Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21299 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. III, 14/10/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 14/10/2011), n.21299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13943/2009 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 79, presso lo studio dell’avvocato DE STEFANO

MAURIZIO, rappresentato e difeso dagli avvocati CANNIZZARO Vincenzo,

CRISPINO IPPOLITO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROGRESS ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), M.C.

(OMISSIS), CR.LU. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

PROGRESS ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), in persona del suo

Direttore Generale e Legale rappresentante Dott. G.S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo

studio dell’avvocato MARSICANO GIORGIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato INZERILLO GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrente incidentale –

contro

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 79, presso lo studio dell’avvocato DE STEFANO

MAURIZIO, rappresentato e difeso dagli avvocati CANNIZZARO VINCENZO,

CRISPINO IPPOLITO giusta delega in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

M.C. (OMISSIS), CR.LU.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 377/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/05/2008; R.G.N. 133/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato CALAFIORE CLAUDIO per delega Avvocato VINCENZO

CANNIZZARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1.1. C.C. impugna, sulla base di sei motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte di Appello di Palermo, depositata il 27 maggio 2008, la quale, per quanto qui rileva, in accoglimento parziale dell’appello della Compagnia assicuratrice della R.C.A. dell’auto – urtatasi con il ciclomotore condotto dal ricorrente – di proprietà di M.C., condotta da Cr.Lu., ha ritenuto che la responsabilità del sinistro stradale in lite dovesse essere ascritta al settanta per cento al Cr. (ritenuto responsabile in concreto di non essersi assicurato, prima di svoltare, di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza e direzione di essi, nonchè, in via presuntiva, di non aver segnalato con sufficiente anticipo l’intenzione di compiere la manovra di svolta) e per il restante trenta per cento al C. (per aver effettuato un sorpasso in prossimità dell’intersezione della Via (OMISSIS) con quella in cui si stava immettendo il veicolo antagonista).

1.2. La compagnia assicuratrice sopra descritta resiste con controricorso e chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso; propone contestualmente ricorso incidentale, rispettivamente basato su quattro motivi, al quale il C. ha, a sua volta, resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

2. Nel proprio ricorso, il C. deduce i seguenti motivi:

2.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., e chiede alla Corte “se possa la dichiarazione stragiudiziale di una delle parti, soprattutto se relativa a circostanze da essa ignorate o presunte o comunque non direttamente constatate, costituire, come ha fatto la Corte territoriale, il “fatto noto” da cui desumere “un fatto ignorato” ai sensi di detta norma”.

2.2. Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., e chiede alla Corte “se il ragionamento della Corte di Appello, secondo cui l’avere sentito un grido proveniente da. dietro sta a significare che il C. non manteneva un’andatura solidale con quella della Polo da lui condotta e non procedeva parallelamente ad essa, ma le si era approssimato e stava effettuando il sorpasso nel corridoio lasciato dalle autovetture in sosta compie illegittimamente una presunzione basandosi su un’altra presunzione anzichè su un fatto certo ed incontrovertibile ponendo in essere la dedotta violazione di legge”.

2.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2730 e 2735 c.c., da artt. 228 a 232, 146, 147 e 251 c.p.c. e chiede alla Corte:

2.3.a “se le dichiarazioni spontanee unilaterali di una delle parti, poste in essere al di fuori del giudizio ed aventi come tali valore di confessione stragiudiziale, possano essere considerate, ad ogni effetto,in sede giudiziale come elementi aventi valore probatorio essenziale e decisivo ai fini dell’attribuzione della responsabilità di un sinistro stradale anche in relazione alla parte in cui la dichiarazione confessoria, effettuata come nella specie stragiudizialmente e senza nemmeno una possibilità di contraddittorio, narri i fatti in un modo interpretabile da parte dell’Organo giudicante in senso favorevole alla parte processuale dichiarante e sfavorevole all’altra parte giudiziale”;

2.3.b “se in presenza di una dichiarazione unilaterale di una delle parti, effettuata come nella specie stragiudizialmente e senza contraddittorio, possa l’Organo giudicante considerarla non solo nel proprio contenuto letterale ed oggettivo, ma anche secondo una particolare nuova interpretazione che le attribuisce un ulteriore ed addizionale significato in essa non letteralmente espresso, ed in precedenza mai dal alcuno evinto che posa consentire, però, alla medesima Corte territoriale a detto possibile e novello significato il rilievo di unica prova essenziale e decisiva ai fini di un seppur parziale riconoscimento di responsabilità all’altra parte giudiziale che, in quanto parte avversa e non, in tal ambito, dichiarante, non dovrebbe quindi subire le conseguenze sfavorevoli dell’atto stragiudiziale dichiaratorio, del tutto unilaterale, di parte avversa”.

2.4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e chiede alla Corte se:

2.4.a “il ragionamento della Corte territoriale già indicato nel quesito sub 2.2. costituisca una presunzione del tutto indebita, illegittima e, comunque, priva dei necessari requisiti della gravità, precisione e concordanza”;

2.4.b “in presenza di una dichiarazione unilaterale di una delle parti, effettuata come nella specie stragiudizialmente e senza contraddittorio, possa l’Organo giudicante considerarla non solo nel proprio contenuto letterale ed oggettivo, ma anche trarre da essa la possibile esistenza di un generico, non comprovato e controverso elemento fattuale (quale la possibile esistenza di un “grido” al momento del sinistro) per presumere dallo stesso un ulteriore elemento fattuale assolutamente non risultante dagli atti del processo (cioè l’attribuzione del grido al guidatore del motociclo) per poi far derivare da detta presunzione, senza l’esternazione di alcun iter deduttivo seguito una lunga serie di presunzioni assolutamente prive di riscontro probatorio giudiziale (quali i fatti che il motociclo “non manteneva un’andatura solidale con quella della Polo”, che “non procedeva parallelamente ad essa”, e “che le si era approssimato” e che infine “stava effettuando il sorpasso nel corridoio lasciato dalle autovetture in sosta” e ciò al fine di ricostruire una nuova dinamica dei fatti unicamente in astratto mediante soltanto il citato collegamento fra dette presunzioni e porre la stessa, nonostante il contrasto con le prove esistenti in senso avverso, a fondamento di un nuovo riparto di responsabilità fra le parti diverso da quello che l’Organo giudicante di primo grado aveva posto in essere in forza della dinamica concretamente emergente dalle prove giudizialmente acquisite”.

2.5. Violazione e falsa applicazione degl’artt. 112, 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e chiede alla Corte se “la Corte territoriale nel ritenere che l’avere sentito un grido proveniente da dietro sta a significare che il C. non manteneva un’andatura solidale con quella della Polo da lui condotta e non procedeva parallelamente ad essa, ma le si era approssimato e stava effettuando il sorpasso nel corridoio lasciato dalle autovetture in sosta e quindi nell’attribuire al ricorrente il concorso di colpa del 30% nel sinistro de quo, abbia, in violazione di dette norme, pronunciato in assenza di prova, senza che la Compagnia avesse fatto fronte al proprio onere probatorio ed andando oltre il contenuto delle stesse domande del Cr.”.

2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo costituito dall’avere la Corte affermato nella sentenza, oltre a quanto trascritto nel precedente quesito e nell’avere di conseguenza affermato la concorrente responsabilità del C. nel sinistro per aver effettuato un sorpasso in prossimità dell’intersezione della Via (OMISSIS) con quella in cui si stava immettendo il veicolo antagonista, non sussistendo alcun nesso logico, nè di causalità, tra il fatto che il Cr. abbia sentito il grido del ricorrente e la deduzione della Corte circa l’andatura tenuta dallo stesso ed il suo posizionamento nella marcia.

3. Con il controricorso presentato per la notifica il 23 giugno 2009, la Compagnia assicuratrice ha proposto anche ricorso incidentale, basato sui seguenti motivi:

3.1 Omessa o insufficiente motivazione in relazione a fatto controverso e decisivo e chiede alla Corte se sia insufficiente o mancante di motivazione la sentenza impugnata nella parte in cui attribuisce significato univoco di confessione in ordine alla violazione dell’art. 154 C.d.S., l’affermazione resa dal Cr.

alla Polizia Municipale “prima di compiere la manovra d svolta udivo un grido proveniente da dietro e quindi vedevo un ciclomotore.

3.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2057, 2059 c.c., e L. n. 57 del 2001, art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 130 e chiede alla Corte se il Giudice sia tenuto ad applicare i criteri di valutazione di danno di cui alle indicate leggi speciali anche in caso di lesioni verificatesi anteriormente ala loro entrata in vigore.

3.3. Omessa o insufficiente motivazione in relazione a fatto controverso e decisivo e chiede alla Corte se sia insufficiente o mancante di motivazione la sentenza impugnata nella parte in cui non motiva adeguatamente (o omette di motivare) sul punto decisivo della ritenuta inapplicabilità dei criteri risarcitori del danno alla persona previsti dalla L. n. 57 del 2001, art. 5, comma 2 e D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 130, quali criteri ispirati a principi di giustizia ed equità, da preferire, salvo evidenza in contrario, ad un criterio equitativo puro.

3.4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1226, 2056, 2059 c.c. e art. 2 Cost., e chiede alla Corte se il risarcimento del danno morale da fatto illecito, a mente delle predette disposizioni, debba essere liquidato automaticamente in una quota del danno biologico.

4. I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

4.1 I motivi del ricorso principale e di quello incidentale si rivelano tutti inammissibili per mancanza del momento di sintesi nel sesto motivo del ricorso principale e nel primo e terzo di quello incidentale e per inidoneità dei quesiti formulati alla fine degli altri motivi (dal primo al quinto di quello principale nonchè il secondo ed il quarto dell’incidentale), nei quali non si da conto neppure sinteticamente della fattispecie come accertata dal giudicante, nè delle regole applicate dal medesimo nella sentenza impugnata, con conseguente non conferenza dei quesiti alle questioni rispettivamente controverse.

4.2. I quesiti, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

4.3. Invece, i cinque motivi formulati a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nel ricorso principale sono inammissibili, dato che, anzichè essere conclusi con idonei quesiti, si concludono tutti con generiche richieste di controllo della valutazione operata dalla Corte territoriale sugli elementi probatori relativi all’apporto causale della condotta dell’odierno ricorrente, negando che tale apporto sia stato congruamente valutato – cosi rendendo palese che l’effettivo scopo delle censure non è quello di prospettare un error in iudicando, ma di proporre un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze di causa, congruamente apprezzate dal giudice di appello, senza indicazione nè degli esatti termini della fattispecie, nè di quale sia il divergente principio di cui s’invoca l’applicazione.

Deve ribadirsi che, nel caso di violazioni denunciate – come nella specie – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità; non può, pertanto, ritenersi sufficiente che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè anche una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass., Sez. 2^, 20 giugno 2008 n. 16941).

4.4. Senza contare che sussiste, in rapporto ai predetti motivi del ricorso principale un altro profilo d’inammissibilità, dato che si deve ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.);

viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06; 15499/04). Nei predetti motivi dal 1^ al 4^, infatti, l’assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (in ordine all’apporto causale della condotta dell’odierno ricorrente), censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detti motivi (v.

paragrafo successivo). Nè va tralasciato che spetta, in ogni caso, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato (come nella specie), sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi comunque rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi – come operato nel presente giudizio – ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. n. 8023/09; 15737/03).

4.5. Inoltre, il secondo ed il quarto motivo del ricorso incidentale sono anch’essi inammissibili perchè si limitano ad interrogativi circolari o tautologici, senza indicare la regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, nè il diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (Cass. n. 24339/08, mentre si deve ribadire che è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. n. 28536/08; 11210/08).

4.6. Quanto ai motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, essi devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione). Orbene, nel caso, con riferimento al sesto motivo del ricorso principale ed al primo ed al terzo di quello incidentale, le parti non hanno formulato i richiesti momenti di sintesi. Difetta, pertanto, la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v.

Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata. Si deve, infatti, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09).

5. I motivi si rivelano pertanto privi dei requisiti richiesti a pena di inammissibilità dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

6. Pertanto, i ricorsi vanno dichiarati entrambi inammissibili.

Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio vanno interamente compensate tra le parti costituite.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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