errata laddove aveva omesso di considerare il particolare clima di complicità che si era creato tra le commesse e la moglie del dipendente ed il fatto che quest’ultima aveva confermato in sede testimoniale che l’improprio utilizzo dei buoni spesa era avvenuto a totale insaputa del coniuge. Sotto altro profilo parte ricorrente evidenzia il contrasto tra le dichiarazioni accusatorie rese nell’immediatezza dei fatti dalle commesse e le relative deposizioni testimoniali, insistendo sulla necessità, in presenza di chiamata in correità, che le deposizioni delle commesse risultassero suffragate da elementi estrinseci. Il fatto del quale, sotto il profilo del vizio motivazionale, si denunzia omesso esame viene individuato nella carenza di prova della conoscenza da parte dell’ O. del comportamento della moglie e dalla carenza di prova in merito all’autorizzazione alle commesse ad accettare i buoni sconto in oggetto.

2. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuta proporzionata al fatto accertato la sanzione espulsiva; ciò anche in considerazione delle deposizioni testimoniali, parzialmente difformi nel contenuto alle originarie dichiarazioni sottoscritte dalle colleghe di lavoro, con le quali le stesse avevano affermato che vi era stata l’autorizzazione dell’ O. solo in relazione al primo episodio e che per quelli successivi tale autorizzazione era stata data per scontata.

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del L. n. 300 del 1970, artt. 15 e 18, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto infondate le doglianze circa il carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento, che prospetta sostanzialmente in relazione alla mancata sottoposizione a procedimento disciplinare delle cassiere che avevano consentito la impropria utilizzazione dei buoni spesa e la cui posizione era assimilabile a quella di esso O. il quale non rivestiva, nell’ambito del punto vendita, alcun ruolo apicale, ma era sostanzialmente un magazziniere factotum del negozio con limitati margini di autonomia.

5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

5.1. Quanto alle dedotte violazioni di norme di diritto il motivo non censura, come prescritto, l’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta ma risulta esclusivamente incentrato sull’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Tanto è sufficiente a determinarne la inammissibilità dovendo ulteriormente rilevarsi che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo ha posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o ha disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero ha considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27000 del 2016), questioni neppure formalmente prospettate dall’odierno ricorrente.

5.2. Quanto al vizio di motivazione la omissione denunziata non concerne un fatto storico acquisito al processo, come prescritto al fine della valida censura della decisione (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014), ma solo una possibile diversa ricostruzione degli accadimenti fondata su un diverso apprezzamento del materiale probatorio e sollecita, quindi, un sindacato di merito precluso al giudice di legittimità. In ogni caso, tutte le questioni di fatto riproposte sono inammissibili in quanto precluse ex art. 348 bis c.p.c., comma 4, dal ricorrere del presupposto cd. della doppia conforme.

6. Il secondo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità. In primo luogo esso non si confronta con l’accertamento di fatto alla base della sentenza di secondo grado ma censura la valutazione di proporzionalità del licenziamento sulla base di una ricostruzione fattuale diversa da quella che sostiene il decisum di appello. La Corte di merito, non ha, infatti, affermato la responsabilità dell’ O. solo in relazione alla prima autorizzazione ma ha fatto riferimento ad una condotta reiterata e consapevole in più occasioni tenuta dal lavoratore. L’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo di cui all’art. 2119 c.c., non investe propriamente la ricognizione ed integrazione della clausola generale posta da tale disposizione in conformità di principi generali condivisi, ma si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. n. 6498 del 2012, Cass. n. 5095 del 2011). Parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, sotto il profilo della corretta applicazione delle clausole generali di cui agli artt. 2119 e 2106 c.c., non individua,infatti, alcuno specifico contrasto con i criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, nei parametri astratti ai quali ha fatto riferimento il giudice di merito nel ritenere proporzionata la sanzione espulsiva; le critiche articolate tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di proporzionalità del licenziamento sotto il profilo della mancata considerazione di alcune circostanze di fatto, che – si sostiene- avrebbero condotto ad escludere l’applicabilità della sanzione espulsiva. In altri termini, ciò che viene in concreto criticato è l’apprezzamento di fatto delle circostanze del caso concreto ed il giudizio di proporzionalità, censurabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. tra le altre, Cass. n. 8293 del 2012, Cass. n. 21965 del 2007) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis, il testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, neppure formalmente dedotta dalla società ricorrente e comunque preclusa per il principio della “doppia conforme”.

7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per la preclusione scaturente dalla doppia conforme essendo la questione relativa alla discriminatorietà e ritorsività del recesso datoriale stata affrontata e decisa da entrambe le sentenze di merito nel senso della insussistenza di tali caratteri, dovendo ulteriormente evidenziarsi che la pretesa disparità di trattamento sanzionatorio riferito alle cassiere, già in astratto non appare riconducibile ad uno specifico fattore di discriminazione tra quelli normativamente selezionati.

8. All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

9. Sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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