Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21316 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 05/10/2020), n.21316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18598-2016 proposto da:

S.O., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo

studio legale TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO e soci, rappresentata e

difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9047/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/01/2016 R.G.N. 3812/2013.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO E IN DIRITTO

che con sentenza n. 691/2006, divenuta definitiva, il Tribunale di Napoli, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con decorrenza 1/1/1981, tra il ricorrente e le Ferrovie dello Stato S.p.A. (poi Trenitalia S.p.A.), condannava la società all’adeguamento del trattamento retributivo e normativo allo stesso spettante, secondo le disposizioni di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro succedutisi nel tempo, nonchè alla ricostruzione della carriera e dell’anzianità di servizio, con la condanna al pagamento di tutte le differenze retributive maturate, oltre interessi e rivalutazione monetaria;

– che nel giudizio per la determinazione delle differenze retributive il Tribunale di Napoli accoglieva solo in parte la domanda del lavoratore, in quanto riconosceva unicamente le somme dovute a titolo di scatti di anzianità (e ad altri istituti legati all’anzianità di servizio) maturati in epoca successiva alla formalizzazione del rapporto di lavoro;

– che tale pronuncia era per intero confermata, con la sentenza n. 9047/2015, dalla Corte di appello di Napoli, la quale osservava, a sostegno della propria decisione: – che non poteva ritenersi alcuna automaticità tra l’accertata esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e il diritto alle differenze retributive derivanti dalle previsioni collettive; – che sarebbe stato onere del ricorrente allegare prima, e provare poi, le effettive mansioni espletate nel periodo dedotto, con indicazione delle relative modalità di svolgimento, anche al fine di consentire la verifica di congruità della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., non essendo idoneo il mero rinvio ai conteggi sostanzialmente fatto nel ricorso introduttivo; – che in particolare – rilevava ancora la Corte di appello – “nulla si riferisce nell’atto introduttivo del giudizio di quantificazione in ordine agli orari osservati ed alle diverse mansioni (ausiliare di stazione?) che sarebbero state svolte nel tempo prima della formale assunzione, il che, stante la genericità del titolo giudiziale pregresso, sarebbe stato necessario al fine di provare l’asserita ma non provata equiparazione, sia in termini qualitativi che quantitativi, della prestazione lavorativa espletata dall’1/1/1981 in poi con quella posta a fondamento della retribuzione contrattualmente riservata ai dipendenti delle FS appartenenti alle categorie rivendicate”;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con undici motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito Trenitalia S.p.A. con controricorso, anch’esso assistito da memoria;

– che il Procuratore Generale ha presentato le proprie richieste, concludendo per il rigetto del ricorso;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 324 e 327 c.p.c., per non avere la sentenza di appello considerato che la pronuncia n. 691/2006 del Tribunale di Napoli, passata in giudicato, aveva già compiutamente definito la pretesa fatta valere in giudizio, così che non sarebbe più stato possibile, per la Corte territoriale, esaminare la questione se fossero o meno dovute le voci stipendiali indicate nel ricorso introduttivo e così come quantificate nei conteggi ivi allegati;

– che con i motivi dal secondo al decimo la sentenza di appello viene censurata per avere, riconoscendo unicamente l’aumento dovuto agli scatti stipendiali e le sole altre differenze connesse all’anzianità di servizio, violato o falsamente applicato: (2) l’art. 36 Cost., artt. 2099 e 2103 c.c., nonchè le disposizioni dei contratti collettivi nazionali di categoria succedutisi nel corso del tempo in materia di determinazione della retribuzione spettante al lavoratore; (3) la L. n. 34 del 1970, art. 37, L. n. 885 del 1980, art. 6 e L. n. 779 del 1985, art. 4, in materia di soprassoldo domenicale; (4) il D.P.R. 15 gennaio 1980, n. 145 e la L. 24 dicembre 1985, n. 779, in materia di premio industriale e sua rivalutazione; (5) la L. n. 937 del 1977, art. 1, in materia di festività soppresse; (6) la L. 1 agosto 1978, n. 448, in materia di premio di produzione; (7) il C.C.N.L. 1987/1989 e il C.C.N.L. 1990/1992 con riferimento alla indennità di utilizzazione e turno e alla mancata corresponsione della indennità di disagiata residenza; (8) il D.P.R. n. 1188 del 1977, l’art. 6 dell’Accordo 1 agosto 1987 (allegato al C.C.N.L. 1987/1989), il C.C.N.L. 1990/1992, art. 44, D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5, convertito in L. n. 438 del 1992, il C.C.N.L. 16 aprile 2003, art. 69, con riferimento al lavoro straordinario; (9) il C.C.N.L. 1987/1989, art. 44, punto 3, C.C.N.L. 1987/1989, art. 32, punto A), C.C.N.L. 1990/1992, art. 51, punto 3, C.C.N.L. 16 aprile 2003, art. 24, con riferimento alla indennità di festività in riposo; (10) l’art. 2109 c.c., comma 2, con riferimento al compenso per ferie non godute;

– che con l’undicesimo motivo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di appello omesso di esaminare un punto decisivo della controversia e cioè il contenuto della sentenza n. 691/2006 del Tribunale di Napoli, la quale aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dall’1/1/1981 e il diritto del ricorrente alla corresponsione delle differenze retributive al medesimo spettanti da tale data, da calcolarsi avendo riguardo a tutta la normativa applicabile ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato;

osservato:

che il primo motivo risulta improcedibile, poichè, nell’inosservanza dell’art. 369 c.p.c., n. 4, il ricorrente non ha depositato copia della sentenza, passata in giudicato, n. 691/2006 del Tribunale di Napoli, nonostante che su di essa abbia fondato il motivo ora in esame, nè ha indicato il luogo preciso in cui essa fu depositata nei gradi di merito;

– che è poi ininfluente l’intervenuta allegazione di tale sentenza con il deposito della memoria illustrativa, atteso che “nel giudizio di legittimità possono essere prodotti, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c. e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., solo i documenti che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti l’allegata fondatezza del medesimo” (Cass. n. 9685/2020; conforme n. 10967/2013);

– che, d’altra parte, è consolidato il principio di diritto, per il quale “l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale” (Cass. n. 5508/2018; conformi, fra altre: n. 10537/2010; n. 6184/2009; n. 26627/2006);

– che è stato altresì ripetutamente affermato che “nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena di inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa” (Cass. n. 2617/2015 e numerose conformi);

– che i motivi successivi, fino al decimo, risultano inammissibili, essendosi il ricorrente limitato, in ciascuno di essi, alla enunciazione delle norme di diritto che assume violate o erroneamente applicate dalla Corte di appello nella sentenza impugnata e, tuttavia, senza far seguire a tale richiamo (come pure sarebbe stato necessario, secondo giurisprudenza costante: Cass. n. 16038/2013, fra le molte conformi) specifiche indicazioni circa le affermazioni della sentenza in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina;

– che risulta egualmente inammissibile l’undicesimo motivo, dovendosi in proposito rilevare innanzitutto, su di un piano generale, come il vizio di motivazione possa avere ad oggetto esclusivamente un “fatto storico”, e cioè un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 22397/2019), rimanendo ad esso estranee, e quindi irrilevanti, deduzioni, argomentazioni o (come nella specie) attività di qualificazione/interpretazione; fermo restando che il contenuto della sent. n. 691/2006 del Tribunale di Napoli, che – secondo il ricorrente – costituirebbe il dato omesso e decisivo, ha, invece, formato oggetto di ampia considerazione da parte della Corte di appello, che proprio sui limiti del relativo accertamento ha fondato le proprie conclusioni;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

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