Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2131 del 28/01/2011

Cassazione civile sez. III, 28/01/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 28/01/2011), n.2131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA AGRICOLA TORRE DI BUCCI DI DE PALMA GIUSEPPE &

MAGGIALETTI

MAURO SNC (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti pro-

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso

lo studio dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentata e difesa dagli

avvocati FRANZESE GIOVANNI, DE ZIO GIUSEPPE, giusta mandato speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 360/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

25/3/09, depositata il 06/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2011 dal Presidente Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

e’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decreto 26 ottobre 2005, notificato il successivo 18 novembre 2005 il presidente della sezione specializzata agraria presso il tribunale di Bari ha ingiunto alla Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. il pagamento della somme di Euro 20.658,27 in favore di M.D., a titolo di canoni di affitto – per il periodo tra il 23 febbraio 1997 e il 22 febbraio 2005 – di un fondo agricolo in agro di (OMISSIS).

Con atto 9 dicembre 2005 la Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. ha proposto opposizione, innanzi alla sezione specializzata, agraria del tribunale di Bari avverso tale decreto facendo presente che costituita – in data 17 febbraio 1997 con la partecipazione anche di M.G. – la Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. la stessa, in data 23 febbraio 1997 aveva stipulato, con il socio M., contratto di affitto di azienda agricola di un complesso in agro di (OMISSIS), convenendo – con separata scrittura – di corrispondere, in luogo del canone d’affitto il 20% dell’utile aziendale in favore di M.D. (padre di M.G.) e eccependo la incompetenza della sezione specializzata agraria a conoscere della controversia, non sussistendo, nella specie una morosita’, nel pagamento di canoni di affitto, ma un inadempimento contrattuale tra soggetti diversi dal concedente e dall’affittuario, atteso che non si era mai costituito un rapporto agrario tra la societa’ opponente e M.D., non legittimato a pretendere il pagamento in luogo del figlio.

Ha eccepito, altresi’, la societa’ opponente – da un lato – che il credito azionato non presentava i caratteri di certezza e liquidita’ – voluti dalla legge per l’emissione del decreto ingiuntivo opposto – in quanto (determinato sulla base di una opinabile interpretazione data dalla Corte di appello di Bari ad una scrittura inter partes in altro giudizio promosso dai M. nei confronti della societa’ per ottenere la restituzione del fondo, previa risoluzione del contratto di affitto, interpretazione secondo cui l’importo di L. 5 milioni (annui) costituiva il corrispettivo minimo garantito ai concedenti, dall’altro, che esisteva un rapporto di continenza e, comunque, di pregiudizialita’ tra l’altro giudizio instaurato dai M. per la risoluzione del contratto e il presente, il cui petitum doveva ritenersi ricompreso in quel giudizio di risoluzione del rapporto di affitto, da ultimo, che il credito di controparte ammontava, se del caso, al minore importo di L. 2 milioni annui, come previsto del contratto di affitto a suo tempo intervenuto tra le parti, che le annualita’ dovute erano sette e non otto, che la somma dovuta da essa concludente per canoni doveva essere compensata con il valore dei beni e delle attrezzature non ritirate al momento del rilascio del fondo.

Costituitosi in giudizio M.D. ha eccepito, in rito, la inammissibilita’ della opposizione perche’ spiegata con citazione anziche’ con ricorso e che, comunque, le ragioni della opposizione implicavano l’esame delle tematiche affrontate nel corso dei giudizi gia’ definiti innanzi al tribunale di Trani e alla la Corte di appello di Trani, sezione specializzata agraria, le cui pronunce implicavano la competenza di tale sezione a emettere il decreto opposto, stante il riconosciuto diritto di esso concludente a esigere il canone, nonche’ nel merito la infondatezza di tutte le altre difese nonche’ la improponibilita’, nei suoi confronti, della eccezione di compensazione.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adita sezione con sentenza 29 settembre – 29 novembre 2006 ha rigettato l’opposizione, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese.

Gravata tale pronunzia dalla Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., nel contraddittorio di M.D. che costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, la Corte di appello di Bari, sezione specializzata agraria con sentenza 25 marzo – 6 aprile 2009 ha rigettato l’appello con conferma della sentenza impugnata e condanna della societa’ appellante al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso – con atto 31 marzo 2010 la Azienda Agricola Torre di Bucci, di De Palma Giuseppe e Maggialetti Mauro s.n.c. affidato a 3 motivi.

Non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’intimato M.D..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione cosi’ come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – e’ stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380-bis; perche’ il ricorso sia deciso in camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c, precisa, nella parte motiva:

2. Con sentenza 16 settembre 2008 n. 23720, hanno evidenziato i giudici di secondo grado, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dalla Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. avverso la sentenza della stessa la Corte di appello di Bari, sezione specializzata agraria 27 novembre 2004 che (confermando la pronunzia del primo giudice) ha dichiarato la risoluzione del contratto di affitto inter partes per inadempimento della Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. e condannato la stessa al rilascio nonche’ al risarcimento dei danni quantificati in almeno L. 5 milioni all’anno (importo minimo garantito).

Sulla scorta di tale determinazione – oramai divenuta intangibile per effetto della sentenza del S.C. -hanno evidenziato quei giudici, e’ stato emesso il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio osservando, altresi’ che il primo motivo di appello, relativo alla eccepita incompetenza ratione materiae della sezione specializzata agraria a conoscere della controversia e’ infondato, atteso che la somma reclamata costituisce il canone dovuto per un contratto di affitto agrario e la circostanza che esso – in forza di accordo intervenuto con atto separato e collegato al contratto di affitto e in quest’ultimo richiamato – sia dovuto non al concedente ( M.G.) ma un terzo ( M.D.) non esclude il necessario collegamento tra la materia trattata e la competenza della sezione specializzata agraria, atteso che il pagamento del canone al terzo ha finalita’ solutoria della obbligazione assunta e costituisce, pertanto, modalita’ di adempimento del contratto di affitto.

3. La societa’ ricorrente censura nella parte de qua (per quanto e’ dato comprendere) la sentenza impugnata lamentando nullita’ della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4; violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 112, 633, 645 c.p.c., art. 1362 e 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e formulando – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il seguente quesito di diritto: dica la Suprema Corte di Cassazione se e’ nulla la sentenza in cui il giudice abbia confuso giudizi e domande indicando a sostegno della motivazione una sentenza che ha decisivo rispetto a diverso oggetto e, in ogni caso, se e’ legittimo modificare da parte del giudice in via autonoma il petitum e la causa petendi (ed in particolar modo in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) ed in tal caso ritenere sussistente una pronunzia ultra o extra petita; dica altresi’ se richiamare nella sentenza una decisione che appartiene ad un giudizio che, pur svoltosi tra le stesse parti, ha riferimento ad altro oggetto non costituisca violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 circa un fatto decisivo.

4. Il motivo prima ancora che manifestamente infondato (nella specie il giudice del merito ha, del tutto correttamente, tenuto presenti gli effetti, nel presente giudizio, del giudicato esterno costituito dalla precedente sentenza resa tra le stesse parti dalla stessa la Corte di appello di Bari sezione specializzata agraria in un giudizio che la stessa difesa della odierna ricorrente, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva definito cfr. lo svolgimento del processo presente nella sentenza impugnata legato con un rapporto di continenza con il presente o, comunque, pregiudiziale rispetto a questo) e’ inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. Il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 – che ha introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, l’art. 366 bis ancorche’ abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 e’ applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

Certo che la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione e’ stata pubblicata il 6 aprile 2009 e’ palese, in limine, la soggezione del presente ricorso alla disciplina del ricordato art. 366 bis c.p.c. 5.2. Come noto, dispone la norma da ultimo richiamata, che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilita’ con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’ la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

5. 3. Pacifico quanto precede si osserva i quesiti formulati dalla ricorrente al termine del primo motivo non pare conforme al modello delineato dall’art. 366-bis con conseguente inammissibilita’ del ricorso.

5.3.1. Il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) – infatti – deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilita’ del motivo, in conclusione, e’ condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 1 aprile 2009, n. 8463).

Non puo’, inoltre, ritenersi sufficiente – perche’ possa dirsi osservato il precetto di cui all’art. 366 bis – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dalla esposizione del motivo di ricorso ne’ che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie.

Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis c.p.c. secondo cui e’, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte e’ chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al d.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato.

In tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacche’ la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimita’, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008 nn. 28145 e 28143).

Contemporaneamente deve ribadirsi, al riguardo, che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, e’ inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poiche’ a norma dell’art. 366 bis c.p.c. la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, e’ palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimita’ in ordine alla fondatezza della censura cosi’ come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonche’ Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

5.3.2. Come gia’ ricordato sopra, giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilita’ con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’ la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – e’ fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorche’, cioe’, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: cio’ importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, e’ incontroverso che non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorche’ nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

5.4. Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie si osserva che il quesito che concludere il primo motivo del ricorso si esaurisce – in pratica -in affermazioni assolutamente astratte e in alcun modo collegate alla fattispecie, o, comunque, quanto ai profili di ricorso articolati ex art. 360 c.p.c., n. 5, questo ultimo non contiene la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

6. Ha ritenuto, ancora, la sentenza ora impugnata, – da un lato, che sussiste la legittimazione di M.D. a chiedere il pagamento del canone, atteso che nel contratto a favore di terzo, il diritto del terzo e’ autonomo rispetto a quello dello stipulante e puo’, pertanto, essere fatto valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessita’ dell’intervento in giudizio dello stipulante, facendo valere nei confronti di quegli il diritto alla realizzazione del suo credito (si richiama, al riguardo, l’autorita’ dell’insegnamento contenuto in Cass. 18 settembre 2008, n. 2844);

– dall’altro che infondato e’ il terzo motivo di appello, atteso che il pagamento di L. 2 milioni per n. 6 rate eseguito dalla societa’ appellante, oltre a essere inferiore all’importo accertato come dovuto, e’ stato eseguito a soggetto non legittimato (cioe’ a mani di M.G. e non del creditore della somma dovuta M.D.);

– da ultimo, quanto all’ultimo motivo di appello, e alle eccedenze di inventario ex art. 2561 c.c. queste non possono essere opposte in compensazione all’appellato atteso,, da un lato, che riguardavano il rapporto tra M.G. e la societa’ – e non quindi il dare e l’avere tra questa ultima e M.D., dall’altro, che risultava dalla corrispondenza intercorsa che M.G. aveva invitato la societa’ appellante a ritirare le strutture ancora giacenti nell’azienda dopo il rilascio e detta societa’ si era riservata di provvedervi, non appena avuta la disponibilita’ di una impresa specializzata per lo smontaggio delle attrezzature.

7. Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata lamentando:

– da una parte, violazione o falsa applicazione degli artt. 1411, 1362 e 2909 c.c. nonche’ 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il seguente quesito di diritto dica la Suprema Corte di cassazione se il contratto a favore del terzo previsto e regolato dall’art. 1411 c.c. sia ravvisabile nel caso in cui quest’ultimo partecipi alla sua negoziazione e determini, da solo, i patti a suo favore modificando, per di piu’, quelli precedentemente assunti dalle parti stipulanti secondo motivo;

– dall’altra, violazione o falsa applicazione degli artt. 1406, 1411, 1362, 2561, 2555, 2909 c.c., ed art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il seguente quesito di diritto dica la Suprema Corte di cassazione se il versamento anche parziale, del canone da parte di un contraente sia legittimo e comunque, se le somme rimesse in parziale adempimento, debbano essere imputate al corrispettivo; il contratto a favore del terzo debba intendersi, in via generale, ceduto a quest’ultimo in uno a tutti gli obblighi e diritti pattuiti nei documenti originari – anche distinti – non a quelli provenienti dalla legge terzo motivo.

8. Entrambi i riferiti motivi sono inammissibili.

In primis e’ palese alla luce delle considerazioni svolte sopra, in margine al primo motivo che gli stessi devono ritenersi, in pratica, privi del quesito di diritto previsto a pena di inammissibilita’ dall’art. 366 bis c.p.c. certo essendo che nei termini come formulati quelli sopra trascritti sono assolutamente generici e astratto, privi di qualsiasi riferimento alla concreta fattispecie e da considerarsi, per l’effetto, come non formulati.

Inoltre, si osserva che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione e’ preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non puo’ tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’, per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Certo quanto sopra e non controverso che il problema della non qualificabilita’ della separata scrittura con la quale era stato previsto che la societa’ affittuaria dovesse corrispondere il canone non al concedente ma al di lui padre non risulta in alcun modo trattata nella sentenza di appello e che, ancora, sin dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo la societa’ ora ricorrente aveva sempre eccepito che non vi era stata cessione al M. D. dell’intero contratto di affitto ma era previsto unicamente che costui ricevesse il canone pattuito, e che la ricorrente non deduce la omessa pronunzia, su specifici motivi di appello sia su una questione che sull’altra, e’ evidente – anche sotto tale ulteriore profilo – la inammissibilita’ delle deduzioni ora in esame.

Sia con riguardo al secondo e al terzo motivo, inoltre, si osserva che giusta quanto assolutamente pacifico, alla luce di una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui, ancora una volta, totalmente prescinde la difesa della parte ricorrente l’accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, come l’interpretazione degli atti negoziali, al pari dell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimita’ solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 13 novembre 2007, n. 23569).

In particolare, la interpretazione di un atto negoziale e’ tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg.

o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresi’, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta’, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

Pacifico quanto precede e’ palese – comunque – la inammissibilita’ dei due motivi in esame anche sotto tale profilo certo essendo che i motivi si risolvono nella apodittica pretesa di una lettura delle risultanze di causa diversa da quella data dai giudici di merito e quindi, nel sollecitare a questa Corte, un giudizio di fatto di terzo grado.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non e’ stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile. Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di lite di questo giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

nulla sulle spese di lite di questo giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di Consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2011

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