Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21308 del 09/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 21308 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 1748-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

2249

BRIGANTI

ANNA

RITA

C.F.

BRGNRT77E48H501S,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso
lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO,

che la

Data pubblicazione: 09/10/2014

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

8188/2007 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 01/02/2008 R.G.N. 381/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BUFFA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza del 19/06/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO

1. Con sentenza 1.2.08, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza
18.1.05 del Tribunale della stessa sede, che aveva dichiarato la nullità del termine
apposto al rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 3.5.99 al 31.5.99 (stipulato
sulla base delle previsioni del contratto collettivo del 1994), ed ha condannato il
datore a corrispondere le retribuzioni dal 22.4.03 sino all’effettiva riammissione in
servizio.
2. In particolare, ha ritenuto: che alla data di stipula del contratto di lavoro -stipulato
dopo il limite temporale del 27.4.1998 posto della legge n. 56/87- non vi erano le
condizioni individuate dalla contrattazione collettiva per l’apposizione del termine
al contratto di lavoro in deroga alle disposizioni di legge e che il richiamo nel
contratto individuale all’introduzione di nuovi processi produttivi non era
sufficiente a giustificare il termine in quanto generico; che non era possibile far
discendere dalla mera inerzia delle parti la volontà negoziale di risolvere il
contratto di lavoro; che al lavoratore competevano le retribuzioni dalla data di
costituzione in mora (nella specie, lettera raccomandata recante richiesta di
riammissione in servizio).
3. Avverso tale sentenza propone ricorso Poste italiane s.p.a. per cinque motivi;
resiste la lavoratrice con controricorso, illustrato da memoria.
4. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli articoli 1372, 1175,
1375, 2697 cod. civ., per aver la sentenza impugnato trascurato di attribuire
rilevanza di mutuo consenso alla inerzia del lavoratore per un periodo di oltre 3
anni e mezzo nell’impugnare il termine unico apposto a contratto unico, avente
breve durata, nonostante la percezione del TFR, attribuendo al datore di lavoro
l’onere di provare le circostanze atte a dimostrare lo scioglimento del rapporto.
5. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione della sentenza
per non aver questa dato corso alla richiesta di esibizione e di informazioni, al fine
di dimostrare il reperimento da parte del lavoratore di altra occupazione e la
cessazione del precedente rapporto.
6. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione
dell’articolo 23 legge n. 56 del 1987, 8 del CCNL 26.11.94 nonché di altri accordi
sindacali, in connessione con l’articolo 362 cc, per avere la sentenza impugnata
trascurato che la legittimità del ricorso al termine era desumibile dal
comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto collettivo, espresso
in particolare da vari accordi ricognitivi del carattere perdurante della
ristrutturazione aziendale.
7. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione della sentenza nella
parte in cui afferma l’esistenza di un limite temporale per la stipula di contratti a
tempo determinato senza tener conto del comportamento delle parti successivo
alla stipula del contratto collettivo.
8. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce violazione degli articoli 1206, 1200,
1217, 1219, 2094, 2099 cod. civ., per avere la sentenza impugnata ritenuto la
notifica del ricorso quale atto di costituzione in mora, sebbene nella mera
impugnativa del termine non poteva essere ravvisata l’offerta delle energie

Udienza 19 giugno 2014, causa n. 30

9. Preliminare sul piano logico è l’esame dei motivi terzo e quarto di ricorso, che
possono essere esaminati congiuntamente: essi sono infondati. Premesso che
nella specie si tratta della valutazione della legittimità dell’apposizione del termine
-sulla base delle previsioni contrattuali collettive del 1994- ad un contratto di
lavoro successivo al 30 aprile 1998, questa Corte ha già affermato in più occasioni
(tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 28450 del 28/11/2008; Sez. L, Sentenza n. 20608
del 01/10/2007; Sez. L, Sentenza n. 7745 del 14/04/2005), e da ultimo anche ai
sensi dell’art. 360 bis comma 1 cod.proc.civ. (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24281 del
18/11/2011) che, in materia di assunzione a tempo determinato di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16
gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali,
fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità
delle assunzioni a termine cadute dopo 30 aprile 1998 per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1
della legge 18 aprile 1962 n. 230; si è affermato inoltre (Sez. 6 – L, Ordinanza n.
23120 del 16/11/2010) che l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel
consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di
legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha consentito il ricorso
ad assunzione di personale straordinario nei soli limiti temporali previsti dalla
contrattazione collettiva, con conseguente esclusione della legittimità dei contratti
a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresì escluso che le parti sociali,
mediante lo strumento dell’interpretazione autentica delle vecchie disposizioni
contrattuali ormai scadute (volta ad estendere l’ambito temporale delle stesse),
possano autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi
per effetto della durata in precedenza stabilita, tanto più che il diritto del
lavoratore si era già perfezionato e le organizzazioni sindacali non possono
disporre dello stesso.
La sentenza impugnata si è
10.11 primo motivo di ricorso è del pari infondato.
infatti attenuta al principio sulla base del quale questa Corte (Sez. L, Sentenza n.
20390 del 28/09/2007; Sez. L, Sentenza n. 23554 del 17/12/2004; Sez. L,
Sentenza n. 26935 del 10/11/2008), in altre occasioni relativa a controversia
analoga alla presente, ha confermato le sentenze di merito che avevano
considerato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza insufficiente a ritenere
sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso: secondo tale
principio, cui va data continuità, affermato dalla Corte anche ai sensi dell’art. 360
bis, comma 1, cod. proc. civ. (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16932 del 04/08/2011), nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa

lavorative da parte del lavoratore.

12.11 secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto relativo a richieste
istruttorie generiche ed esplorative su fatti non rilevanti e non precisati, mancando
altresì l’indicazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio (non potendo
essere tale il rigetto dell’istanza istruttoria ma al più l’oggetto di questa).
13. Quanto al risarcimento del danno conseguente alla dichiarazione di nullità
dell’apposizione del termine al contratto di lavoro (oggetto del quinto e sesto
motivo del ricorso), va evidenziato che il lavoratore non ha diritto alla retribuzione
dal momento della sospensione del lavoro al termine dell’ultimo contratto, ma
soltanto da quando abbia provveduto a mettere nuovamente a disposizione del
datore di lavoro la propria prestazione lavorativa con un atto giuridico in senso
stretto di carattere recettizio o per facta concludentia, determinandosi, da tale
momento una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro, da cui deriva, ai
sensi degli artt. 1206 e ss. cod. civ., il diritto del lavoratore al risarcimento del
danno nella misura delle retribuzioni perdute a causa dell’ingiustificato rifiuto della
prestazione.
14. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la messa a disposizione del datore di

configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che
sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di
eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. Si è precisato
altresì (da ultimo da Sez. L, Sentenza n. 1780 del 28/01/2014) che il solo decorso
del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza del
termine, sono insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo
consenso, costituente pur sempre una manifestazione negoziale, che, seppur
tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo, in
conseguenza della mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto di
lavoro (in tema, si richiama anche Sez. L, Sentenza n. 2279 del 01/02/2010 ove
questa Corte, sulla base del medesimo principio, ha ritenuto non censurabile la
motivazione della sentenza di merito la quale, nel ritenere che la mera inerzia del
lavoratore non poteva essere interpretata come fatto estintivo del rapporto, aveva
fatto riferimento a valutazioni di tipicità sociale, valorizzando sia la durata limitata
della inerzia del lavoratore – tempo considerato congruo per decidere di
intraprendere la via giudiziaria ed impostare la difesa -, sia la notoria circostanza
relativa all’affidamento che il lavoratore precario normalmente ripone sulla
prospettiva di futuri contratti a termine, nonché al timore di pregiudicare tale esito
con l’iniziativa giudiziaria).
11. Premesso inoltre che secondo le richiamate pronunce la valutazione del significato
e della portata del complesso dei su indicati elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto, va rilevato che la sentenza impugnata ha,
con motivazione priva di errori logici ed adeguata, ravvisato una mera inerzia del
lavoratore nel far valere i suoi diritti e non anche una manifestazione di volontà
tacita di rinunciare agli stessi.

16.11 ricorso proposto dalla società Poste Italiane s.p.a. va pertanto rigettato. A tale
pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio
che si liquidano come da dispositivo.

p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si
liquidano in C 100 per spese ed C 3500 per compensi, oltre accessori come per legge e
spese generali al 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 giugno 2014.

lavoro delle energie lavorative non richiede un atto tipico a forma vincolata,
essendo sufficiente un qualunque atto che contenga un’inequivoca manifestazione
della volontà di rendere la prestazione, potendo esser sufficiente (Sez. L, Sentenza
n. 15515 del 02/07/2009) la richiesta di assunzione formulata dal lavoratore in
sede di tentativo di conciliazione, ovvero (Sez. L, Sentenza n. 12333 del
27/05/2009) l’offerta da parte del lavoratore della propria prestazione, con la
notifica del ricorso introduttivo del giudizio), o ancora (Sez. L, Sentenza n. 17322
del 30/08/2004) l’atto di precetto (fondato su sentenza disponente la
reintegrazione) che abbia perso efficacia per mancanza di ulteriori atti di impulso.
15. La sentenza si è attenuta a tali principi ed è immune da censure prospettate,
restando peraltro riservato al giudice di merito il giudizio di idoneità dell’atto in
concreto posto in essere a costituire in mora il debitore.

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