Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21312 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 05/10/2020), n.21312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11710-2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI BERGAMO, in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA EMILIA 86 90, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CORAIN,

rappresentata e difesa dagli avvocati MATTEO LUZZANA, GIUSEPPE

ZONCA;

– ricorrente –

contro

G.E., N.C., B.P.,

G.G., G.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIA

CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOFFREDO GOBBI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato YVONNE MESSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 438/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 29/10/2014 r.g.n. 252/2014.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 29 ottobre 2014 la Corte d’appello di Brescia, per quel che qui interessa, respinge l’appello principale della ASL di Bergamo avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo n. 250/2014 che, in accoglimento del ricorso proposto, fra gli altri, da G.E. e dagli attuali controricorrenti tutti dipendenti a tempo indeterminato della ASL di Bergamo per effetto della stabilizzazione la L. 27 dicembre 2006, n. 296, ex art. 1, comma 519, ciascuno a seguito di numerosi rapporti a tempo determinato per la medesima categoria e lo stesso profilo professionale nei quali sono stati stabilizzati e con lo svolgimento delle stesse mansioni – ha riconosciuto la sussistenza del diritto rivendicato dai lavoratori alla progressione orizzontale richiesta e per l’effetto ha condannato la ASL a provvedere al relativo inquadramento nelle categorie indicate oltre che a corrispondere le conseguenti differenze retributive che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) i lavoratori erano stati esclusi dai due bandi per le progressioni orizzontali rispettivamente del 2007 e del 2010, per carenza del requisito dell’anzianità pregressa, mentre tenendo conto dell’anzianità maturata con i contratti a termine gli interessati avrebbero avuto dritto di giovarsi di entrambe le progressioni orizzontali suddette;

b) quindi, nel 2008 i lavoratori sono stati stabilizzati, ma senza il riconoscimento dell’anzianità maturata in forza dei contratti a termine sottoscritti, ai fini delle progressioni economiche orizzontali di cui al CCNL 7 aprile 1999, art. 35 e del CCIA 10 novembre 2009, sicchè sono stati inquadrati al livello iniziale della categoria retributiva di spettanza, come è incontestato;

c) la ASL sostiene che non sarebbe conferente la copiosa giurisprudenza in materia di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo determinato, in considerazione delle esigue risorse finanziarie disponibili per la stabilizzazione che imponevano di operare una selezione effettuata nella specie, in modo del tutto ragionevole, facendo riferimento all’anzianità di ruolo;

d) inoltre, la ASL rileva che per il bando del 2007 soltanto G.G. poteva vantare il richiesto requisito del triennio di servizio mentre per il bando del 2010 soltanto l’Azienda poteva discrezionalmente decidere di ampliare la platea dei beneficiari delle progressioni tenendo conto delle risorse disponibili;

e) l’appello della ASL ripropone, ai limiti dell’inammissibilità le medesime questioni sulle quali il primo giudice ha argomentato in modo esauriente e non aggredisce le relative argomentazioni, limitandosi a ribadire la ragionevolezza del criterio dell’anzianità di ruolo per distinguere il trattamento dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato;

f) in base a quanto statuito in molteplici sentenze dalla Corte di Giustizia UE al momento dell’assunzione a tempo indeterminato da parte di una PA di un lavoratore da tempo determinato alle dipendenze della medesima Pubblica Amministrazione al dipendente deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorchè le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine;

d) nella specie non ricorrono le “ragioni oggettive” che secondo la CGUE possono giustificare l’eventuale diversità di trattamento dei lavoratori anzidetti, in quanto le mansioni svolte sono sempre rimaste le medesime e sono del tutto comparabili con quelle dei lavoratori a tempo indeterminato;

e) d’altra parte, le ragioni addotte dalla ASL non hanno alcuna correlazione logica con la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, che risponde ad una finalità di risparmio della spesa che è del tutto estranea alle “ragioni oggettive” nell’accezione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;

f) quanto alla progressione del 2007, come osservato dal primo giudice, non si può invocare il CCIA del 28 luglio 2000 in quanto non vi è stato un vero bando ma solo un accordo in base al quale la progressione è stata concessa a tutti coloro che avevano il requisito da considerare discriminatorio dei due anni di permanenza nella posizione economica in godimento, per effetto di un rapporto a tempo indeterminato;

g) nel caso della progressione del 2010 invece è stata stilata una graduatoria, tra coloro che avevano il requisito dell’anzianità richiesto, ma poi nei fatti il livello retributivo superiore è stato dato a tutti i partecipanti;

h) il primo giudice ha valutato la posizione dei singoli lavoratori sotto il profilo della perdita di chance, sottolineando che tutti gli inclusi nella graduatoria sono risultati vincitori, senza che la ASL abbia mai sostenuto che i fondi a disposizione erano finiti;

che avverso tale sentenza la ASL di Bergamo propone ricorso, illustrato da memoria e affidato a quattro motivi, al quale oppongono difese G.E., G.F., G.G., B.P. e N.C., con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso è articolato in quattro motivi, tutti espressamente riferiti alla progressione economica orizzontale bandita nel 2010;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità del procedimento e della sentenza con violazione degli artt. 99,112 e 156 c.p.c., nonchè dell’art. 1226 c.c., rilevandosi che in entrambi i gradi del giudizio senza alcuna motivazione la domanda degli attuali controricorrenti è stata qualificata azione per il risarcimento del danno da perdita di chance mentre essa era stata formulata come domanda di riconoscimento di fasce retributive successive a quella attribuita con conseguente richiesta di condanna della ASL al risarcimento dei conseguenti danni;

che si precisa che il giudice di primo grado non aveva motivato sul punto e si era limitato ad applicare, in via analogica, il regime della prova proprio del danno da perdita di chance, liquidando il danno in modo coerente con tale impostazione, soltanto la Corte d’appello ha espressamente qualificato la domanda nei suddetti termini, quindi è da escludere che sul punto si sia formato il giudicato interno sulla base della sentenza di primo grado;

che si aggiunge che le domande di risarcimento del danno da perdita di chance e di risarcimento del danno per mancato avanzamento in carriera sono differenti anche con riguardo al regime dell’onere della prova, come risulta dalla giurisprudenza di legittimità;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del CCNL 7 aprile 1999, art. 35, comma 4, del Comparto Sanità e s.m.i., sostenendosi che la Corte territoriale avrebbe violato la suindicata disposizione laddove ha collegato inscindibilmente l’incremento del numero dei beneficiari del bando del 2010 alla disponibilità di risorse finanziare da parte della ASL anzichè collegarlo all’emanazione di una nuova graduatoria;

che con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di ripartizione dell’onere della prova dei fatti su cui si fonderebbe il danno da perdita di chance, non avendo i lavoratori dimostrato nè la concreta possibilità di essere positivamente selezionati nella procedura del 2010 nè l’esistenza delle risorse finanziarie richieste dalla contrattazione collettiva, circostanze da configurare non come fatti modificativi o estintivi del diritto azionato ma come requisiti del fatto costitutivo delle pretese azionate;

che con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., contestandosi che il ragionamento del primo giudice – che non è chiaro se la Corte d’appello abbia condiviso – secondo cui il diritto alla progressione economica del 2010 degli attuali controricorrenti sarebbe stato dimostrato in via presuntiva dall’avvenuta ammissione dei dipendenti che avevano presentato la domanda, rispettivamente, nell’ambito della categoria B e della categoria C mentre gli interessati non erano stati ammessi alla selezione, sicchè per il riconoscimento del suddetto diritto la ASL avrebbe dovuto essere obbligata a redigere una nuova graduatoria e, di conseguenza, il contraddittorio avrebbe dovuto essere esteso a tutti i dipendenti ammessi nelle suindicate due categorie;

che il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte;

che, preliminarmente, va sottolineato che la ASL senza impugnare la statuizione della Corte d’appello secondo cui: “l’appello della ASL ripropone, ai limiti dell’inammissibilità le medesime questioni sulle quali il primo giudice ha argomentato in modo esauriente e non aggredisce le relative argomentazioni, limitandosi a ribadire la ragionevolezza del criterio dell’anzianità di ruolo per distinguere il trattamento dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato” nel presente ricorso censura, principalmente, statuizioni contenute nella sentenza di primo grado che non trovano riscontro in quella di appello;

che simili censure risultano, di per sè, inammissibili in quanto è jus receptum che con il ricorso per cassazione non possono essere proposte – e sono da dichiarare, perciò, inammissibili – censure rivolte specificamente contro la sentenza di primo grado, anzichè contro quella di appello, atteso che oggetto del suddetto ricorso è – al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge normalmente la sentenza di secondo grado (vedi, per tutte: Cass. 15 marzo 2006, n. 563; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 21 marzo 2014, n. 6733);

che il suddetto inconveniente si riscontra in vari motivi del ricorso, a partire dal primo motivo;

che, infatti, la contestata qualificazione della domanda quale richiesta di risarcimento da perdita di chance, come risulta dalla sentenza impugnata, è stata fatta dal Tribunale di Bergamo mentre la Corte d’appello si è limitata a prenderne atto (in assenza di censure sul punto), affermando semplicemente che: “il primo giudice ha valutato la posizione dei singoli lavoratori sotto il profilo della perdita di chance” (aggiungendo che tale configurazione in appello non era stata contestata dalla ASL);

che, d’altra parte, è indubbio che se – come riferisce la ricorrente – il giudice di primo grado aveva applicato, in via analogica, il regime della prova proprio del danno da perdita di chance e liquidato il danno in modo coerente con tale impostazione ciò vuol dire che aveva fatto applicazione della relativa disciplina sicchè le conseguenti statuizioni avrebbero dovuto essere impugnate se non condivise;

che, peraltro, la formulazione del primo motivo è di per sè inammissibile in quanto in sede di legittimità, occorre tenere distinta l’ipotesi in cui venga lamentato l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione data alla domanda stessa, ritenendosi in essa compresi, o esclusi, alcuni aspetti della controversia in base ad una considerazione non condivisa dalla parte: mentre nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e la Corte di cassazione ha il potere – dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale, nell’altro caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione della sua ampiezza e del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, alla Corte è devoluto soltanto il compito di effettuare il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass. 6 maggio 2015, n. 9011; Cass. 26 aprile 2001, n. 6066; Cass. 9 giugno 2003, n. 9202; Cass. 20 agosto 2003, n. 12255; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079; Cass. 14 marzo 2006, n. 5491; Cass. 26 giugno 2007, n. 14751; Cass. 30 giugno 1986, n. 6367);

che, nella specie, la censura non è proposta sotto tale ultimo profilo;

che anche il secondo motivo è inammissibile perchè le censure ivi proposte nella sostanza si riferiscono alla sentenza di primo grado;

che a ciò può aggiungersi che la denuncia di violazione da parte della Corte territoriale del CCNL 7 aprile 1999 cit., art. 35, comma 4, per l’affermato collegamento dell’incremento del numero dei beneficiari del bando del 2010 alla disponibilità di risorse finanziare da parte della ASL (anzichè all’emanazione di una nuova graduatoria) appare una censura priva di decisività – e quindi di interesse alla relativa prospettazione – visto che la ASL non ha contestato la statuizione della Corte d’appello secondo cui la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, sostenuta dalla Azienda, risponde ad una finalità di risparmio della spesa che è del tutto estranea alle “ragioni oggettive” nell’accezione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;

che quest’ultima affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la sentenza sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata;

che tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

che il terzo e il quarto motivo (da trattare insieme) sono inammissibili perchè oltre a contestare il governo delle prove che è di competenza del giudice del merito, lo fanno con argomentazioni che risultano collegate alla contestazione della qualificazione della domanda come effettuata dal primo giudice (e prospettata nel primo motivo) in quanto tali risultano inammissibili per le medesime ragioni già indicate a proposito del primo motivo;

che, in sintesi, il ricorso è inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il relativo versamento risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6000,00 (seimila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

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