Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21313 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.14/09/2017),  n. 21313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18567/2013 proposto da:

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LARGO MARESCIALLO DIAZ 22, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

VALENZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

BRUNO SCALENGHE;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 1193/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Torino con sentenza 4.7.2012 ha rigettato il gravame proposto dal condomino B.G. – in proprio e quale erede della madre S.I. – contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Torino n. 6327/09) che a sua volta ritenuto infondata la loro opposizione avverso un decreto ingiuntivo per l’importo di Euro. 8.285,84 ottenuto nei loro confronti dall’amministratore del Condominio (OMISSIS) in relazione a spese (riguardanti il tetto e la caldaia) approvate dall’assemblea.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello ha osservato che col quarto motivo l’appellante aveva dichiarato espressamente l’avvenuta cessazione della materia del contendere, e che l’esame delle quattro censure andava comunque compiuto ai fini della soccombenza virtuale.

Ha quindi rilevato:

– che la valutazione della soccombenza deve avvenire non per grado, ma globalmente e considerando l’esito finale del giudizio;

– che l’emissione del decreto ingiuntivo da parte del Presidente del Tribunale e non del Tribunale in composizione monocratica non aveva alcun rilievo ai fini della competenza, posto che del Tribunale fa parte anche il Presidente; inoltre l’appellante non aveva neppure dimostrato quale sarebbe il pregiudizio subito dalla presunta “incompetenza”;

– che nessuna norma condiziona l’emanazione di un decreto ingiuntivo o la proposizione di una domanda alla preventiva messa in mora del debitore;

– che le prove testimoniali finalizzate a dimostrare un accordo di rateizzazione concluso con l’amministratore, erano irrilevanti perchè non opponibili al Condominio ed anzi dimostravano la persistente mala fede dell’appellante perchè l’asserito accordo avrebbe riguardato solo le spese per il tetto e non quelle per la caldaia;

– che la totale soccombenza dell’appellante ne giustificava la condanna alle spese del grado.

Contro tale decisione il B., sempre nella duplice qualità, ricorre per cassazione con sei motivi mentre il Condominio non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo il ricorrente deduce, “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla presunta cessazione della materia del contendere”: secondo la tesi del ricorrente, nonostante l’affermazione indicata nel motivo di appello numero 4), la materia del contendere non era affatto cessata perchè le due lettere prodotte (documenti n. 3 e 7) indicavano chiaramente la volontà di proseguire nel giudizio anche dopo il pagamento (eseguito solo per evitare l’esecuzione) ed inoltre le conclusioni rassegnate non deponevano certo per la cessazione della materia del contendere; evidenzia inoltre che nel dispositivo non vi è nessun riferimento a tale modalità conclusiva del giudizio.

1.2 Con una seconda censura si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla reiezione dell’eccezione preliminare, con la quale veniva richiesto di dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo opposto, in quanto emesso da organo privo di specifica competenza ad hoc”. Osserva al riguardo il ricorrente che il ricorso, nonostante l’intervenuta modifica legislativa con decorrenza dal 2.6.1999, era stato indirizzato al Presidente del Tribunale ed il provvedimento era stato emesso da quest’ultimo, quindi da un organo giudiziario incompetente.

1.3 Col terzo motivo denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla reiezione della domanda con la quale veniva richiesto di dichiararsi nullo e di nessun effetto il decreto ingiuntivo opposto, poichè emesso in assenza dei requisiti specifici ex lege richiesti”. Deduce in particolare il B. che nei suoi confronti non vi fu una regolare costituzione in mora, come risulta dall’esame delle lettere e dei fax: a suo dire, la mancanza di una regolare costituzione in mora andava valutata quanto meno ai fini delle spese.

1.4 Col quarto motivo il B. denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’apprezzamento dei fatti, che ha condotto il giudice di secondo grado a respingere l’appello, in particolare in ordine alla reiezione dell’istanza istruttoria con cui veniva richiesto di ammettersi i capi di prova per interpello e testi formulati nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, del 24.11.2008 e non ammessi con l’ordinanza del 15.5.2009, in relazione alla domanda di subordine con la quale si chiedeva dichiararsi nullo e di nessun effetto il decreto ingiuntivo opposto poichè le somme ingiunte non erano dovute nella misura e con le modalità indicate dal Condominio”. Secondo il ricorrente, la prova per testimoni articolata tendeva a dimostrare l’accordo con l’amministratore per un pagamento in tre rate, previa trasmissione, da parte di quest’ultimo, di determinati documenti: la prova, a suo dire, era rilevante perchè serviva a dimostrare le particolari modalità del pagamento, subordinate, appunto, all’invio di documentazione, nel caso di specie mai trasmessa.

1.5 Col quinto motivo (erroneamente distinto in ricorso col n. 4) il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’apprezzamento dei fatti, che ha condotto il giudice di secondo grado a respingere l’appello, in particolare in ordine alla pronuncia sulle spese di causa”. Rileva in particolare che contrariamente a quanto rilevato dalla Corte d’Appello, non era mai stata introdotta nessuna doglianza relativa alla soccombenza per grado, mentre ci si doleva solo della liquidazione operata dal Tribunale.

1.6 Col sesto ed ultimo motivo (erroneamente distinto in ricorso col n. 5) il ricorrente denunzia infine “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla omessa motivazione in ordine alla necessità che l’amministratore di Condominio sia munito di apposita autorizzazione a stare in giudizio da parte dell’assemblea sia essa preventiva oppure nella forma della ratifica, pena l’inammissibilità dell’atto di costituzione”. Rileva in proposito che la gravata sentenza non ha assolutamente motivato in relazione all’argomentazione sollevata dall’appellante in ordine alla necessità che l’amministratore di Condominio sia munito di apposita autorizzazione a stare in giudizio da parte dell’assemblea ai sensi del principio enunciato nella sentenza delle sezioni unite n. 18331 del 8.8.2010. Tale argomentazione – osserva il ricorrente – è stata svolta in comparsa conclusionale ma, come afferma la sovra citata pronuncia delle sezioni unite, il rilievo può essere mosso anche di ufficio e pertanto la Corte d’Appello di Torino, una volta investita del problema, ben avrebbe potuto ordinare a controparte di produrre l’autorizzazione a stare in giudizio”. La Corte d’Appello non lo ha fatto, ma ciò che in ogni caso avrebbe dovuto fare, era di pronunciarsi sulla argomentazione sottoposta al suo giudizio dal sig. B..

Rileva ancora che “l’Amministratore non risulta munito di alcuna autorizzazione a stare in giudizio e quindi la sua costituzione doveva e deve dichiararsi inammissibile”.

2 Evidenti ragioni di priorità logica consigliano di partire proprio dall’ultima delle censure, attinente alla regolare costituzione del Condominio nel giudizio di appello.

La doglianza è chiaramente priva di fondamento perchè generalizza l’applicazione del principio affermato dalle sezioni unite senza considerare la particolare natura della lite di cui si tratta: nel caso che ci occupa l’amministratore si è limitato a dare esecuzione ad una delibera, secondo quanto gli impone l’art. 1130 c.c. e a tal fine ha agito contro due condomini morosi nel versamento di contributi oggetto di regolare approvazione e ripartizione.

Ebbene, l’appello del B. (in proprio e quale erede della defunta madre) contro la sentenza di primo grado a lui sfavorevole di certo investiva una materia rientrante pienamente nelle attribuzioni dell’amministratore e quindi non si richiedeva da parte dell’assemblea nessuna autorizzazione o successiva ratifica perchè – lo si ripete – l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (tra le tante, v. Sez. 2, Sentenza n. 7095 del 2017 non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 1451 del 23/01/2014 Rv. 629971; Sez. 2, Sentenza n. 27292 del 09/12/2005 Rv. 585227).

L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quei giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’art. 1131 c.c., commi 2 e 3, ma, come si è visto, non è questo il caso di specie. Anzi, e per concludere sull’argomento, sarebbe veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo “iperassemblearismo”, che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condomini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile (v. Sez. 2, Sentenza n. 1451/2014).

3 Passando all’esame delle altre doglianze, la prima e la terza – che ben si prestano ad esame congiunto – sono entrambe inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.): secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939; Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 Rv. 589392).

Nel caso di specie il ricorrente (con riferimento al primo motivo) non chiarisce quale possa essere l’interesse che lo spinge a far valere l’erronea dichiarazione di cessazione della materia del contendere (contenuta peraltro solo nella parte motiva della sentenza impugnata), posto che tutte le censure formalmente sollevate con l’atto di appello sono state puntualmente esaminate e la formula conclusiva che oggi si contesta non figura neppure in dispositivo, come evidenziato nello stesso ricorso.

Parimenti, il ricorso non spiega (quanto al terzo motivo) quale possa essere l’interesse concreto a dimostrare che non vi sia stata una regolare costituzione in mora del B., posto che la ratio decisiva si basa sull’esatto rilievo che nessuna norma condiziona l’emanazione di un decreto ingiuntivo e tanto meno la proposizione di una domanda giudiziale alla messa in mora del debitore ex art. 1219 c.c., atto che ha unicamente l’effetto di determinare un momento di decorrenza degli interessi (v. pag. 15 sentenza). E la stessa pronuncia di questa Corte n. 9181/2013 richiamata dal ricorrente afferma proprio tale principio e cioè che non è fatto divieto all’amministratore di agire in via monitoria senza previa messa in mora. La doglianza su una possibile rilevanza della questione ai fini, quanto meno, della regolamentazione delle spese di lite è solo speciosa perchè lo stesso B. ammette di avere comunque ricevuto in data 7.11.2007 e 6.12.2007 dall’avv. Valetto delle comunicazioni scritte che di certo non contenevano gli auguri per le imminenti festività.

4 Il secondo motivo di ricorso è infondato perchè il decreto ingiuntivo è stato indirizzato all’organo competente per materia e per valore, cioè il Tribunale di Torino, ed è stato emesso dal medesimo Tribunale in composizione monocratica: il fatto che il provvedimento sia stato materialmente emesso dal Presidente non ha alcun rilievo: è fin troppo ovvio infatti che il Presidente è un componente del Tribunale e nessuna norma di legge gli vieta di auto-assegnarsi i ricorsi per decreto ingiuntivo ed emettere i relativi decreti, come di fatto accaduto.

5 Il quarto motivo è anch’esso infondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6-5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Ebbene, nel caso di specie, si è al di fuori di tali ipotesi estreme perchè la Corte d’Appello ha ben spiegato (v. pag. 16 e 17) il motivo per cui non ha ritenuto di ammettere la prova per testi sull’accordo in ordine alla tempistica dei pagamenti, sottolineando la rilevanza della questione solo in caso di una eventuale domanda di garanzia nei confronti dell’amministratore (non proposta), nonchè il persistente inadempimento dell’appellante anche sul contributo per l’intervento alla caldaia, comunque escluso dalla rateizzazione: trattasi di un percorso argomentativo del tutto plausibile che pertanto oggi non può essere rivisitato, rilevandosi piuttosto che sul dato di fatto decisivo di tutta la lite, e cioè l’esistenza di un debito condominiale non saldato per spese regolarmente approvate dall’assemblea, il ricorso nelle sue trenta pagine si mostra assolutamente silente.

6 Il quinto motivo, sulle spese di giudizio, è anch’esso infondato perchè la Corte d’Appello, nel ritenere corretta la decisione del primo giudice, ha fatto corretta applicazione della regola della soccombenza nella lite sul pagamento delle spettanze condominiali e questo è l’unico elemento decisivo.

In conclusione il ricorso va respinto con addebito di ulteriori spese al ricorrente.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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