Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2129 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 25/01/2022), n.2129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13479/2016 proposto da:

San Germano S.r.l., in proprio e nella qualità di mandataria

dell’associazione temporanea di imprese con Econord s.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Viale Parioli n. 180, presso lo studio

dell’avvocato Braschi Francesco Luigi, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Gili Luigi, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di La Maddalena, in persona del sindaco pro tempore,

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

Pilia Franco, Ragnedda Gian Comita, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 490/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI –

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 23/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con sentenza depositata il 26/6/2012, il Tribunale di Tempio Pausania rigettò la domanda proposta dalla società San Germano SRL (di seguito, la società) nei confronti del Comune di La Maddalena al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento di quanto ancora dovuto a titolo di corrispettivo del contratto di appalto per la gestione dei rifiuti solidi urbani stipulato in data 13/9/2006 tra le parti, somma trattenuta dal committente a titolo di penale per l’inadempimento agli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti; rigettò, altresì, la domanda di condanna al risarcimento del danno per la perdita dei maggiori introiti derivanti dal conferimento dei residui di differenziata.

La Corte di appello di Cagliari, sezione di Sassari, ha rigettato l’appello proposto dalla società.

San Germano SRL, in proprio e in qualità di mandataria dell’associazione temporanea di imprese con Econord SPA, ha proposto ricorso per cassazione con cinque mezzi, corroborati da memoria. Il Comune ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia al violazione e falsa applicazione delle norme processuali che disciplinano la produzione di documenti in giudizio (artt. 121,165,170 e 347 c.p.c., nonché artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.) e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

La ricorrente si duole della statuizione con la quale la Corte di appello ha disatteso i motivi con cui era stata prospettata l’incidenza della elevata presenza di cassonetti per la raccolta indifferenziata sul raggiungimento dei livelli di raccolta differenziata, sul rilievo che la prova articolata sul punto dalla società non era apprezzabile in quanto i documenti richiamati dalla stessa appellante erano “contenuti nel fascicolo di parte di primo grado, che è rimasto nel fascicolo di ufficio e non è stato prodotto in appello” (fol. 8 della sent. imp.).

Dopo avere riferito di avere proposto anche giudizio per revocazione, la ricorrente sostiene che il fascicolo d’ufficio era stato acquisito dalla Corte di appello e ne deduce che il fascicolo di parte di primo grado – non ritirato in primo grado – avrebbe dovuto essere contenuto all’interno dello stesso e che quindi, erroneamente la Corte di appello non ne aveva tenuto conto ed aveva omesso di esaminare la documentazione necessaria al vaglio dei primi due motivi di appello con cui aveva chiesto di riformare la prima decisione laddove (primo) aveva ritenuto carente la prova fornita circa la illiceità delle penali ed irrilevanti le istanze istruttorie formulate e (secondo) carente la prova con rifermento alla domanda di risarcimento del danno richiesta a seguito del mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata (fol. 19 del ric.).

Sostiene anche che la Corte distrettuale, non reperendolo avrebbe dovuto far effettuare delle ricerche.

1.2. Il motivo è infondato, oltre che inammissibile perché non coglie la ratio decidendi.

1.3. Posto che risulta indiscussa la circostanza che la società appellante non ebbe a depositare formalmente il fascicolo di parte di primo grado in appello, la questione della presenza o meno del fascicolo di parte di primo grado all’interno del fascicolo d’ufficio di primo grado acquisito dalla Cancelleria è priva di decisività: invero, la Corte di appello ha chiaramente fondato la sua statuizione sul mancato esercizio del potere dispositivo della prova a cura della parte, cui incombeva l’onere, trasfuso, nel caso di specie, nella mancata produzione formale in appello a sua cura, del fascicolo di parte di primo grado, dando – anzi – atto che lo stesso era rimasto nel fascicolo d’ufficio, fascicolo che ex art. 347 c.p.c., comma 3, era stato acquisito dal Cancelliere.

1.4. Tale decisione è immune di vizi.

Invero, l’appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che tale mezzo di impugnazione non rappresenta più, nella configurazione datagli dal codice vigente, un novum iudicium, ovvero un riesame integrale del merito della causa, ma una revisione fondata sulla denuncia di specifici vizi processuali o sostanziali della sentenza impugnata. Ne consegue che è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione (di attore o di convenuto) da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., per farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello (Cass. Sez. U. n. 3033/2013).

Come già affermato dalle Sezioni Unite cit., anche il principio cd. “di immanenza della prova”, rettamente inteso, non è di alcun apporto in fattispecie che si connoti come quella in esame perché “Quando si assume che la prova, una volta entrata nel processo, vi permane e può essere utilizzata anche dalla parte diversa da quella che l’ha prodotta, il principio va inteso con riferimento non al documento materialmente incorporante la prova, bensì all’efficacia spiegata dal mezzo istruttorio, virtualmente a disposizione di ciascuna delle parti, delle quali tuttavia, quella che ne invochi una diversa valutazione da parte del giudice del grado successivo non è esonerata dall’attivarsi perché lo stesso possa concretamente procedere a richiesto riesame. Ne consegue che, mentre nessun problema si pone per quelle prove, orali e verbalizzate o comunque acquisite al fascicolo di ufficio (destinato in base alle norme di rito a pervenire al giudice di secondo grado), per quanto riguarda quelle documentali, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorché non materialmente più presenti in atti (per la contumacia dell’appellato o per l’insindacabile scelta del medesimo di non più produrle), continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice, la cui presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante” (Cass. Sez. U. n. 3033/2013, in motivazione).

Questa Corte ha anche affermato che:

– in materia di prova documentale nel processo civile deve escludersi che i documenti prodotti in primo grado da una delle parti che risulti vittoriosa debbano ritenersi per sempre acquisiti al processo, non esistendo un principio di “immanenza” della prova documentale e dovendo anche il giudice del gravame decidere la causa “juxta alligata et probata”, procedendo ad un autonomo e diretto riesame della documentazione già vagliata dal giudice di primo grado: pertanto la parte vittoriosa in primo grado, che rimanga contumace in appello, e quindi non ridepositi i documenti in precedenza prodotti, non può che incorrere nella sanzione della soccombenza, per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli, in quanto il giudice di appello, come quello di prime cure, deve decidere la causa in base solo alle prove che siano ritualmente e direttamente sottoposte al suo esame in sede di decisione (Cass. n. 6987/2003);

– il fascicolo di parte che l’attore ed il convenuto debbono depositare nel costituirsi in giudizio dopo avervi inserito, tra l’altro, i documenti offerti in comunicazione, ai sensi dell’art. 165 c.p.c., comma 1 e art. 166 c.p.c., applicabili anche in appello a norma dell’art. 347 c.p.c., pur essendo custodito, a norma dell’art. 72 disp. att. c.p.c., con il fascicolo di ufficio formato dal cancelliere (art. 168 c.p.c.), conserva, rispetto a questo, una distinta funzione ed una propria autonomia che ne impedisca l’allegazione di ufficio nel giudizio di secondo grado ove, come in quello di primo grado, la produzione del fascicolo di parte presuppone la costituzione in giudizio di questa; ne consegue che il giudice di appello non può tener conto dei documenti del fascicolo della parte, ancorché sia stato trasmesso dal cancelliere del giudice di primo grado con il fascicolo di ufficio, ove detta parte, già presente nel giudizio di primo grado, non si sia costituita in quello di appello (Cass. n. 5061/1993; Cass. n. 78/2007):

– qualora l’appellante ometta di depositare il fascicolo di parte formato in primo grado entro il termine prescritto, il giudice d’appello deve decidere sul gravame in base agli atti legittimamente a sua disposizione al momento della decisione, in conformità al principio di disponibilità delle prove (Cass. n. 18287/2021) perché, nel giudizio di appello avverso sentenze definitive, la mancata produzione dei documenti è implicitamente riconducibile alla volontà della parte di non avvalersene, onde correttamente il giudice decide sul gravame in base agli atti legittimamente a sua disposizione (Cass. n. 29716/2017).

1.5. Nella specie, la Corte di appello ha rettamente applicato i detti principi, ponendo in evidenza la circostanza relativa alla mancata produzione dei documenti da parte dell’appellante in sede di gravame, per cui nessuna ricerca doveva essere espletata a cura della Corte di merito che legittimamente ha deciso sulla base degli atti a disposizione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., la falsa applicazione del c.d. principio di non contestazione; l’error in procedendo per non aver la Corte di appello tenuto conto di fatti decisivi che erano comunque evincibili dagli atti di causa, segnatamente perché accertati dalla sentenza di primo grado e non contestati dalla controparte, di guisa che l’esame della documentazione ad essi afferente (anche se non prodotta) non era necessaria. Sostiene che il motivo di gravame non era volto a pervenire ad un diverso accertamento dei fatti, ma ad una nuova valutazione degli stessi.

2.2. Il motivo – circoscritto solo al contenuto presumibilmente evincibile dai documenti 31 e 33, depositati in primo grado, e non a tutti i documenti in quella fase prodotti – è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi, fondata proprio sull’impossibilità di valutare la controprova articolata dalla società appellante, posto che i motivi di appello vertevano sulla carenza probatoria ravvisata dal primo giudice e non sui dati quantitativi già da questi accertati.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 189 e 345 c.p.c., l’error in procedendo per avere la Corte di appello ritenuto rinunciate in primo grado le istanze istruttorie riproposte in appello.

La ricorrente si duole della statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la prova testimoniale richiesta dall’appellante affermando che la società, dopo averla dedotta in primo grado, non aveva insistito nella richiesta in sede di precisazione delle conclusioni ivi rassegnate; la Corte di merito ha aggiunto che detta prova non risultava dirimente, quanto alla dimostrazione di un nesso causale tra la collocazione dei nuovi cassonetti e la riduzione sotto il minimo garantito della raccolta differenziata.

3.2. Sotto il primo profilo, il motivo è infondato.

Va rammentato che la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione (Cass. n. 5741 del 27/02/2019; cfr. anche Cass. n. 15029/2019; in tema di produzione documentale, Cass. n. 11752/2018): nel presente caso, non risulta che la ricorrente abbia reiterato la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni, anzi è dimostrato il contrario.

Come espone la stessa ricorrente, la formulazione della specifica richiesta istruttoria concernente le prove testimoniali venne anticipata con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, ma venne effettivamente formulata con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, laddove nella precisazione delle conclusioni il richiamo venne formulato solo alle conclusioni rassegnate nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

In assenza della specifica riproposizione della richiesta di prova testimoniale, rettamente la Corte distrettuale ha ritenuto che la parte vi avesse tacitamente rinunciato con conseguente inammissibilità della riproposizione della medesima richiesta in appello.

3.3. Sotto il secondo profilo (valutazione di non idoneità delle prove testimoniali richieste a dirimere la questione) il motivo è inammissibile perché riguarda un mero argomento e non autonoma ratio e perché la stessa prospettazione della ricorrente presuppone la fondatezza del primo motivo di ricorso per cassazione, già esclusa.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., in relazione alla statuizione con cui la Corte di appello ha confermato il rigetto della domanda, formulata dalla società, di riduzione della penale perché manifestamente sproporzionata.

4.2. Il motivo è inammissibile perché, pur deducendo una violazione di legge, sollecita un nuovo sindacato di fatto, segnatamente in merito all’accertamento di proporzionalità della penale rispetto al corrispettivo annuo ed in merito all’accertamento compiuto in primo grado circa il mancato assolvimento da parte della società dell’onere di provare l’esistenza di un fatto non imputabile ad essa appaltatrice, che potesse giustificare l’inadempimento ex art. 1218 c.c., e confermato dalla Corte di appello, senza indicare alcun fatto decisivo, ritualmente provato, di cui sia stato omesso l’esame, ma limitandosi la ricorrente a prospettazioni meramente ipotetiche.

5.1. Con il quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per non essersi il giudice pronunciato su un motivo di impugnazione, error in procedendo per violazione degli artt. 112,183 e 345 c.p.c..

Segnatamente, la ricorrente censura la statuizione con cui la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile la doglianza proposta dalla società in merito all’inosservanza da parte dell’Amministrazione comunale del procedimento previsto dall’art. 18 del CSA per le contestazioni dell’inadempimento e per la conseguente comminatoria della penale, perché la questione era stata proposta tardivamente dalla stessa, non nell’atto di citazione, ma solo con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c. e si duole che abbia omesso la pronuncia sul punto.

Sostiene, a tal proposito, che tale questione era stata già sollevata nella prima memoria ex art. 183 c.p.c..

5.2. Il motivo è infondato.

La Corte di appello non ha omesso alcuna pronuncia, ma ha ritenuto tardivamente proposta la contestazione in applicazione del principio secondo il quale “La memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, consente all’attore di precisare e modificare le domande “già proposte”, ma non di proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, le quali vanno, invece, presentate, a pena di decadenza, entro la prima udienza di trattazione” (Cass. n. 30745/2019). Nel caso di specie, come dedotto nello stesso ricorso, la questione fu introdotta in replica ai fatti dedotti dalla controparte con la costituzione (fol. 37 del ric.) e, quand’anche ciò sia avvenuto con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, risulterebbe tardiva: ne consegue che la decisione sul punto è immune da vizi.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 13.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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