Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21296 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/08/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 09/08/2019), n.21296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8729-2014 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO 7,

presso lo studio dell’avvocato PIERO LORUSSO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LAURA TOTINO;

– ricorrente –

contro

COMUNE CORI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 47, presso lo studio

dell’avvocato UMBERTO CANTELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO BELLIAZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4723/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/10/2013 R.G.N. 8676/2009.

Fatto

RILEVATO

1. che, con sentenza del 9 ottobre 2013, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Latina e rigettava la domanda proposta da R.L. nei confronti del Comune di Cori, avente ad oggetto la condanna del Comune al risarcimento del danno conseguente all’impiego in mansioni inferiori a quelle corrispondenti al livello di inquadramento posseduto, alla mancata corresponsione dell’indennità di risultato ex art. 10 CCNL 31.3.1999, al mancato inquadramento in D3 con connesse differenze retributive per indennità di posizione ed indennità ex art. 37, comma 1, lett. B, CCNL 6.7.1995, relativa allo svolgimento di funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza, oltre che alla reintegrazione nelle mansioni a suo tempo attribuitele di Comandante della Polizia Locale e di Responsabile dell’Area della Vigilanza con inquadramento in D3;

2. che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto insussistente il preteso diritto alla reintegrazione nell’incarico di Comandante della Polizia municipale ed alla corrispondente categoria professionale D superiore a quella C in cui la R. è formalmente inquadrata, essendo venuto a cessare l’incarico conferitole con contratto a tempo determinato per il periodo 15.6.2004/15.6.2015 poi prorogato fino al febbraio 2006 e non essendo invocabile a tal fine il disposto dell’art. 29 del CCNL 14.9.2000 per il comparto regioni ed enti locali, recante disposizioni speciali per il personale dell’area vigilanza con particolari responsabilità che prevedeva da parte degli enti del comparto l’assunzione di iniziative volte a favorire il passaggio alla categoria D, posizione economica D1, del personale dell’area vigilanza con inquadramento nell’ex VI qualifica funzionale, con conseguente infondatezza delle domande ulteriori relative alla retribuzione di posizione, ed al risarcimento per la mancata progressione di carriera e per il demansionamento subito a motivo dell’impiego in mansioni di livello C ed infondate altresì le domande relative alla retribuzione di risultato in difetto dell’attività deliberativa dell’ente circa i presupposti per il suo riconoscimento, ed all’indennità relativa alle funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza dichiarata in prime cure già corrisposta con statuizione non fatta oggetto di adeguata censura in sede di gravame;

3. che per la cassazione di tale decisione ricorre la R., affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Cori;

4. che la ricorrente ha poi presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

5. che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare, in una con il vizio di omessa e contraddittoria motivazione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 CCNL 14.9.2000 per il comparto regioni ed enti locali, lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento del diritto alla reintegrazione nell’incarico di Comandante della Polizia municipale e di Responsabile dell’Area Vigilanza con inquadramento in categoria D, posizione economica D3, asserendo sussistere nella specie tutti i requisiti per l’attribuzione della superiore qualifica D corrispondente alle mansioni svolte nell’espletamento del predetto incarico e comunque, derivando quel diritto dell’invocata previsione del contratto collettivo;

6. che, in conseguenza della censura sopra formulata, il medesimo vizio di omessa e contraddittoria motivazione è denunciato con il secondo, terzo e sesto motivo relativamente alle pronunzie di rigetto che la Corte territoriale ha ritenuto di derivare dal disconosciuto diritto alla reintegrazione nei predetti incarichi con riguardo alle domande concernenti rispettivamente il riconoscimento del lamentato demansionamento, del superiore importo dovuto a titolo di indennità di posizione, del danno conseguente alla mancata progressione economica in D3;

7. che, con il quarto motivo, denunciando il vizio di omessa e contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale, a suo dire, intesa a negare la spettanza della retribuzione di risultato di cui all’art. 10 CCNL 31.3.1999;

8. che analoga censura è avanzata con il quinto motivo in relazione al capo della sentenza impugnata che nega alla ricorrente l’indennità relativa alle funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza;

9. che il vizio di omessa e contraddittoria motivazione è riproposto nel settimo motivo con riguardo al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al pregiudizio professionale e di immagine sofferto dalla ricorrente;

10. che – ritenuta la correttezza del pronunciamento della Corte territoriale in ordine all’insussistenza del diritto della ricorrente alla reintegrazione nell’incarico di Comandante della Polizia municipale e di Responsabile dell’Area Vigilanza in quanto basato su orientamenti conformi a quelli accolti da questa Corte circa l’inapplicabilità al pubblico impiego dell’art. 2103 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. n. 18091/2015, Cass. n. 22284/2014 e n. 4445/2014), con riferimento alla quale la Corte territoriale ha giustificato la riassegnazione della ricorrente alle originarie qualifica e mansioni alla scadenza del contratto a termine in base al quale le era stato attribuito il predetto incarico ed alla non invocabilità ai predetti fini dell’art. 29 del CCNL 14.9.2000 comparto regioni ed enti locali, attuativo dell’art. 24, comma 2, lett. e), dell’1.4.1999, dovendosi tale norma interpretare in conformità al principio per cui nel pubblico impiego non sono consentite promozioni automatiche del personale, neppure in base al profilo professionale posseduto o alle mansioni svolte e, nel caso di passaggio da un’area di inquadramento ad altra superiore, è richiesta di norma una procedura concorsuale pubblica con garanzia di adeguato accesso dall’esterno, sicchè si deve ritenere che la stessa non preveda alcun automatismo ma si limiti a sollecitare le amministrazioni all’assunzione delle iniziative necessarie alla progressione in categoria D del personale dell’area vigilanza ex VI qualifica funzionale, ricorrendone le condizioni di cui alle lett. a), b) e c), iniziative destinate a concretarsi nell’attivazione di verifiche e procedure selettive previa concertazione con i sindacati (cfr., da ultimo, Cass. 852 del 16.1.2017 ma già Cass. 10628/2006) – il primo, il secondo, il terzo, il sesto ed il settimo motivo risultano infondati, dovendo ritenersi errata la pretesa dalla ricorrente affermata con quei motivi alla sussistenza degli azionati diritti;

11. che, di contro, inammissibili si rivelano il quarto ed il quinto motivo non risultando le censure mosse conferenti rispetto alla ratio decidendi sottesa alla pronunzia della Corte territoriale che aveva dichiarato infondate le domande relative alla retribuzione di risultato in difetto dell’attività deliberativa dell’ente circa i presupposti per il suo riconoscimento, ed all’indennità relativa alle funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza dichiarata in prime cure già corrisposta con statuizione non fatta oggetto di adeguata censura in sede di gravame;

12. che, pertanto, il ricorso va rigettato;

13. che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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