Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21307 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 05/10/2020), n.21307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13901-2015 proposto da:

ROVAGNATI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO 40, presso

lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA CUCCI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PIER ANGELO MAININI, ALBERTO

GIUSEPPE BOLOGNESI;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAPPELLE SUL

TAVO 3, presso lo studio dell’avvocato CATERINA TRIPODI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO MASSIMO PEDONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 669/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 13/02/2015 r.g.n. 447/2009.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Il Tribunale di Reggio Calabria rigettava sostanzialmente le domande proposte da F.S. nei confronti della s.p.a. Rovagnati, di cui era stato agente dal 1994 recedendo poi dal rapporto per giusta causa, condannandolo, accogliendo la riconvenzionale della società ed a seguito di c.t.u. contabile, al pagamento di Euro 16.540,00 a titolo di indennità di mancato preavviso, previa compensazione con i crediti ad esso riconosciuti (Euro 830,96 per indennità di risoluzione del rapporto; Euro 1.371,37 per provvigioni maturate al febbraio 2005; Euro 4.316 a titolo di premi CANVASS).

Avverso tale sentenza proponeva appello l’agente; resisteva la società. Con sentenza depositata il 13.2.15, la Corte d’appello di Reggio Calabria accoglieva parzialmente il gravame, condannando la società a pagare all’agente complessivi Euro 53.150,06 oltre accessori, rigettando la riconvenzionale proposta dalla società Rovagnati.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultima, affidato a sei motivi, cui resiste il F. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto erroneamente che nella specie era avvenuta una illegittima modifica contrattuale unilaterale (riduzione delle provvigioni e dei clienti assegnati), peraltro da stipularsi per iscritto ex art. 18 del contratto di agenzia, riconoscendo, così al F. le relative provvigioni.

La censura è infondata posto che la sentenza impugnata ben chiarisce le ragioni per cui lo storno di provvigioni (per differenza sul prezzo effettivo di vendita), possibile in base al contratto di agenzia per una serie di ragioni, fosse invece illegittimo in base all’art. 18 del contratto medesimo che prevede la necessità di forma scritta per le variazioni del contratto individuale.

Deve inoltre (ma certamente non da ultimo) rimarcarsi che il contratto di agenzia de quo non risulta prodotto in questa sede ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

2. – Con secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (sempre inerente lo storno provvigioni).

Il motivo è inammissibile in quanto la ricorrente non specifica quale sia il fatto storico decisivo non esaminato (Cass. Sez. un. 8053/14), senza considerare che in esso non può rientrare un dubbio interpretativo: in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di una questione riguardante l’interpretazione del contratto, non costituendo “fatto decisivo” del giudizio, non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che rientrano in tale nozione gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi, da ultimo Cass. ord. n. 20718/18).

3. – Con terzo e quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c., comma 3, nonchè falsa applicazione dell’art. 6 dell’A.E.C. agenti del settore industria 20.3.02, anche sub specie di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento alle provvigioni non più riconosciute dal 2002 ai clienti affiliati al gruppo SISA/CEDI e da gennaio 2005 ai clienti affiliati al gruppo Carrefour/GDM.

Lamenta che la sentenza impugnata non valutò esattamente la circostanza che i clienti associati al gruppo SISA (Carrefour) smisero di inoltrare ordini ai singoli agenti della Rovagnati avendo deciso di inoltrarli solo al loro cd. transfer (CEDI/SISA, ovvero GDM) che trattava solo direttamente con Rovagnati, giungendo alla conclusione che, ex art. 6, comma 8 dell’AEC, all’agente spettassero le provvigioni anche per gli affari conclusi direttamente dalla mandante, sempre che rientranti nell’ambito del mandato affidatogli. La ricorrente si duole che la sentenza impugnata non verificò se tale norma fosse applicabile al contratto di agenzia de quo, che invece espressamente escludeva (artt. 1, 6 e 6 bis) la Grande Distribuzione (supermercati operanti su scala nazionale o regionale).

Il motivo è infondato non censurando adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo cui i clienti associati al gruppo SISA facevano e fecero per anni (dal 1994 al 2002) pacificamente parte del portafoglio F., comportamento rilevante ex art. 1362 cpv c.c., sicchè la loro esclusione dal portafoglio dell’agente avrebbe dovuto essere convenuta per iscritto.

In sostanza il dedotto, e peraltro ndn riscontrabile in questa sede, mutamento organizzativo delle aziende (clienti) del gruppo non poteva comportare automaticamente un non convenuto mutamento delle condizioni del contratto con l’agente inerente il suo portafoglio e provvigioni.

Non rileva inoltre (ma anzi conferma la sostanza della sentenza impugnata) la dedotta circostanza che i clienti in questione smisero di effettuare ordini agli agenti di zona a seguito della decisione di centralizzare i rapporti contrattuali esclusivamente con la Rovagnati.

Le critiche infine mosse ai calcoli eseguiti da ben due c.t.u. contabili difettano di concludenza e chiarezza, per non considerare che gli elaborati peritali non vengono prodotti o riprodotti in questa sede, in contrasto col consolidato orientamento di questa Corte. Ed invero deve evidenziarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone inoltre (ai fini di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. Sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (e plurimis, Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915; Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569).

4. – Con quinto motivo la Rovagnati denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., art. 2 dell’A.E.C. del settore industria 2002. In sostanza si duole che la Corte di merito abbia ritenuto sussistere una giusta causa di recesso dell’agente nella ridetta esclusione dei compensi provvigionali, evidenziando che in base al ridetto AEC doveva considerarsi di lieve entità la riduzione delle provvigioni sino al 5%, censurando la sentenza impugnata per avere accertato che tale riduzione risultò ben maggiore.

Il motivo è inammissibile contestando nella sostanza i calcoli della c.t.u., neppure prodotta, che la Corte di merito ha ritenuto congrua ed immune da vizi logici.

5. – Con sesto motivo la società ricorrente chiede che l’importo di cui al quarto capo della sentenza impugnata venga posto in compensazione con quanto verrà riconosciuto da questa S.C..

Il motivo è evidentemente inammissibile non essendo consentita alcuna nuova domanda in questa sede.

6. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna sa ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

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