Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21312 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.14/09/2017),  n. 21312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18020/2013 proposto da:

G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE M. DI L.E. & F.M. SS, in

persona del socio amministratore, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE FLAMINIO 22, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI

MARTINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO NESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2123/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Decidendo in sede di gravame la lite promossa dalla Immobiliare M. S.S. contro G.M. per l’occupazione di un vano solaio e di porzione di un pianerottolo nel fabbricato di (OMISSIS), la locale Corte d’Appello con sentenza 13.6.2012, in accoglimento dell’appello proposto dalla società Immobiliare ha riformato la sentenza di primo grado (n. 7105/2005 del Tribunale di Milano) e, respinta l’eccezione di usucapione sollevata dalla convenuta-appellata G., ha condannato la stessa a rilasciare il solaio N, e a ripristinare lo stato dei luoghi relativo al pianerottolo del terzo piano dello stabile, conformemente a quanto domandato dalla società.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello ha osservato che le deposizioni dei testi di parte appellata, da valutare con molta attenzione (per gli stretti legami familiari con la parte), apparivano troppo scarne ed esigue ai fini della prova del possesso ad usucapionem del vano solaio, e che l’appropriazione da parte della G. di una parte del pianerottolo comune doveva ritenersi illegittima perchè limitava l’usi di tale porzione da parte degli altri condomini.

Contro tale decisione la G. ricorre per cassazione con cinque motivi a cui resiste con controricorso la Immobiliare Margherita SS.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 116,246 e 247 c.p.c., criticando la Corte d’Appello per avere posto il problema dell’attendibilità dei testi di parte convenuta per i rapporti di familiarità tra le parti.

1.2 Con una seconda censura si denunzia sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione degli artt. 100,105,116,246 e 247 c.p.c., soffermandosi sulla attendibilità del teste Monti, coniuge della G. in regime di separazione dei beni e certamente non incapace di testimoniare.

1.3 Col terzo motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., con riguardo all’obbligo di motivazione, rilevando che la sentenza di appello che riforma quella di primo grado deve caratterizzarsi per un obbligo peculiare di motivazione, mentre nel caso di specie, i giudici del gravame si sono limitati a sostituire il proprio giudizio a quello del Tribunale sul valore delle testimonianze escusse.

1.4 Col quarto motivo la G. denunzia infine la violazione o falsa applicazione degli artt. 116 e 247 c.p.c., criticando la Corte d’Appello per avere sottoposto ad attenta valutazione le deposizioni dei testi di parte convenuta e trattato invece con estrema indulgenza quelle rese dai testi di parte attrice, incorrendo così in una palese disparità di valutazione.

2.1 Il primo, il secondo e il quarto motivo – che per il comune riferimento alla valutazione delle deposizioni dei testi di parte convenuta ben possono essere esaminati unitariamente – vanno dichiarati inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.), mentre il terzo si rivela infondato.

L’inammissibilità dei suddetti tre motivi nasce dal fatto che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, il giudice di appello non ha mai affermato che i testi della convenuta fossero incapaci di testimoniare e neppure che fossero inattendibili, ma ha solo posto sul tappeto il problema della attendibilità (per gli stretti legami familiari), evidenziando la necessità di una attenta valutazione delle loro deposizioni (v. sentenza, pag. 18 ultimo capoverso).

Le due deposizioni sono state ritenute non determinanti insomma, non per questioni di attendibilità, ma solo per la inidoneità delle circostanze riferite ai fini della prova dell’usucapione, come si vedrà a breve nella trattazione del terzo motivo.

2.2 L’infondatezza del terzo motivo discende dal fatto che il rigetto dell’eccezione di usucapione relativa al vano solaio distinto con la lettera N si fonda su una sola ratio decidendi, del tutto autonoma e logicamente sufficiente a sorreggere la decisione, e cioè sul rilievo che le deposizioni dei testi M. e G.V., rispettivamente marito e sorella della convenuta, “appaiono troppo scarne ed esigue perchè possano ritenersi provati in capo a G.M. il possesso ventennale (nonchè l’animus possidendi) di quest’ultima in relazione al solaio N” e sul fatto che la G. non ha insistito per sentire altri testi (v. pag. 19 sentenza impugnata ove l’affermazione è preceduta dal riepilogo delle circostanze riferite da i due testi e da una valutazione critica del loro contenuto sottolinenadosi in particolare che il M. si era limitato a riferire un solo episodio, il deposito di oggetto nel solaio di cui non ha saputo specificare il minimo particolare, confondendo anche le date, mentre G.V. aveva constatato il deposito di oggetti solo in una occasione, aggiungendo, per il resto, una dichiarazione de relato).

Tale ratio decidendi non è oggetto di specifica censura, non essendo certamente sufficiente opporre, come si legge nel terzo motivo a pag. 11, il contrario convincimento del Tribunale.

Può ritenersi quindi accertato il fatto decisivo nella lite sulla proprietà del vano solaio N e cioè il mancato assolvimento da parte della convenuta dell’onere probatorio, su di essa incombente, in ordine all’eccezione di usucapione per inidoneità delle circostanze riferite dai testi da essa addotti: perde così consistenza ogni ulteriore censura sulla “indulgenza” che la Corte milanese avrebbe mostrato nella valutazione della deposizione dei testi dell’altra parte (quarto motivo).

3 Resta da esaminare il quinto ed ultimo motivo con cui la G., dolendosi della ritenuta abusiva occupazione di porzione del pianerottolo al terzo piano, denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Dopo avere richiamato i passaggi motivazionali della sentenza di primo grado a lei favorevoli ed i principi generali sull’uso della cosa comune dettati dall’art. 1102 c.c., in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139, la ricorrente critica la Corte d’Appello per avere ritenuto vietata l’occupazione di una piccola porzione di pianerottolo insistendo sul fatto che pari uso non significa uso identico e contemporaneo e ricordando che, per giurisprudenza costante, un uso più intenso può ammettersi qualora sia compatibile con i diritti degli altri.

Il motivo è infondato.

In tema di condominio negli edifici, il disposto dell’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purchè non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone però che l’utilità, che il condomino intenda ricavare dall’uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima. (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 12310 del 07/06/2011 Rv. 618104; Sez. 6-2, Ordinanza n. 1062 del 18/01/2011 Rv. 616365). Il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 14107 del 2012 in motivazione; Sez. 2, Sentenza n. 1624 del 13/03/1982 Rv. 419457 Sez. 2, Sentenza n. 697 del 16/02/1977 Rv. 384271).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, ha dato atto che il suddetto pianerottolo serviva anche per accedere al superiore piano solai ed ha accertato che una porzione di esso è stata oggetto di appropriazione esclusiva mediante “erezione di una porta”; ha quindi concluso per la limitazione dell’uso da parte degli altri condomini e quindi per la illegittimità dell’iniziativa della G..

Come si vede, trattasi di tipico apprezzamento in fatto sulla materiale attrazione di porzione di bene comune nella proprietà esclusiva (e quindi sulla alterazione della sua destinazione), e tale accertamento non è stato neppure impugnato sotto il profilo del vizio di motivazione.

In conclusione il ricorso va respinto con addebito di ulteriori spese alla ricorrente.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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