Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21318 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 12/08/2019), n.21318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10496-2016 proposto da:

G.G., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCA

VERDURA, TIZIANA LARATTA;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A. già ALITALIA COMPAGNIA AEREA

ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 722/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/10/2015 R.G.N. 828/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCA VERDURA;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.G. adiva il giudice del lavoro chiedendo, previo eventuale accertamento dell’illegittimità dell’inquadramento professionale nella qualifica di dirigente, dichiararsi, anche ai sensi dell’art. 902 c.n., la illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati con ALITALIA COMPAGNIA AEREA ITALIANA s.p.a. (divenuta in seguito Compagnia Aerea Italiana s.p.a.) in relazione al periodo 5.7.2010/31.10.2010 e al periodo 15.12.2010/15.10.2011 (con proroga di quest’ultimo sino al 30.9.2012) e, per l’effetto, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società datrice (da ora CAI s.p.a.) con condanna di quest’ultima alla riammissione in servizio e alla corresponsione dell’indennità risarcitoria L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, comma 5.

2. La domanda è stata respinta dal giudice di primo grado con statuizione confermata in seconde cure.

2.1. Per quel che ancora rileva, la Corte di merito ha ribadito la decadenza dall’impugnazione del primo contratto ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32 cit., la legittimità dell’inquadramento professionale del G., comandante di aeromobile, quale dirigente, prevista dal contratto collettivo aziendale, la insussistenza della lamentata violazione dell’art. 902 c.n. per la ritenuta applicabilità della disciplina dettata per il contratto a termine dal D.Lgs. n. 368 del 2001che definisce per i dirigenti un regime in deroga in ragione della specialità del rapporto, la infondatezza delle censure relative alla mancata redazione del documento di valutazione dei rischi, ulteriormente evidenziando che erano inammissibili le deduzioni attinenti a vizi riferiti al documento per i profili non dedotti con il ricorso di primo grado e che, comunque, tale documento doveva ritenersi di data antecedente alla stipulazione del contratto.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.G. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

3.1. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 cit. censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato la decadenza dall’impugnazione del termine apposto al primo dei contratti in controversia.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 10, comma 4, dell’art. 2095 c.c. e del contratto collettivo CAI per i comandanti. Censura la sentenza impugnata per avere, sul presupposto della correttezza dell’inquadramento del G. quale dirigente, affermata l’applicabilità del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 4, cit. in relazione al secondo contratto. Assume la natura meramente formale della qualifica dirigenziale attribuita ai comandanti di aeromobili dal contratto collettivo aziendale il quale si era limitato ad un mero riconoscimento formale della detta qualifica, riconoscimento che prescindeva dalle caratteristiche delle mansioni proprie del ruolo di comandante le quali, pur essendo altamente specifiche, non implicavano quell’ampiezza di poteri e quell’autonomia decisionale tale da influenzare la vita dell’azienda, propri delle funzioni direttive; in questa prospettiva evidenzia come il contratto collettivo richiamato non conteneva alcun declaratoria professionale, non instaurava alcun collegamento tra mansioni e qualifica ma si limitava ad affermare, come un assunto, che i comandanti, per il solo fatto di rivestire tale ruolo, dovessero essere considerati dirigenti. Secondo parte ricorrente, quindi, la Corte di merito aveva male applicato i principi giurisprudenziali in tema di rilevanza della contrattazione collettiva ai fini dell’attribuzione delle qualifiche non tenendo conto che le disposizioni contrattuali in questione non erano voci rappresentative delle parti sociali di settore; il contratto CAI, infatti, era stato sottoscritto unicamente da organizzazioni sindacali Confederali che rappresentavano meno del 10% dei comandanti; la disciplina sul contratto a termine era inderogabile e non poteva ammettersi che la sola attribuzione nominalistica della qualifica dirigenziale potesse comportare la disapplicazione delle norme di tutela del lavoratore.

3. Con il terzo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 902 c.n. nonchè omessa motivazione e conseguente nullità della sentenza. Premesso di avere impugnato il contratto stipulato in data 15.12.2010 per contrasto con l’art. 902 c.n., che secondo la consolidata interpretazione dell’art. 1 del codice della navigazione le norme di quest’ultimo si applicano in via principale e quelle di diritto comune solo in via sussidiaria, argomenta che in tema di contratto a termine nel settore della navigazione, esclusa l’applicabilità del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2 ed abrogato l’art. 2097 c.c., la norma regolatrice è costituita dall’art. 902 c.n., destinata a prevalere, per il suo carattere di specialità, rispetto a quelle generali. Tale norma è stata costantemente interpretata nel senso di una preferenza per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato restando la possibilità di stipula dei contratti a termine condizionata da caratteristiche di specialità del rapporto non integrate dalla qualifica dirigenziale. In questa prospettiva si duole che la Corte di merito non avesse specificamente affrontato la questione limitandosi ad affermare la esistenza di un regime in deroga connesso alla qualifica dirigenziale.

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 414 e 416 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere respinto il motivo di gravame concernente il documento valutazione rischi.

5. Il primo motivo di ricorso è infondato.

5.1. La sentenza impugnata ha confermato la decadenza dall’impugnazione del primo contratto ritenendo priva di fondamento la tesi del ricorrente secondo la quale la stipula del secondo contratto a termine, intervenuta entro i 60 giorni dalla cessazione del primo, configurava una causa impeditivi della decadenza ai sensi dell’art. 2966 c.c.. Ha, infatti, osservato che nel caso di specie era da escludere qualsivoglia riconoscimento del diritto – impeditivo della decadenza ai sensi dell’art. 2966 c.c. – collegabile alla stipula del successivo contratto a termine, anche se intervenuta ad un intervallo inferiore di sessanta giorni.

5.2. Tale accertamento di fatto non risulta incrinato dalle censure formulate con il motivo in esame che si limitano a riproporre una diversa interpretazione della condotta della società sulla base di considerazioni generiche, senza addurre alcuna circostanza concreta il cui omesso esame avrebbe potuto – in tesi – far ritenere concludente, nel senso preteso dal G., il comportamento della datrice di lavoro. Nè il solo fatto della stipula di un secondo contratto a termine in un intervallo di tempo inferiore a sessanta giorni giustifica in astratto la ricostruzione in termini unitari del rapporto di lavoro, secondo quanto già condivisibilmente ritenuto in fattispecie analoga da questa Corte la quale ha chiarito che in tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione, l’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l’impugnativa, poichè l’inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro – il quale potrà determinarsi solo “ex post”, a seguito dell’eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto – comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità (Cass. 21/11/2018 n. 30134).

6. Il secondo motivo è infondato.

6.1. La sentenza impugnata ha respinto il motivo di gravame con il quale il G. aveva inteso far valere la natura meramente formale della qualifica di dirigente, argomentando dalla esistenza di specifica previsione collettiva (contratto collettivo aziendale dirigenti per il personale navigante tecnico con qualifica di comandante della Compagnia Aerea Italiana) – secondo cui al personale navigante tecnico CAI, con qualifica di Comandante, atteso il ruolo ricoperto in azienda caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, e le funzioni esplicitate al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi della impresa è riconosciuta, ad ogni effetto di legge, la categoria di Dirigente il cui rapporto di lavoro è disciplinato dal presente contratto collettivo- e dalla compatibilità, “in ogni caso”, delle mansioni di comandante di aereo, così come descritte dalle parti, con il contenuto della mansione dirigenziale quale ricostruito dalla evoluzione della giurisprudenza sul punto. Ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale rientra nei poteri delle parti collettive attribuire la qualifica di dirigente e fissare i requisiti che ne delineano la figura con il conseguente obbligo del giudice di attenersi ai requisiti prefissati in tale sede; ha, quindi, escluso la lamentata violazione dell’art. 902 c.n. in quanto la disciplina del contratto a termine ex D.Lgs. n. 368 del 2001 definisce per i dirigenti un regime in deroga.

6.2. Le censure articolate con il motivo in esame non si confrontano con il complesso delle ragioni che sostengono la decisione di secondo grado; in particolare non viene investito l’accertamento di fatto – costituente una delle due autonome rationes decidendi – con il quale la Corte di merito ha affermato la compatibilità delle mansioni di comandante di aereo, così come descritte dalle parti, con il contenuto della funzione dirigenziale quale ricostruito dalla evoluzione giurisprudenziale.

6.3. L’accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l’inquadramento nell’una o nell’altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione di talchè occorreva, al fine di incrinare tale accertamento, in coerenza con l’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la deduzione di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti dedotto nei rigorosi termini precisati da Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053, neppure formalmente prospettata dal ricorrente.

6.4. L’accertamento in oggetto neppure è denunziabile in quanto parametrato su una nozione della funzione dirigenziale non conforme a diritto in quanto alla luce della evoluzione registrata dalla giurisprudenza di legittimità, la qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come “alter ego” dell’imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell’organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l’andamento aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l’indubbia qualificazione professionale, nonchè per l’ampia responsabilità in tale ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell’azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne nonchè alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza nell’ambito del singolo settore produttivo (Cass. 04/08/2017 n. 19579; Cass. 08/03/1990 n. 1877). In questa prospettiva è stata affermata la necessità di valorizzazione della contrattazione collettiva e delle prassi sindacali che hanno portato al riconoscimento della qualifica dirigenziale anche a lavoratori che, pur non investiti di quei poteri di direzione necessari per richiamare la nozione di “alter ego” dell’imprenditore, sono in possesso di elevate conoscenze scientifiche e tecniche o, comunque, sono dotati di professionalità tale da collocarsi in condizioni di particolare forza nel mercato del lavoro (Cass. /10/2016 n. 20805), e puntualizzato che in presenza di definizione da parte della disciplina collettiva (che, adeguandosi all’evoluzione delle forme di organizzazione imprenditoriale, può assegnare rilievo a tratti distintivi diversi da quelli minimi caratterizzanti la figura ex lege), la nozione legale di dirigente prevale sulla definizione contrattuale solo se questa risulti più restrittiva (Cass. 03/04/1992 n. 4103), situazione esclusa nel caso di specie nel quale il lavoratore lamenta, al contrario, “l’ampiezza” eccessiva della nozione di dirigente individuata dalla contrattazione collettiva.

6.5. La questione relativa alla scarsa rappresentatività delle associazioni sindacali che avevano sottoscritto il contratto aziendale, non specificamente affrontata dalla Corte di merito risulta inammissibile per novità non avendo la parte ricorrente dimostrato di averla ritualmente sollevata in prime cure e riproposta con il ricorso in appello (Cass. 09/08/2018 n. 20694; Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).

6.6. Quanto sopra osservato esime dalla verifica relativa alla asserita natura meramente formale della qualifica attribuita ai Comandanti con il contratto aziendale la quale, anzi, è da ritenersi esclusa dalla circostanza che le parti collettive non si sono limitate alla mera attribuzione della qualifica dirigenziale ma hanno dimostrato di ricollegarla ad una ricognizione del contenuto delle corrispondenti mansioni di comandante (- autonomia e potere decisionale, e le funzioni esplicitate al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi della impresa-) la cui valutazione non risulta puntualmente investita da censura.

7. Il terzo motivo di ricorso è infondato in relazione alla denunzia di omessa motivazione avendo la Corte di merito, sia pure in forma sintetica, argomentato che la specialità del rapporto dirigenziale giustificava l’applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 10, comma 4. La sentenza contiene, quindi, una effettiva esposizione delle ragioni che la sorreggono nel senso che le argomentazioni sviluppate consentono di ricostruire senza incertezze il percorso logico -giuridico alla base del decisum (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232).

7.1. Nel merito della questione di diritto posta dal motivo in esame occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermazione, coerente anche con la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 3/4/1987 n. 96 e Corte Cost. 31/1/1991 n. 41), secondo la quale, dall’art. 1 c.n. discende che nel settore marittimo l’operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale; in particolare in tema di rapporto di lavoro nautico è stato ribadito che la relativa disciplina configurante una legislazione speciale con proprie regole ispirate anche ad interessi pubblici costituisce un subsistema incardinato sull’art. 1 c.n., che regola le fonti del diritto della navigazione. Anche in questo settore, perciò, l’operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale (Cass. 18/2/1995 n. 1741; Cass. 23/4/1991 n. 4386; Cass. 23/03/1989 n. 1479).

7.2. La giurisprudenza di questa Corte che, con riguardo allo specifico tema dell’applicabilità al rapporto di lavoro nautico della disciplina comune dei contratti a termine, ha indagato il rapporto tra la disciplina in tema di contratto a termine dettata dalla L. n. 230 del 1962 e la previsione dell’art. 902 c.c. ha chiarito che il rapporto di lavoro a termine del personale navigante esula dall’ambito di applicazione della L. n. 230 del 1962 e successive modificazioni, attesa l’autonomia del diritto marittimo per la quale (art. 1 c.n.) il ricorso alla legislazione di diritto comune può aver luogo solo in via sussidiaria, ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, puntualizzando che la disciplina dettata dall’art. 902 c.n. – norma applicabile nel periodo precedente l’entrata in vigore della L. n. 84 del 1986 (in tema di assunzione di personale a termine nelle aziende di trasporto aereo ed esercenti servizi aeroportuali) – pone, quale unica condizione di legittimità dell’apposizione del termine quella della specialità delle esigenze che determinano tale apposizione (Cass. 21/12/1990 n. 12118).

7.3. Tale specialità è senz’altro ravvisabile con riferimento al rapporto dirigenziale, caratterizzato da un profilo fiduciario, che giustifica una regolazione differenziata rispetto all’ordinario rapporto di lavoro in particolare con riferimento alla recedibilità ad nutum.

7.4. Questa Corte, con riferimento al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 4, cit., ha chiarito che esso si interpreta nel senso che il limite quinquennale ivi previsto non costituisce il termine finale massimo entro cui deve essere contenuto il rapporto, comprensivo di eventuali proroghe o rinnovi, bensì il vincolo di durata massima del singolo contratto esplicitamente sottolineando che il lavoro a termine non costituisce – limitatamente a detta categoria di prestatori deroga al principio generale della normale durata a tempo indeterminato del contratto e, conseguentemente, non sono applicabili le disposizioni che, in caso di superamento del termine massimo, ne comportano la conversione, senza che tale interpretazione, in considerazione della natura fiduciaria delle funzioni svolte e del peculiare ruolo di preminenza gerarchica e/o professionale assegnato, si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost. ovvero con la normativa Europea in materia (Cass. 10/07/2017 n. 17010).

7.5. In continuità con tali affermazioni che rimarcano la specialità del rapporto dirigenziale, deve concludersi che anche con riferimento al rapporto di lavoro disciplinato dal codice della navigazione, la natura dirigenziale conferisca allo stesso quella specialità che giustifica l’apposizione del termine.

7.6. A parziale modifica della motivazione sul punto della sentenza impugnata occorre, tuttavia, puntualizzare che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10 cit. non viene in rilievo come norma direttamente regolante il rapporto in oggetto, che rimane assoggettato al codice della navigazione, ma come disciplina che concorre a conferire, unitamente ad altre previsioni dell’ordinamento lavoristico, un connotato di intrinseca specialità al rapporto di natura dirigenziale e che quindi legittima alla luce del comma 2 dell’art. 902 c.n. l’apposizione del termine.

8. Il quarto motivo di ricorso è infondato. Dalla sentenza impugnata emerge che le critiche articolate con l’atto di appello al documento di valutazione rischi erano intese a contestare la possibilità di assegnare allo stesso una data certa antecedente a quella della stipula dei contratti a temine (v. sentenza pag. 7, in fine e pag. 8). A riguardo la sentenza impugnata oltre a rilevare la inammissibilità per tardività delle contestazioni relative al documento di valutazione rischi ha richiamato l’accertamento del giudice di prime cure il quale sulla base del verbale di riunione sindacale aveva ritenuto comunque accertata la anteriorità del detto documento alla stipula del contratto a termine, con affermazione non specificamente investita da censura con l’atto di appello.

8.1. Parte ricorrente non si confronta con tale ultima autonoma ratio decidendi, in quanto incentra le proprie doglianze sulla valutazione di tardività delle critiche formulate e sulla inadeguata valutazione del documento in questione che, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 omette di trascrivere o riassumere nei suoi contenuti essenziali.

9. Da tutto quanto sopra consegue l’integrale rigetto del resto con condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali.

10. Sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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