Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21309 del 14/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.14/09/2017),  n. 21309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORILIA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17613/2013 proposto da:

S.E. (OMISSIS), M.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso lo studio

dell’avvocato GENNARO LEONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato VIRGINIA COLETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MADDALENA SIGNORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3350/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Decidendo in sede di gravame la lite condominiale tra N.M. e i coniugi M.M. e S.E. (proprietari di immobili in (OMISSIS)), la Corte d’Appello di Roma, con sentenza 22.6.2012, per quanto di stretto interesse in questa sede, ha ordinato a questi ultimi, in parziale accoglimento dell’appello del N., di liberare l’area condominiale da essi occupata con autovetture, betoniere e materiale edile vario consentendo all’appellante N. la possibilità di accedere al fabbricato posto a lato nord e di aprire o consegnare le chiavi del cancello di accesso a detta area condominiale di disimpegno del fabbricato.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello – esaminato il contenuto dell’atto 17.2.1994 per notaio A. (con cui il N. aveva acquistato la sua unità immobiliare dai coniugi M. – S.), delle denunzie di variazione catastale a cui le parti avevano fatto rispettivamente riferimento, nonchè della relazione di consulenza tecnica svolta nel giudizio di primo grado davanti al Tribunale di Latina sez. dist. Gaeta – ha ritenuto che l’area cortilizia del fabbricato indicata come “area condominiale dei disimpegno” nel citato atto di vendita, va individuata con quella indicata al n. sub 1 della denunzia di variazione n. 179/94 del 13.1.1994 e non già in quella sub 12 della denunzia di variazione n. 687/94 del 4.2.1994.

Contro tale decisione i coniugi M. – S. ricorrono per cassazione con due motivi illustrati da memoria, a cui resiste con controricorso il N..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.pc.., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè illogica, insufficiente, incongrua e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio: ad avviso dei ricorrenti la Corte di merito, nell’individuare l’area comune con quella distinta sub n. 1 nella denunzia di variazione 179/94 del 13.1.1994 (e non già in quella sub 12 della denunzia di variazione 687/94 del 4.2.1994) non avrebbe tenuto conto della reale volontà dei contraenti e del loro comportamento complessivo. Inoltre, la precisazione, contenuta nell’art. 3, che l’area condominiale è “sufficiente” alle necessità di parcheggio era un ulteriore argomento per ritenere corretto il riferimento all’area distinta col n. sub 12.

1.2 Con una seconda censura si denunzia sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione alle disposizioni della L. n. 1150 del 1942 e della L.n. 765 del 1967, art. 18, nonchè illogica, insufficiente, incongrua e omessa motivazione su fatto decisivo per il giudizio. Soffermandosi sul contenuto della clausola n. 3 del contratto (contenente la dichiarazione di sufficienza dell’area comune alle necessità di parcheggio ai sensi della L. n. 1150 del 1941, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18 e successive modificazioni), i ricorrenti procedono ad una serie di calcoli aritmetici per concludere che l’area distinta col n. sub 12 rientrava in tale previsione, secondo gli standard previsti dalla citata normativa, mentre invece l’individuazione dell’area comune con la zona sub 1 avrebbe determinato una abnorme e più ampia possibilità di utilizzo dell’area circostante il fabbricato e che non era stata asservita ad area comune di parcheggio, a discapito dei venditori e degli altri aventi diritto.

2 Le due censure – che per il comune riferimento all’interpretazione dell’atto di vendita, si prestano a esame unitario – sono infondate.

Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (tra le tante, v. Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010 Rv. 613151; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012 Rv. 624346).

Nel caso di specie la duplice censura si limita a contrapporre una propria ricostruzione di quale fosse la volontà delle parti nella individuazione dell’area cortilizia comune, ma non è in grado di demolire la ragionevolezza e plausibilità del percorso argomentativo dei giudici di merito i quali, per ritenere che le parti in realtà intendessero riferirsi all’area sub 1 della denunzia di variazione 179/94 e non a quella sub 12 della denunzia 687/94 hanno valorizzato il fatto che l’atto di trasferimento, ai fini dell’individuazione del bene venduto al N. dai coniugi M., richiamava espressamente ed unicamente la denunzia di variazione 179/94 (in cui l’area cortilizia viene indicata con numero sub 1) senza menzionare invece la denunzia di variazione 687/94, peraltro priva di frazionamenti allegati al momento della sua presentazione (giusta attestazione del Direttore dell’Agenzia del Territorio).

La Corte di merito si è fatto carico altresì di confutare le deduzioni del CTU geom. D.S. circa la “possibilità” di una allegazione dell’elaborato ad altre due denunzie di variazioni (685/94 e 686/94), osservando che il CTU non era stato in grado di indicare in quale delle due denunzie fosse effettivamente allegato il frazionamento e (v. pag. 5) e che non risultava provata l’allegazione alle citate due denunzie di variazioni dell’elaborato in questione (quello a corredo della denunzia di variazione 687/94).

Trattasi di un percorso argomentativo, condivisibile o meno, ma logicamente coerente oltre che giuridicamente corretto, perchè finalizzato ad indagare la reale volontà dei contraenti attraverso l’interpretazione delle clausole del contratto di vendita, nel rispetto dei canoni di cui agli artt. 1362 c.c. e segg..

In conclusione il ricorso va respinto con addebito di ulteriori spese ai ricorrenti.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte cei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

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