Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21308 del 20/10/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21308 Anno 2015
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 1027-2013 proposto da:
PETRINI FABIO PTRFBA59H04H501Z, elettivamente domiciliato
in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 30, presso lo studio
dell’avvocato MASSIMO PARISELLA, che lo rappresenta e difende
giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– resistente –

avverso la sentenza n. 354/14/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 23/05/2012;

Data pubblicazione: 20/10/2015

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
uditi gli Avvocati Parisella Massimo e Cantelli Salvatore difensori del
ricorrente che si riportano agli scritti e chiedono l’ammissibilità del

udito l’Avvocato Gianmario Rocchitta difensore del controricorrente
che si riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 01027 sez. MT – ud. 22-07-2015
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ricorso;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

osserva:
La CTR di Roma ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate -appello proposto
contro la sentenza n. 270/46/2011 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso di
Petrini Fabio avverso avviso di accertamento (di genere “sintetico”), ai fini IRPEF e
Addizionali per l’anno 2005, a mezzo del quale è stato rideterminato in aumento il
reddito dichiarato per il periodo indicato, alla luce degli indici sintomatici di
maggiore capacità contributiva quali il possesso di plurime auto e di plurime
abitazioni principali e secondarie nonché gli incrementi patrimoniali i cui esborsi
correlati sono stati ripartiti pro quota di un quinto sugli anni antecedenti a detti
incrementi.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che —a differenza di quanto
ritenuto dal primo giudice- “solo in parte” il contribuente aveva assolto all’onere
probatorio che gli incombe per legge (essendo idonei gli indici addotti
dall’Amministrazione, quale —in specie- la sottoscrizione di atto pubblico contenente
la dichiarazione di pagamento, per quanto competa al contribuente fornire la prova
contraria della mera “apparenza” della capacità contributiva di cui ciò è sintomo), nel
senso che solo alcuni dei bonifici e degli assegni potevano considerarsi “idonei a
giustificare solo parte degli investimenti”, poiché corrispondenti con la data degli
investimenti, mentre per gli “altri” legittimamente l’Ufficio aveva proceduto a
“rideterminare la capacità contributiva”. In specie, in merito alla costruzione
dell’immobile di via Policrate, “ultimato nel 2009”, il mutuo addotto come
giustificazione risaliva all’anno 2007 mentre dalle fatture esibite si evinceva che le
spese risalivano all’anno 2005, così come in ordine agli “altri acquisti” le
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letti gli atti depositati,

movimentazioni bancarie risalivano “a date successive alle operazioni”. Quanto agli
atti di compravendita (dal padre del contribuente a quest’ultimo), poi, non vi era
corrispondenza “del pagamento” con la data di stipula degli atti, essendo posteriori al
pagamento le date dei bonifici e degli assegni erogati dai genitori. Secondo la CTR,
pertanto, la prova contraria “anche per questo rilievo non è stata fornita”, anche se la

quanto argomentato nel ricorso introduttivo e nei motivi di appello”.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si è difesa, se non con atto finalizzato alla conservazione della
facoltà di partecipazione all’udienza di discussione.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Con il primo motivo ed il secondo motivo di impugnazione (entrambi centrati sul
vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) la parte ricorrente si
duole in sostanza del fatto che il giudice del merito abbia fatto superficiale e
contraddittoria valutazione delle risultanze probatorie addotte (con specifica
correlazione di ogni dazione ad ogni atto di acquisto) a giustificazione delle
disponibilità economiche utilizzate per gli incrementi patrimoniali, siccome
rinvenienti dalle anticipazioni a titolo ereditario che il contribuente aveva ricevuto dai
facoltosi genitori; e si duole ancora che il giudicante abbia del tutto omesso di dare
rilievo alle specifiche circostanze (debitamente documentate in causa) della
registrazione a credito nei conti della società “Edilizia Valle Tevere” (risultante
venditrice in una delle cessioni di cui trattasi) e della somma di € 1.879.000,00
affluita solo l’anno successivo alla vendita sui conti correnti della società medesima,
con specifica registrazione del titolo di accredito, per quanto l’Ufficio non avesse
fatto nessuna contestazione a tale proposito.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, appaiono
fondati e possono essere accolti.

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stessa CTR riteneva che “in questa sede la parte abbia abbondantemente dimostrato

Invero, alla luce della autosufficiente ricostruzione degli elementi addotti in giudizio
dalla parte contribuente con funzione di prova contraria, emerge dalla stessa
considerazione della motivazione della sentenza impugnata (per questa ragione
trascritta con riferimento ai passaggi più sintomatici) che il giudice del merito ha
giustificato il proprio convincimento in maniera così contraddittoria da rendere anche

che con apprezzamento del tutto vago e superficiale degli elementi di prova aventi
idoneità dirimente ai fini della soluzione delle questioni controverse.
Ed invero, pur muovendo dal presupposto che il contribuente avesse, almeno “in
parte” (anche se non è chiaro per quale “parte”) fornito la dimostrazione di adeguate
disponibilità economiche “non imponibili”, ai fini degli incrementi patrimoniali
valorizzati dall’Agenzia, il giudicante non ne ha tratto le necessarie conseguenze,
defalcando detti incrementi patrimoniali dalla base imponibile utilizzata
dall’Agenzia, ma ha convalidato in toto l’accertamento ed il conseguente recupero di
imposta.
Né detto defalcamento è possibile effettuarlo come conseguenza “estrinseca” del
contenuto dispositivo della pronuncia, perché nel suo confuso e indiscriminato
argomentare il giudicante non consente che si possa in alcun modo sceverare quali
disponibilità ha ritenuto adeguatamente comprovate —nella loro valenza non
imponibile- e quale non, così come non ha chiarito quali (e neppure perché) bonifici
ed assegni potessero considerarsi “idonei a giustificare solo parte degli investimenti”,
così non consentendo (nell’interesse di entrambe le parti) di controllare se la
“corrispondenza” di data (ove mai ritenuta dirimente) esistesse effettivamente o
meno.
Per non dire poi dell’assoluta vaghezza con le quali il giudicante dà conto degli
elementi da cui ha tratto il proprio convincimento a proposito della costruzione
dell’immobile di via Policrate ed a proposito della corrispondenza cronologica
ritenuta necessaria tra “gli altri acquisti” e le movimentazioni bancarie, come per non
dire del fatto che neppure un argomento è speso per giustificare la ragione per la
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totalmente stridente la motivazione con il contenuto dispositivo della sentenza, oltre

quale detta corrispondenza si debba ritenere dirimente e non si possa invece supporre
che l’acquisto sia stato effettuato proprio in ragione della consapevolezza di poter
fidare sulla successiva disponibilità di fondi già da terzi promessi.
Per non dire poi delle contraddizioni (probabile frutto di disattenzione, che è anche
sintomo di scarsa considerazione e ponderazione della materia controversa) tra le

dal contribuente assolto e quelle in cui si dice invece che esso è stato fallito, come per
non dire della manifesta negligenza di dati istruttori qualificanti in riferimento a
singole poste considerate nell’avviso di accertamento (quali sono stati messi in luce
dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo di questo giudizio), essi stessi indice della
presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono
ritenersi allorquando sussiste un’adeguata incidenza causale (come nella specie
esiste), oggetto di possibile rilievo in cassazione, esigenza a cui la legge allude con il
riferimento al “punto decisivo” (in termini Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7635 del
16/05/2003).
Consegue da tutto ciò che si è evidenziato che la censura avente ad oggetto il vizio
motivazionale può essere accolta e che, per conseguenza, la controversia debba essere
rimessa al medesimo giudice di secondo grado che —in diversa composizione- tornerà
a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell’atto di appello proposto dall’Agenzia e
regolerà anche le spese del presente grado di giudizio.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta fondatezza.
Roma, 30 luglio 2014

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa nella quale ha
prospettato: a) che sarebbe medio tempore maturato giudicato interno ed esterno, di
nessuno dei quali si ravvisano i presupposti, da un canto perché del primo il rilievo
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parti letterali della motivazione nelle quali si assume che l’onere probatorio sia stato

del primo deve ritenersi tardivamente proposto con la memoria (che ha funzione
puramente illustrativa dei motivi già prospettati in ricorso) e d’altro canto perché,
quanto al secondo, non è prospettabile che possa avere effetto di giudicato esterno la
pronuncia riferita a contribuente diverso da quello qui considerato, in relazione a
accertamento di genere sintetico e rispetto al quale si discute —perciò stesso- della

riferibile esclusivamente al contribuente medesimo), sia pure per il tramite di indici
presuntivi che possono essere omologhi a quelli valorizzati in relazione ad altro
contribuente, ma certamente dotati di efficacia del tutto autonoma in riferimento a
ciascuno dei soggetti dei cui redditi si discute; b) nuovi motivi a sostegno
dell’assunto di invalidità dell’atto amministrativo impugnato (certamente innovativi
rispetto al contenuto del ricorso per cassazione e dello stesso ricorso introduttivo di
primo grado, alla luce di quanto nella predetta memoria si assume), e cioè la
contestazione del “potere di firma” in capo al soggetto firmatario dell’atto per cui è
lite, tale dott. Di Vizio Loreto Lucio, “siccome incaricato di funzioni dirigenziali e
non dirigente a seguito di concorso pubblico”, motivi che meritano appena un cenno
per rilevarne l’assoluta inammissibilità, alla luce della loro concettuale
inammissibilità. Quand’anche si trattasse, invero, di argomenti deducibili —secondo
l’implicito assunto di parte ricorrente- indipendentemente dalle preclusioni che
regolano il rito tributario (artt.18 e 24; art.57 del D.Lgs.546/1992), essi sarebbero
stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito di cassazione,
non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che
costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti di parte ricorrente, il cui onere
di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto ed
imprescindibile;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.

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capacità contributiva soggettivamente connotata (e perciò di un thema decidendum

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR
Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente
giudizio.
Così deciso in Roma il 22 luglio 2015

Il esid te

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