Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21301 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. III, 14/10/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 14/10/2011), n.21301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21144/2009 proposto da:

A.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avv. DORNA Diego giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

FINIFI LEASING S.R.L. in persona del suo procuratore ad negotia Dott.

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avv. BONOMO Guido giusto mandato in atti;

B.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA AJACCIO 14, presso lo studio dell’avvocato ARTURO LEONE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BREGOLI UGO

giusto mandato in atti;

– controricorrenti –

contro

SASA ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 101/2009 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO,

depositata il 07/05/2009 R.G.N. 89/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato ANTONIO COLAVINCENZO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La controversia è stata promossa dalla Finifi S.r.l. con ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenere, nei confronti dell’utilizzatore A.S., i canoni residui ed il valore di “riscatto” dell’auto, ceduta a predetto e finanziata dal leasing, oggetto di furto non risarcito dall’assicurazione in quanto ritenuto avvenuto per colpa dell’utilizzatore. L’ A. si opponeva al decreto ingiuntivo, ritenendo che, in caso di risoluzione, spettasse al concedente solo un equo indennizzo per l’uso del bene; chiamava in causa l’assicurazione contestando che non avesse manlevato il furto e il titolare dell’autolavaggio ove era avvenuto il furto, deducendone la colpa. La Finifi chiedeva la conferma del decreto; i chiamati contestavano la loro responsabilità e la copertura assicurativa essendosi il fatto svolto per esclusiva responsabilità dell’ A. che, riavuto il possesso dell’auto dopo averla fatta lavare all’autolavaggio. la lasciava incustodita con le chiavi inserite nel quadro. Il Tribunale respingeva le chiamate in causa ed i motivi di opposizione; riduceva il credito azionato dalla società in rapporto al valore dell’auto a seguito del suo ritrovamento (secondo la stima del c.t.u.). Avverso la sentenza di appello, depositata il 7 maggio 2009 – che ha confermato quella di primo grado, ritenendo correttamente applicata nella specie la norma di cui all’art. 1523 c.c., conforme alle previsioni contrattuali, secondo cui il rischio in caso di perimento della cosa grava sull’utilizzatore, nonchè esaurito il rapporto di deposito e custodia con il pagamento della prestazione per il lavaggio dell’auto, con correlativa consegna delle chiavi (e conseguente rientro in possesso dell’auto da parte dell’utilizzatore) – l’ A. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Illustrati da memoria. Resistono, con rispettivi controricorsi, la Finifi ed il titolare dell’autolavaggio, B.P., chiedendo il rigetto del ricorso; l’intimata compagnia assicuratrice non ha svolto attività difensiva.

2. Nel proprio ricorso, l’ A. deduce i seguenti motivi:

2.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1523 e 1526 c.c., e chiede alla Corte se “l’applicabilità in via analogica alla fattispecie di leasing traslativo della disciplina dettata per la vendita con riserva di proprietà dall’art. 1523 c.c., escluda di per sè l’operatività del disposto di cui all’art. 1526 c.c., in ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore”.

2.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1758 e 1780 c.c., e chiede alla Corte se “nel contratto di deposito qui sotteso al contratto atipico avente ad oggetto il lavaggio di un’autovettura, l’obbligazione di custodire l’autoveicolo con la diligenza di cui agli artt. 1768 e 1176 c.c., spiri con il pagamento del servizio da parte del cliente e se, in caso affermativo, il cessare dell’obbligazione esima il medesimo depositario da qualsivoglia responsabilità per successivi eventi negativi direttamente riconducibili ad una sua qualche particolare e grave negligenza (rivelatasi causalmente idonea alla sottrazione del bene), stante l’assenza di un qualsivoglia interesse interruttivo o modificativo del nesso causale da parte del depositante o di terzi”.

2.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1900 c.c. e chiede alla Corte se, ai sensi e per gli effetti di detta norma, “il comportamento tenuto dal ricorrente nel non aver provveduto, immediatamente dopo aver raggiunto la stazione di servizio e pagato il lavaggio, a chiudere l’autovettura – dall’addetto all’autolavaggio parcheggiata aperta e con le chiavi inserite nel quadro di accensione nell’area privata e sorvegliata della stazione di servizio – essendo invece sua intenzione prenderne immediatamente possesso dopo aver soddisfatto un impellente bisogno fisiologico, integra la fattispecie di causazione del sinistro per colpa grave, ovvero se detta causazione sia invece imputabile al negligente comportamento assunto dal gestore la stazione di autolavaggio, ovvero ancora, se nel descritto contesto spazio-temporale, l’agire dell’assicurato e del gestore non possa essere ritenuto agevolativo/causativo dell’intervenuto furto.

2.4. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: 2.4.1 in ordine alla qualificazione del contratto di locazione finanziaria: 2.4.2 circa la consegna delle chiavi al ricorrente, circostanza “fantasiosamente” rappresentata dalla Corte stessa.

3. Resistono con rispettivi controricorsi la Finifi Leasing ed il B..

chiedendo il rigetto de ricorso. La Sasa assicurazioni non ha svolto attività difensiva.

4.1. Le censure del ricorso proposto dall’ A. sono prive di pregio. In primo luogo, i quesiti, come sopra formulati nei motivi che deducono violazione di legge, si rivelano inidonei. Una formulazione del quesito di diritto adeguata alla sua funzione richiede, come noto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769: 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare. Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati alla fine dei primi tre motivi, dato che non contengono adeguati riferimenti alla fattispecie oggetto della sentenza impugnata, nè espongono le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si limitano ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, che presuppongono tutte una valutazione delle risultanze di causa in senso difforme da quella operata dalla Corte territoriale, non riconducibili alla fattispecie esaminata in sentenza, sicchè non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420).

4.2. Senza contare che sussiste, in rapporto ai predetti motivi dal 1^ al 3^ anche un altro profilo d’inammissibilità delle censure, dato che si deve ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.);

viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanza di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010: 4178/07; 10316/06: 15499/04). Nei motivi dal 1^ al 3^, infatti, l’assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (come, nel 1^ motivo, la natura Traslativa o meno del leasing, con conseguente applicabilità o meno dell’art. 1526 c.c.), censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detti motivi (v. paragrafo successivo).

4.2.1 Nel primo motivo, il ricorrente chiede se il contratto concluso tra le parti sia qualificabile come leasing traslativo, al fine di stabilire se sia applicabile il meccanismo equilibratore previsto dall’art. 1526 c.c., a proposito della risoluzione del contratto della vendita con riserva della proprietà, estensibile anche al leasing traslativo per identità causale. Nell’ambito del leasing sono identificabili due diversi tipi contrattuali, il leasing di godimento e il leasing traslativo, che hanno una diversa causa e realizzano un differente assetto di interessi. Circa i tratti identificativi di queste due figure contrattuali, la giurisprudenza di legittimità è consolidata (Cass. 28 novembre 2003 n. 18229, Cass. 3 maggio 2002 n. 6369; Cass. 12 luglio 2001 n. 9417; Cass. 7 febbraio 2001 n. 1715; Cass. 17 dicembre 1997 n. 12790): il leasing di godimento è pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi. In particolare, nel leasing di godimento l’insieme dei canoni è inferiore in modo consistente alla remunerazione del capitale investito nell’operazione d’acquisto e concessione in locazione del bene, lasciando non coperta una parte non irrilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l’opzione è di corrispondente altezza. Il leasing traslativo, invece, è pattuito con riferimento a beni atti conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (Cass. 14 luglio 2004 n. 13073. in motivazione). Sennonchè, nel caso di specie – e di qui la non conferenza del quesito di diritto rispetto alla questione di diritto decisa nella sentenza impugnata – non è in discussione l’applicabilità di detto meccanismo equilibratore (tra le prestazioni corrispettive) ma solo la questione della parte contrattuale su cui ricada il rischio della perdita del bene. Al riguardo, deve ribadirsi, conformemente a quanto emerge dalla sentenza impugnata che, in tema di leasing traslativo, la clausola contrattuale che pone a carico dell’utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carattere vessatorio, poichè essa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1S23 c.c., sulla vendita a rate con riserva della proprietà (Cass. n. 6369/2002, cit.). Sotto l’indicato profilo, dunque non è prò spettabile alcuna violazione di legge.

4.3. Inoltre, nel caso, con riferimento al quarto motivo con il quale vengono denunziati vizi di motivazione, il ricorrente non ha formulato il richiesto momento di sintesi Difetta, pertanto, la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

4.5. L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata.

5. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza nel rapporto tra le parti costituite e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, in favore di ciascuna delle parti costituite in Euro 2.600,00, di cui Euro 2.400,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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