Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21317 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/09/2017, (ud. 14/06/2017, dep.14/09/2017),  n. 21317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20317/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 108/2014 del TRIBUNALE di AREZZO, depositata

il 30/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza 30.1.2014 il Tribunale di Arezzo ha rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato contro la sentenza n. 717/2010 del locale Giudice di Pace che aveva a sua volta respinto l’opposizione di D.V.M., titolare di un esercizio pubblico, contro una ordinanza ingiunzione per violazione dell’art. 110, comma 9, penultimo periodo del TULPS e successive modifiche (per avere consentito all’interno del proprio esercizio due apparecchi da divertimento di cui all’art. 110, comma 6 TULPS non collegati alla rete telematica e sprovvisti di nulla osta per effetto della intervenuta risoluzione su iniziativa del concessionario): richiamata la presunzione di colpa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, il giudice di appello ha osservato che la parte aveva dimostrato di avere agito in buona fede e senza colpa, come si ricavava dal fatto che la comunicazione di risoluzione del contratto e della revoca del nulla osta era stata trasmessa dal concessionario unicamente al proprietario-gestore degli apparecchi e non anche all’esercente, e dalla mancanza di altri elementi per ritenere che il titolare del bar fosse consapevole (o avrebbe dovuto sapere) che, per vicende inerenti i soli rapporti tra gestore e concessionario, erano venuti meno i presupposti per il legittimo utilizzo delle apparecchiature.

Contro tale decisione la Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo.

L’altra parte non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unica censura si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3, 22 e 23 e art. 110, comma 9, lett. c) e d) TULPS nonchè art. 2697 c.c.: l’Amministrazione ricorrente, premessa una ricostruzione della disposizione normativa contestata al D.V. (che prevede una “filiera” di soggetti coinvolti in caso di violazione), osserva che anche l’esercente dei locali ove sono installate le macchine da giuoco deve conoscere le conseguenze della risoluzione del rapporto contrattuale tra il concessionario e il gestore e quindi è tenuto a verificare che tali apparecchi siano costantemente in possesso di tutti i titoli autorizzatori prescritti e che siano presenti e funzionali tutti gli accessori tecnici necessari a consentire, attraverso il collegamento alla rete, del concessionario prescelto, la regolarità della raccolta delle scommesse; rileva inoltre che l’esercente, essendo legato da apposito accordo col gestore, è tenuto ad esigere ogni informazione in merito alla regolarità degli apparecchi, la cui installazione avviene, si ripete, nel suo locale, richiedendo una diligenza specifica in considerazione della peculiarità degli interessi coinvolti. A dire della ricorrente, per mandare esente da colpa l’esercente, non bastava addurre di non avere ricevuto nessuna comunicazione di risoluzione del contratto di concessione, perchè la responsabilità discende dal fatto di non essersi assicurato della regolarità degli apparecchi così venendo meno all’onere probatorio su di lui gravante.

Il motivo è fondato.

Le norme a cui si riferisce l’ordinanza ingiunzione (art. 110, comma 9, lett. c) e d) TULPS, puniscono “chiunque….. distribuisce, installa o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico” di apparecchi o congegni non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 e nelle disposizioni di legge ed amministrative attuative di detti commi (lett. c) oppure privi dei titoli autorizzatori previsti dalle disposizioni vigenti (lett. d).

E’ chiaro dunque che il ricorrente, quale titolare del pubblico locale nel quale sono stati rinvenuti gli apparecchi, rientra tra i soggetti passivi della violazione in questione.

Ciò premesso, secondo un generale principio di diritto, in tema di sanzioni amministrative, la buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e quando l’autore medesimo abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva. L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. 5, Sentenza n. 23019 del 30/10/2009 Rv. 610357; Sez. L, Sentenza n. 911 del 02/02/1996 Rv. 495686). Identico principio è stato affermato in ordine alla censurabilità in cassazione dell’accertamento sull’errore scusabile sul fatto (Sez. 2, Sentenza n. 20866 del 29/09/2009 Rv. 609451; Sez. 1, Sentenza n. 3693 del 18/04/1994 Rv. 486266).

Nel caso in esame il Tribunale di Arezzo, premesso l’accertamento della originaria regolarità amministrativa delle macchine, ha ravvisato la buona fede dell’opponente sulla base di un’unica e assorbente considerazione, il fatto che non fosse stato messo al corrente della avvenuta risoluzione del contratto tra gestore e concessionario di rete e per giungere a tale conclusione ha valorizzato un unico elemento documentale, la raccomandata del concessionario indirizzata al solo gestore e non anche all’esercente.

Così facendo, però, il Tribunale ha di fatto esentato l’opponente dall’onere probatorio (essendosi questi limitato a dichiarare di non essere a conoscenza della revoca dei permessi e del distacco della connessione, senza però dimostrare di avere fatto tutto il possibile per osservare il precetto di legge) e, al contrario, ha indebitamente preteso che fosse l’Amministrazione a dover fornire ulteriori elementi “per far ritenere che il titolare del bar fosse consapevole (o quanto meno avrebbe potuto/dovuto essere a conoscenza) che erano venuti meno, per vicende pacificamente inerenti ai soli rapporti tra gestore e concessionario) i presupposti di legittimo utilizzo delle apparecchiature)”: la regola dell’onere probatorio vigente in materia è stata invertita e l’errore di diritto è palese.

Il giudice di merito, per rendere giuridicamente corretto il suo ragionamento, avrebbe dovuto invece verificare se effettivamente il D.V. avesse tenuto un comportamento improntato al doveroso controllo della regolarità degli apparecchi che deteneva nei suoi locali, accertando, tanto per fare un esempio, se l’assenza di connessione degli apparecchi alla rete telematica fosse verificabile dalla semplice messa in funzione dell’apparecchio o comunque fosse di agevole percezione.

Si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Arezzo in persona di diverso magistrato che, attenendosi ai citati principi, rivaluterà i fatti, traendone le debite conseguenze e provvedendo all’esito sulle spese anche di questo giudizio.

PQM

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Arezzo in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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