Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21305 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. II, 14/10/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 14/10/2011), n.21305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 28142/05) proposto da:

P.A. e P.F.d.P., entrambi in

qualità di eredi di P.M., rappresentati e difesi in

forza di procura speciale a margine del ricorso, congiuntamente e

disgiuntamente, dagli Avv.ti PROCACCINI Ernesto e Pasquale Di Maio

del foro di Napoli ed elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’Avv.to Stefania Iasonna del foro di Roma, Via Riccardo Grazioli

Lante, n. 76;

– ricorrenti –

contro

C.V. e S.M., in proprio e quali

rappresentanti della CASUCCIO & SCALERA s.n.c. (non più

esistente) e

della COMMERCIALE FRATTINA S.p.A., rappresentati e difesi dall’Avv.to

PENTA Carlo del foro di Napoli, in virtù di procura speciale apposta

in calce al controricorso ed elettivamente domiciliati presso la

cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

e contro

P.P., quale erede di P.M., rappresentata

e difesa dall’Avv.to Antonio Candela de foro di Napoli, in virtù di

procura speciale apposta a margine del controricorso e ricorso

incidentale ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to

Stefania Iasonna del foro di Roma, via Riccardo Grazioli Lante n. 76;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè sul ricorso incidentale n. 31152/05 proposto dalla

controricorrente P.P. nei confronti dei

controricorrenti;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 2761/2004

depositata il 28 settembre 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Giovanni Attingenti, con delega dell’Avv.to Ernesto

Procaccine, di parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il

rigetto sia del ricorso principale sia di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28, 29 e 30 dicembre 1989 l’Avv.to P.M. evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, la s.n.c. CASUCCIO & SCALERA, nonchè C.V. e S. M. chiedendone la condanna, in solido, al pagamento della complessiva somma di L. 138.317.000, oltre accessori, esponendo che verso la fine dell’anno 1973 i convenuti gli avevano conferito mandato a rappresentare e difendere le varie società e persone fisiche costituenti il loro gruppo di affari, e cioè la Casuccio &

Scalera s.n.c., la Europa S.p.A., la Scarpe Italia s.r.l., la Immobili Zingara S.p.A., la Casuccio & Scalera s.r.l., la Michelle s.r.l., la Commerciale Frattina S.p.A., la Art Shop s.r.l., la Romar- Roma Realizzazioni s.r.l., la Agricola del Mezzogiorno s.a.s., la Masca s.a.s., L.G., M.C., C. V. e S.M., e che in esecuzione dell’incarico aveva svolto, dal 1974 al 1978, una complessa attività stragiudiziale di assistenza e di consulenza, oltre quella contenziosa penale e tributaria, impegnando l’esperienza e le conoscenze tecniche derivategli dalle qualità di avvocato e di dottore commercialista, per cui le prestazioni effettuate erano consistite: a) in consulenza ed assistenza della verifica generale fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza dal 16.11.1976 al 29.6.1977, attività per la quale gli onorari medi delle tariffe professionali ammontavano a L. 12.080.137;

b) in consulenza ed assistenza per una procedura tributaria, attività per la quale gli onorari medi delle tariffe professionali ammontavano a L. 11.553.150; c) in consulenza ed assistenza in relazione alla compilazione di una situazione patrimoniale e di cinque bilanci, attività per la quale gli onorari medi delle tariffe professionali ammontavano a L. 109.277.520; d) in consulenza ed assistenza in relazione alla compilazione di cinque mod. 750, attività per la quale gli onorari medi delle tariffe professionali ammontavano a L. 5.406.200.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali deducevano che l’attività svolta dall’attore ed i relativi onorari non potevano essere determinati in base alle tariffe professionali vigenti per avvocati, avendo il Consiglio dell’Ordine liquidato, con parere del 23.9.1980, unicamente l’importo di L. 981.000 rispetto alla richiesta di competenze per L. 139.298.007, escludendo la somma di L. 138.000.000, al cui esame avrebbe dovuto provvedere il Consiglio dell’Ordine dei commercialisti, al quale l’attore non si era rivolto, neanche in seguito, precisando che per l’assistenza delle società del gruppo Casuccio e Scalera dal 1962 al 1980 il professionista aveva percepito compensi per L. 154.871.826 attraverso un assegno mensile dallo stesso rivalutato nel tempo, al netto delle spese esposte e non verificate, chiarito che a seguito di una verifica tributaria il succitato gruppo, assistito dal predetto professionista, aveva subito condanne pecuniarie e sanzioni per complessive L. 129.359.000, pertanto spiegavano domanda riconvenzionale per ottenere la restituzione di quanto percepito, specie a titolo di spese non giustificate, oltre al risarcimento dei danni, il Tribunale adito, invano invitate le parti a più esaurienti precisazioni, acquisita la documentazione prodotta, con sentenza n. 10990/93 del 24.3/10.11.1993, rigettava sia la domanda principale sia quella riconvenzionale, dichiarando interamente compensate fra le parti le spese di lite.

Con ricorso del 18 ottobre 1989 deposito avanti al Presidente del Tribunale di Napoli, il medesimo professionista, premesso che C.V. e S.M. esercitavano, attraverso diverse società, attività di produzione e di vendita di scarpe, esponeva che tra il 1974 ed il 1978 (ma anche anteriormente) aveva espletato varie attività su mandato e nell’interesse di costoro e delle loro società, in particolare, per la Commerciale Frattina S.p.A., aveva effettuato: a) consulenza ed assistenza in occasione della verifica generale fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza dal 2.5.1977 al 17.6.1978; b) consulenza ed assistenza per tre ricorsi dinanzi alle Commissioni tributarie; c) consulenza ed assistenza per la preparazione e compilazione di sei bilanci; d) consulenza ed assistenza per la preparazione, compilazione e presentazione di quattro denuncie Mod. 760 e di tre Mod. 770, perciò chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per L. 18.918.732 in danno di C. V., di S.M. e della società Commerciale Frattina, decreto che veniva opposto dalla società con atto di citazione notificato il 28 dicembre 1989, precisando che gli incarichi svolti erano stati retribuiti mensilmente con un compenso fisso e per le prestazioni non comprese l’emolumento era stato pagato a semplice richiesta, specificando che per l’assistenza in occasione della verifica della GdF erano state corrisposte L. 19.000.000, benchè l’ispezione si fosse conclusa con pesanti sanzioni; spiegava, inoltre, domanda di risarcimento dei danni per colpevole comportamento professionale tenuto in occasione delle predetta verifica fiscale. Del pari proponevano opposizione, con atto di citazione notificato in data 5 dicembre 1989, C. e S. deducendo analoghe ragioni e precisando che l’incarico professionale non era stato da loro conferito, bensì dalla società.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 5533/1994 del 2.3/10.6.1994, rigettava le domande, principale e riconvenzionale, dichiarando compensate fra le parti le spese del giudizio.

In virtù di rituali appelli interposti dal P. sia avverso la prima decisione, con il quale lamentava che la decisione del giudice di prime cure erroneamente non aveva provveduto a calcolare gli importi spettanti sulla base della tariffa in concreto applicabile, essendo irrilevante la riferibilità delle prestazioni eseguite a quelle della professione di commercialista, oltre ad avere riferito i pagamenti oggetto degli assegni prodotti ai rapporti controversi (circostanza su cui erano state rigettate le richieste istruttorie di parte attrice), sia avverso la seconda sentenza del Tribunale, con il quale chiedeva il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo, la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, disponeva la riunione degli appelli medesimi e, previa costituzione di P.A., P.P. e P. F.d.P., quali eredi di P.M., rigettava integralmente entrambi gli appelli, compensate tra le parti le spese del gravame.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che quanto alla prima decisione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., i motivi denunciati dall’appellante non coglievano la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale si fondava sulla duplice circostanza di avere percepito il professionista compensi per L. 154.871.826, che erano ampiamente remunerativi delle prestazioni allegate, in quanto di molto superiori ai minimi tabellari dell’epoca, nè l’appellante aveva fornito alcun elemento per fare ritenere che gli onorari, per l’elevatissimo grado di difficoltà dell’attività svolta, dovessero approssimarsi ai massimi tabellari.

Aggiungeva, altresì, che la contestazione relativa alla non riferibilità ai rapporti in esame degli importi oggetto dei pagamenti documentati era inammissibile in quanto generica, come del pari non era condivisibile la doglianza per il mancato accoglimento delle richieste istruttorie a cagione della loro assoluta genericità ed inidoneità ad asseverare i fatti integrativi della pretesa esperita, ritenuto non specificamente dedotto l’ulteriore mezzo istruttorio formulato con rinvio al “foglio di conclusioni e richieste da allegare al verbale di udienza del 24 settembre 1998”, per contrarietà all’art. 342 c.p.c., oltre a non essere astrattamente idoneo ad assolvere l’onere probatorio incombente sul P..

Anche quanto ai motivi di appello proposti avverso la seconda decisione del Tribunale di Napoli, la corte partenopea affermava non essere state contrastate le argomentazioni volte a confutare le concrete ragioni addotte dal primo giudice a sostegno del convincimento secondo cui il compenso professionale indicato nel decreto ingiuntivo doveva essere considerato unitariamente nell’ambito del rapporto di opera professionale prestato dal P. per il C. e lo S., nonchè per le diverse società del gruppo e ciò sulla base dell’esame della corrispondenza prodotta dallo stesso ricorrente – opposto, tenuto conto delle connotazioni dei pagamenti documentati dagli opponenti.

Infine quanto al deferito giuramento decisorio da parte del deceduto professionista in sede di appello, lo stesso non era stato riproposto dai suoi eredi in sede di costituzione (con comparsa del 2.3.2004) nonostante la tassatività delle forme prescritte ex art. 233 c.p.c.;

aggiungeva, che la formulazione era da ritenere assolutamente generica.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione P.A. e F.d.

P., che risulta articolato su due motivi, al quale hanno resistito C.V., S.M., Casuccio & Scalera s.n.c. e Commerciale Frattina S.p.A. con controricorso, presentato controricorso e ricorso incidentale da P.P., affidato anch’esso a due motivi.

I ricorrenti hanno presentato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., concernendo la stessa sentenza.

Nonostante ciò occorre rilevare che i motivi del ricorso principale coincidono con quelli del ricorso incidentale, per cui le ragioni delle censure andranno esaminate congiuntamente.

Con il primo motivo del ricorso principale, al pari del primo motivo del ricorso incidentale, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 342 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto la genericità dei motivi del gravame, dal momento che la specificità richiesta nei motivi di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., va valutato con riferimento al petitum ed alla causa petendi, che risulta in ogni caso rispettato allorquando sia consentita l’individuazione delle statuizioni impugnate nonchè i limiti della proposta impugnazione.

Assumono, altresì, i ricorrenti che alla luce dell’effetto devolutivo dell’appello, non è necessario che siano contestati tutti gli sviluppi motivazionali della stessa, essendo sufficiente proporre tesi ed argomentazioni contrastanti con quelle fatte proprie dal giudice di primo grado a fondamento della pronuncia emessa ed, in ogni caso, la specificazione anche in forma succinta dei motivi di appello.

Al riguardo, i ricorrenti richiamano la prevalente interpretazione dell’art. 342 c.p.c., secondo la quale la volontà della parte di impugnare nella sua globalità la decisione di primo grado non richiederebbe di essere espressa attraverso formule sacramentali, essendo sufficiente, al riguardo, che siano spiegate le ragioni della impugnazione, in modo da consentire al giudice del gravame di identificare i punti da esaminare e di vagliare le ragioni di fatto e di diritto che fondano la impugnazione.

La censura è infondata.

La giurisprudenza che al riguardo si invoca nel ricorso – la quale si riferisce, com’è di tutta evidenza, alla sufficienza, ai fini del rispetto della previsione dell’art. 342 c.p.c., di una sommaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto del gravame – non inficia il principio di specificità dei motivi della impugnazione, e non è, pertanto, correttamente invocabile in relazione alla ipotesi, verificatasi nella specie, di completa obliterazione delle ragioni fondanti il provvedimento censurato.

Infatti non rispetta il principio di autosufficienza il ricorso per cassazione che, denunciando l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado, sulle doglianze mosse in appello alle ragioni esposte davanti al Tribunale, non espone quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, e così impedisce al giudice di legittimità una completa cognizione dell’oggetto; nè al principio di autosufficienza può ottemperarsi “per relationem”, mediante il richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (v.

Cass. 13 dicembre 2006 n. 26693).

Il motivo, dunque, contrasta con la regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio ovvero sulla vantazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. 2.11.1998 n. 10913;

Cass. 24.5.2006 n. 12362).

Nel caso, il ricorso inoltre non offre alcuna documentazione del contenuto dei mezzi istruttori non ammessi, delle allegazioni reperibili nell’atto di appello avverso le decisioni di primo grado (v. Cass. ord. 30.7.2010 n. 17915; v. anche sentenza del 12.5.2010 n. 11477; sentenza del 22.2.2010 n. 4201; Sentenza del 17.11.2009 n. 24221; Sentenza del 13.6.2007 n. 13845).

Con il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, per quanto suesposto, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 233 c.p.c., e segg., artt. 2697 e 2736 c.c. e art. 299 c.c., anche per omessa ed insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). In sostanza la corte partenopea avrebbe ritenuto l’inammissibilità del giuramento decisorio deferito dal loro dante causa e non reiterato dagli eredi al momento della costituzione nelle forme di cui all’art. 233 c.p.c..

Anche detto motivo è privo di pregio.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora la sentenza impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, la omessa impugnazione anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del gravame non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su di essa (v., tra le altre, Cass., sentenze 23.4.2002 n. 5902, 28.8.1999 n. 9057, 18.4.1998 n. 3951).

Nella specie, emerge in modo evidente dall’ordito motivazionale delle decisioni del giudice di primo grado, quale analiticamente ricostruito nel provvedimento della Corte d’appello impugnato, che esso si fonda su di una duplicità di rationes decidendi: per un verso, infatti, vi si rinviene il riferimento ai compensi percepiti dal professionista, per L. 154.871.826, quanto al primo decreto ingiuntivo, e per L. 18.918.732, quanto al secondo decreto ingiuntivo, importi definiti ampiamente remunerativi dell’attività svolta; per altro verso, viene elevato a ragione autonoma della decisione la assoluta genericità delle contestazioni di parte attrice (in senso sostanziale) circa la non riferibilità dei pagamenti di cui all’eccezione di adempimento ai rapporti dedotti in giudizio, genericità e non specificità rilevata anche quanto al giuramento decisorio deferito dal professionista in entrambi i giudizi.

Ebbene, mentre sul secondo punto della decisione i ricorrenti stessi hanno articolato la propria censura, non risulta affatto contrastata la prima argomentazione, tutt’affatto distinta dall’altra, e che, pure, ha assunto nella formazione del convincimento del giudice rilevanza autonoma, in quanto idonea a sorreggere da sola la sentenza impugnata: sicchè, correttamente la pronuncia della Corte d’appello ha dichiarato inammissibile i gravami per il fatto che i motivi in essi sviluppati colpiscono solo una delle due rationes decidendi sulle quali erano basate le sentenze del Tribunale di Napoli n. 10990/1993 e n. 5533/1994, destinate, pertanto, a rimanere comunque ferme.

Nè alcun pregio può attribuirsi, in proposito, ai rilievi svolti dai ricorrenti circa la ritualità della proposizione del giuramento medesimo, stante l’impostazione che precede.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna dei ricorrenti principali in solido e della ricorrente incidentale, P.P., al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi;

condanna i ricorrenti principali e quella incidentale alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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