Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21310 del 20/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/10/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 20/10/2016), n.21310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27352-2010 proposto da:

C.L., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

ANTONINI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO NUNZI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati MAURO RICCI, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, CLEMENTINA

PULLI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.L., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

ANTONINI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO NUNZI, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 775/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/06/2010 R.G.N. 569/2009; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2016 dal Consigliere

Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

incidentale, assorbito il ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18.5 – 8.6.2010 la Corte d’appello di Firenze ha accolto parzialmente l’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Livorno che aveva riconosciuto a C.L. il diritto al beneficio della rivalutazione contributiva L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8, sulla base del coefficiente moltiplicatore 1,5 per il periodo novembre 1972 – febbraio 1986 di esposizione all’amianto e, per l’effetto, ha ritenuto applicabile il coefficiente 1,25 introdotto dalla nuova normativa ai fini della predetta rivalutazione.

La Corte territoriale ha escluso che il C. fosse decaduto dalla possibilità di invocare il predetto beneficio, in quanto ad una prima domanda amministrativa del 29.12.1995, dopo la quale era stato incardinato un procedimento giurisdizionale conclusosi con sentenza dichiarativa della decadenza, aveva fatto seguito una seconda domanda amministrativa del 13.6.2005. Inoltre, secondo la Corte di merito, la disciplina applicabile ai fini della determinazione del coefficiente di rivalutazione era quella della nuova normativa nel cui vigore era stata presentata la seconda domanda. Per la cassazione della sentenza propone ricorso principale il C. con due motivi, al quale resiste l’Inps con controticorso. A sua volta, l’istituto previdenziale deposita ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., al cui accoglimento si oppone il ricorrente principale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso principale il C. si duole della violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 9 e art. 13, comma 8, come modificata dalla L. 4 agosto 1993, n. 271, e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47 convertito con modifiche dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 e successive integrazioni, nonchè della L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132. Assume il C. che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, nel suo caso trovava applicazione il più vantaggioso coefficiente 1,5, posto che con la successiva L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132, era stato previsto che continuava ad applicarsi la normativa previgente anche a coloro che avessero maturato alla data del 2 ottobre 2003 il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8. Invero, il medesimo ricorrente chiarisce che in sede di appello aveva documentato di aver conseguito il diritto a pensione con decorrenza dal mese di novembre del 1996 e, quindi, alla suddetta data del 2 ottobre 2003 aveva maturato il diritto al conseguimento del beneficio richiesto, in quanto già titolare di trattamento pensionistico, per cui nessuna rilevanza poteva assumere la circostanza della proposizione nel 2005 della domanda amministrativa. Inoltre, il fatto che esso ricorrente aveva inoltrato la domanda di riconoscimento all’Inail sin dal 1996 consentiva di far ritenere applicabile in suo favore la disposizione di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132, che prevedeva espressamente l’applicabilità dell’originaria disciplina della L. n. 257 del 1992 anche a coloro che avevano inoltrato domanda all’Inail in data antecedente al 2.10.2003.

Col secondo motivo, proposto per violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., anche con riferimento al D.L. n. 269 del 2003, art. 47 convertito dalla L. n. 326 del 2003, ed alla L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 25, il ricorrente principale si duole della disposta compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, sostenendo che non vi era stata soccombenza reciproca, posto che la Corte d’appello aveva parzialmente modificato la sentenza di primo grado solo nella parte concernente l’individuazione del coefficiente da applicare ai fini della rivalutazione contributiva, senza aver nemmeno esplicitato i giusti motivi che l’avevano indotta ad adottare la compensazione integrale.

Da parte sua l’INPS deduce, con l’unico motivo del ricorso incidentale, la violazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6 convertito nella L. 1 giugno 1991, n. 106, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, contestando che alla data di proposizione del ricorso giudiziario del 28.5.2007 non fosse ancora maturata la decadenza triennale ed obiettando che non era condivisibile quanto ritenuto nell’impugnata sentenza in ordine al fatto che la decorrenza del relativo termine fosse da individuare nella seconda delle due domande amministrative, vale a dire quella 13 giugno 2005 anzichè quella del 29 dicembre 1995. Sostiene, Infatti, la difesa dell’ente previdenziale che il termine di decadenza sostanziale di carattere pubblicistico di cui trattasi doveva computarsi a decorrere dalla prima domanda amministrativa, per cui all’atto della proposizione della domanda giudiziaria lo stesso era già scaduto, non potendo operare una sua reviviscenza per effetto della seconda domanda amministrativa, allorquando il diritto da azionare era già pregiudicato.

Osserva la Corte che va trattato in via preliminare il ricorso incidentale dell’Inps in quanto lo stesso implica la risoluzione della questione dirimente della decadenza dal diritto oggetto di causa, diversamente dal ricorso principale che verte su questioni di carattere consequenziale che presuppongono l’esistenza dello stesso diritto.

Orbene, il ricorso Incidentale dell’Inps è fondato.

Invero, la funzione della decadenza sostanziale è quella di tutelare la certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti sui bilanci pubblici (cfr, ex plurimis, Cass SU, n. 12718/2009, in motivazione) e tale funzione (e, quindi, la stessa concreta utilità della predisposizione di un meccanismo decadenziale) verrebbe irrimediabilmente frustrata ove si ritenesse che la semplice riproposizione della domanda consentisse il venir meno degli effetti decadenziali già verificatisi.

Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (Cass. Sez. 6 – L., Ordinanza n. 8926 del 19.4.2011) affermando che “in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 la proposizione, in epoca posteriore alla maturazione della decadenza, di una nuova domanda diretta ad ottenere il medesimo beneficio previdenziale (nella specie, la rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto) è irrilevante ai fini del riconoscimento della prestazione posto che l’istituto mira a tutelare la certezza delle determinazioni concernenti l’erogazione di spese gravanti sui bilanci, che verrebbe vanificata ove la mera riproposizione della domanda determinasse il venire meno degli effetti decadenziali già verificatisi.” (in senso conf. v. Cass. sez. 6 – L., Ordinanza n. 311 del 12/1/2016).

Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte, decidendo numerose analoghe controversie (cfr., In particolare, Cass. sez. 6 – L., Ord. n. 7934/2014, Cass. sent. n. 12685 del 2008 e nn. 3605, 4695 e 6382 del 2012; ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012, n.27148 del 2013), si è espressa affermando il principio che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992) trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione.

Secondo le richiamate decisioni, infatti, l’art. 47 citato, per l’ampio riferimento fatto alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, comprende tutte le domande giudiziarie In cui venga in discussione l’acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso, nella previsione di legge, anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale, all’evidenza, incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

In pratica, con la domanda per cui è causa non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici e, dunque, intimamente collegato alla pensione, in quanto strumentale ad agevolarne l’accesso (ovvero, nel caso dei già pensionati, ad ottenerne un arricchimento, ove la contribuzione posseduta sia inferiore al tetto massimo dei quarant’anni), è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) – in base ai criteri ordinari – il diritto al trattamento pensionistico.

Detti presupposti (esposizione all’amianto e relativa durata) sono fatti la cui esistenza è conosciuta soltanto dall’interessato, che costui è tenuto a portarli a conoscenza dell’ente onerato dell’applicazione del moltiplicatore contributivo attraverso un’apposita domanda amministrativa, necessaria, quindi, anche nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito nella L. n. 326 del 2003), che ne ha addirittura sanzionato la mancata presentazione entro il termine ivi previsto con la decadenza dal diritto al richiesto beneficio (v., ex multis, Cass. sez. lav. n. 11400/2012).

E’ opportuno anche rilevare che dal sistema è ricavabile l’onere degli interessati di proporre all’istituto gestore dell’assicurazione pensionistica la domanda di riconoscimento del beneficio per esposizione all’amianto, nonostante incertezze lessicali del legislatore (cfr. Cass. 15008/2005; Cass. 1629 e 9348 del 2012).

Pertanto, il ricorso incidentale va accolto, mentre resta assorbito l’esame di quello principale che presuppone l’esistenza del diritto travolto dalla rilevata decadenza. Ne consegue che l’impugnata sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, stante l’intervenuta decadenza dall’azione giudiziaria del 28.5.2007 rispetto alla domanda amministrativa del 29.12.1995, lo stesso va deciso nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con rigetto dell’originaria domanda.

Il consolidarsi solo in epoca successiva al deposito del ricorso di primo grado della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata giustifica la compensazione delle spese dei due gradi del giudizio di merito.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono, invece, la soccombenza di C.L. e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso incidentale, dichiara assorbito il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2100,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016

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