Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21298 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/08/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 09/08/2019), n.21298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5594-2018 proposto da:

A.F., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

COLLI;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE ANDREOLI 2, presso

lo studio dell’avvocato LUCIANO PALLADINO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANLUCA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1449/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/09/2017 R.G.N. 533/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO che ha concluso per inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE COLLI;

udito l’Avvocato GIANLUCA ROSSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Pavia dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 2.4.2013 da Unicredit s.p.a. a A.F., direttore dell’agenzia di (OMISSIS), per avere il predetto, al fine di evitare imminenti provvedimenti sanzionatori alla sua collega e convivente, S.P. – appropriatasi di somme di un’anziana cliente -, posto in essere comportamenti contrari ai principi di correttezza, buona fede e diligenza. A seguito del disinvestimento di titoli della cliente per Euro 8000,00, facendosi confluire la somma su un conto di nuova apertura sul quale era stata anche attivata una Carta Genius Card collegata al numero di telefono della S., e dell’effettuazione di n. 32 prelevamenti per un totale di Euro 6.890,00 da parte di quest’ultima, l’ A., recatosi presso l’abitazione della cliente, approfittando del momentaneo allontanamento dall’ambiente di quest’ultima, aveva riposto in un cassetto della cucina la somma di Euro 6.390,00 in banconote di Euro 20,00 e 50,00 con le ricevute dei prelevamenti ed una custodia vuota della carta Genius. Si era appurato che proprio nella mattinata dello stesso giorno l’ A. aveva prelevato dal proprio conto personale la somma contante di Euro 7.000,00 in tagli da 100,00 e da 50,00, che aveva chiesto alla cassiera della filiale di cambiare in tagli da Euro 20,00 e 50,00, coincidenti con quelli del prelevamento effettuato dalla S..

2. La Corte d’appello di Milano, in riforma dell’impugnata decisione, respingeva le domande proposte dall’ A. in primo grado. In particolare, alla luce dell’istruttoria espletata e della ricostruzione dei fatti operata dalla banca e ritenuta plausibile in relazione all’applicazione dei principi in tema di prova cd. indiretta, alla stregua di un canone di probabilità, riteneva legittimo il convincimento assunto dalla banca in ordine alla commissione, da parte dell’ A., del fatto censurato, non assumendo rilievo la circostanza che la somma rinvenuta fosse inferiore a quella prelevata. Ciò era d’altronde del tutto compatibile con la contestazione mossa allo stesso, che non aveva avuto ad oggetto la condotta appropriativa, ma il tentativo di impedire alla banca di scoprire le abusive operazioni poste in essere da S.P., essendo destituite di credibilità le circostanze riferite dal teste G., che aveva riferito di avere ricevuto dall’ A. la somma in questione a titolo di acconto per il pagamento di opere in muratura del garage commissionategli dal predetto.

3. Di tale decisione domanda la cassazione l’ A., affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste con controricorso la Banca.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Vengono denunziate violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, erronea valutazione della deposizione del teste G., nonchè illogicità della motivazione, sostenendosi che la Corte d’appello abbia ritenuto inattendibile la deposizione del teste suddetto preferendo la prova presuntiva ex art. 2727 c.c. e che non abbia specificato in cosa si sarebbe sostanziata la contraddizione della deposizione resa dal teste (acconto e non saldo, come dichiarato dall’ A., che aveva riferito di avere pagato a conclusione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile l’importo prelevato in filiale).

2. Le censure veicolate dall’unico motivo di impugnazione non consentono in primo luogo di identificare il fatto decisivo la cui valutazione sarebbe stata asseritamente omessa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella nuova formulazione e, comunque, il vizio a tale norma astrattamente riconducibile è mal prospettato, in quanto la pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625) pone lo stesso al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439); peraltro, come si evince dal contenuto della sentenza, i fatti indicati sono stati esaminati conferendo peso probatorio ad una ricostruzione effettuata sulla base di presunzioni, nel contesto di una valutazione congrua ed esaustiva che non può che spettare al giudice del merito, non essendo stato individuato, per quanto detto, il fatto non esaminato la cui diversa valutazione avrebbe potuto condurre in ipotesi ad un differente esito della controversia.

3. Non è sindacabile in cassazione la valutazione discrezionale del giudice del merito che ritenga di scegliere alcune prove, nello specifico presunzioni, purchè le valuti nel loro complesso e non in maniera atomistica, al fine di giungere ad una conclusione di concordanza, precisione e gravità, come è stato nella fattispecie, in cui risultano essere stati valorizzati e considerati una serie di indizi rappresentati da fatti incontestati.

4. Quanto alla violazione delle norme in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., laddove il giudice intenda desumere da fatti noti

l’esistenza di un fatto la cui connotazione sia incerta, per il tramite di una inferenza logica, ben possono trovare applicazione gli artt. 2727 e 2729 c.c., come interpretati da una consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha chiarito che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi, tuttavia, rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr. Cass. 12.12.2017 n. 29781, Cass. 27.10.2010 n. 21961; Cass. 2.4.2009 n. 8023; Cass. 21.10.2003 n. 15737).

5. E’ stato ulteriormente puntualizzato che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. 18.7.2007 n. 16993; Cass. 23.2.2010 n. 4306; Cass. 31.10.2011 n. 22656; Cass. 8.10.2013 n. 22898), visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 13.3.2014 n. 5787): nel caso di specie l’inferenza tratta dal giudice di appello sulla base della successione delle vicende che avevano visto protagonista l’ A., il quale aveva agito in stretta consequenzialità con il comportamento posto in essere dalla S., a lui legato da vincoli affettivi, non evidenzia alcun elemento di illogicità ed implausibilità della ricostruzione fattuale; così come coerente con tale ricostruzione deve considerarsi la ritenuta concludenza della condotta del lavoratore nel senso della sussistenza di un contegno lesivo in maniera irreversibile del vincolo di fiducia che lo legava alla banca.

6. Del pari, è stato osservato che una questione di violazione dell’art. 2729 c.c. si può prospettare (Cass., sez. un., n. 1785 del 2018; Cass. n. 19485 del 2017; Cass. n. 17457 del 2007) esclusivamente sotto i seguenti aspetti: a) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza degli indizi ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota.

7. Nessuna di queste evenienze ricorre o è, comunque, illustrata nel motivo qui in scrutinio. Non si assume che il giudice di merito abbia sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, ciò che avrebbe reso il relativo ragionamento censurabile in base all’art. 360, n. 3 (Cass. 19485/2017).

8. La censura mira, diversamente, a contestare l’applicazione del ragionamento presuntivo da parte del giudice del gravame, assumendo la erronea attribuzione di rilievo determinante alla deposizione del teste G., ma la censura, per come articolata, rifluisce in una contestazione che attiene al merito, come tale inammissibile nella presente sede di legittimità;

9. Con riferimento all’art. 2119 c.c., l’attività di integrazione del suddetto precetto normativo, (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. in tali termini, da ultimo, Cass. 26.4.2012 n. 6498, conf. a Cass. 5095/2011, Cass. n. 9266 del 2005, nonchè Cass. 9299/2004): una denunzia di tal genere non è contenuta nel motivo di ricorso, vertendo, piuttosto, la doglianza sulla prospettazione di una diversa ricostruzione e valutazione delle circostanze di fatto emerse in istruttoria, senza che si evidenzino vizi logici o elementi di contraddittorietà aventi carattere di decisività ai fini di una diversa soluzione della controversia, sicchè il motivo di ricorso va disatteso per la sua inidoneità a determinare la necessità di un nuovo esame dei fatti alla luce di criteri logico giuridici, che nella specie risultano già correttamente applicati e posti in maniera coerente a sostegno della decisione oggetto di impugnazione.

10. Infine, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 116 c.p.c. può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione. E poichè, in realtà, una tale situazione è rappresentata nel motivo di ricorso, la relativa doglianza è mal posta. Nella specie, la violazione della norma denunciata è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

11. Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va respinto.

12. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

13. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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