Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21311 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 05/10/2020), n.21311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26450-2014 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA – I.N.A.F., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59,

presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALBERTO PICCININI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 748/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/07/2014R.G.N. 133/2013.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 31 luglio 2014 la Corte d’appello di Bologna respinge l’appello dell’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica avverso la sentenza del locale Tribunale n. 1335/2012, di accoglimento del ricorso della Dott.ssa M.A. – dipendente con il profilo di ricercatore di terzo livello professionale a decorrere dal 2 dicembre 2002 con una serie di contratti a termine presso l’Istituto di Astrofisica e Fisica Cosmica (IASF) struttura di ricerca dell’INAF e poi dall’1 gennaio 2005 presso l’INAF stesso, nel quale è stato inglobato lo IASF insieme con altri istituti di ricerca – volto ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio, a partire dalla data di inizio del primo contratto a termine con conseguente condanna dell’Ente convenuto al pagamento delle differenze contributive con accessori di legge;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la M. ha partecipato con esito positivo alla procedura di stabilizzazione attuata dall’INAF della L. n. 296 del 2006, ex art. 1, comma 519, con effetto dal 30 maggio 2008 e inquadramento come ricercatrice III livello a tempo indeterminato, I fascia retributiva del CCNL del Comparto delle Istituzioni ed Enti di Ricerca e Sperimentazione;

b) in tal modo ha subito l’azzeramento del passaggio di fascia stipendiale che le era stato precedentemente attribuito del CCNL di Comparto del 5 marzo 1998, ex art. 4, comma 5;

c) occorre fare applicazione di quanto statuito – con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani – dalla Corte di Giustizia UE nelle sentenze 18 ottobre 2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7 marzo 2013, causa C393/11, Bertazzi, secondo cui al momento dell’assunzione a tempo indeterminato da parte di una PA di un lavoratore da tempo determinato alle dipendenze della medesima Pubblica Amministrazione deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorchè le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine;

d) nella specie non ricorrono le “ragioni oggettive” che secondo la CGUE possono giustificare l’eventuale diversità di trattamento dei lavoratori anzidetti, in quanto le mansioni svolte sono sempre rimaste le medesime e sono del tutto comparabili con quelle dei ricercatori a tempo indeterminato, inoltre come affermato nelle richiamate sentenze della CGUE l’obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico non può mai giustificare una normativa nazionale che escluda totalmente ed in ogni circostanza la valorizzazione del servizio prestato in qualità di lavoratore a tempo determinato;

e) il mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della P.A. potrebbe, in linea di principio, giustificare una diversità di trattamento, ma nella presente vicenda tale argomento non è decisivo perchè la procedura di stabilizzazione de qua è stata prevista dal legislatore proprio per consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato il cui rapporto avesse una certa durata e che avessero superato delle procedure selettive (all’inizio del rapporto oppure ai fini della stabilizzazione);

e) d’altra parte, quanto alla c.d. formazione presupposta, nel Regolamento del personale dell’INAF non vi è alcuna disposizione che faccia riferimento ad una attività di ricerca almeno triennale per l’ordinario reclutamento di ricercatori e tecnologi, nessuna differenza si riscontra in merito alle modalità di assunzione (visto che tutti i ricercatori possono essere assunti per selezione pubblica oppure per chiamata diretta), neppure vi sono differenza in ordine alla funzione dell’attività lavorativa, in quanto tutte le attività di ricerca si svolgono su progetti specifici sulla base di un piano triennale predisposto dal Consiglio di amministrazione dell’Istituto e approvato dal Ministero;

che avverso tale sentenza l’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso affidato ad un unico motivo, al quale oppone difese la Dott.ssa M.A., con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/CE, dell’allegato Accordo quadro CES UNICE e CEEP e di numerose altre disposizioni legislative e del CCNL del “Comparto di Ricerca”, sostenendosi, in sintesi, che le peculiarità del settore della ricerca escluderebbero il carattere discriminatorio del mancato riconoscimento della progressione economica – nei termini statuiti dalla Corte d’appello – nei confronti dei lavoratori a tempo determinato;

che si aggiunge che tale specificità è stata presa in considerazione dalla Contrattazione collettiva con riferimento all’anzianità di servizio che si ribadisce quanto già rilevato nel giudizio di appello in merito alla non comparabilità della situazione del ricercatore a tempo determinato a quella del ricercatore a tempo indeterminato per tre ragioni: la cd formazione presupposta, le modalità di assunzione e la funzione dell’attività lavorativa svolta;

che si sostiene che tutte queste ragioni giustificherebbero la previsione secondo cui alle fasce di anzianità corrisponde il riconoscimento di una esperienza “spendibile” in una ricerca diversa, senza dimenticare i limiti di spesa da rispettare per le stabilizzazioni;

che il ricorso va respinto;

che – anche volendo ritenere che la denunciata violazione di legge sia argomentata con riferimento alla sentenza impugnata, pur permanendo delle incertezze al riguardo dalla lettura del ricorso – comunque deve essere sottolineato che questa Corte si è già pronunciata sulla questione, che qui viene in rilievo, del riconoscimento dell’anzianità maturata sulla base di contratti a termine dai dipendenti del C.N.R. e di altri enti di ricerca, successivamente stabilizzati ai sensi della L. n. 296 del 2006, ed ha affermato che in tal caso al lavoratore “deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorchè le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo” (Cass. n. 27950 del 2017; negli stessi termini Cass. n. 7118 del 2018; Cass. 19 febbraio 2020, n. 4195 nonchè Cass. nn. 3473 e 6146 del 2019 queste ultime in tema di personale stabilizzato alle dipendenze dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica e altre);

che il Collegio intende dare continuità a tale consolidato orientamento e nel presente ricorso non sono offerti argomenti idonei per superarlo;

che, pertanto, il ricorso deve essere respinto;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che nulla va disposto con riguardo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, non potendo tale normativa trovare applicazione nei confronti dello Stato e delle Amministrazioni ad esso parificate, le quali, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo, come accade per l’Amministrazione ricorrente (vedi, per – tutte, in tal senso: Cass. SU 8 maggio 2014, n. 9938; Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

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